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Dino Buzzati: Sessanta racconti

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Premio Strega 1958

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Per questo io intendo che Ettore e gli altri messi dopo di lui, quando mi avranno nuovamente raggiunto, non riprendano più la via della capitale ma partano innanzi a precedermi, affinché io possa sapere in antecedenza ciò che mi attende.

Un'ansia inconsueta da qualche tempo si accende in me alla sera, e non è più rimpianto delle gioie lasciate, come accadeva nei primi tempi del viaggio; piuttosto è l'impazienza di conoscere le terre ignote a cui mi dirigo.

Vado notando – e non l'ho confidato finora a nessuno vado notando come di giorno in giorno, man mano che avanzo verso l'improbabile mèta, nel cielo irraggi una luce insolita quale mai mi è apparsa, neppure nei sogni; e come le piante, i monti, i fiumi che attraversiamo, sembrino fatti di una essenza diversa da quella nostrana e l'aria rechi presagi che non so dire.

Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più avanti, verso quelle montagne inesplorate che le ombre della notte stanno occultando. Ancora una volta io leverò il campo, mentre Domenico scomparirà all'orizzonte dalla parte opposta, per recare alla città lontanissima l'inutile mio messaggio.

2. L 'ASSALTO AL GRANDE CONVOGLIO

Arrestato in una via del paese e condannato soltanto per contrabbando – poiché non lo avevano riconosciuto – Gaspare Planetta, il capo brigante, rimase tre anni in prigione.

Ne venne fuori cambiato. La malattia lo aveva consunto, gli era cresciuta la barba, sembrava piuttosto un vecchietto che non il famoso capo brigante, il miglior schioppo conosciuto, che non sapeva sbagliare un colpo.

Allora, con le sue robe in un sacco, si mise in cammino per Monte Fumo, che era stato il suo regno, dove erano rimasti i compagni.

Era una domenica di giugno quando si addentrò per la valle in fondo alla quale c'era la loro casa. I sentieri del bosco non erano mutati: qua una radice affiorante, là un caratteristico sasso ch'egli ricordava bene. Tutto come prima.

Siccome era festa, i briganti si erano riuniti alla casa. Avvicinandosi, Planetta udì voci e risate. Contrariamente all'uso dei suoi tempi, la porta era chiusa.

Batté due tre volte. Dentro si fece silenzio. Poi domandarono: " Chi è? ".

" Vengo dalla città " egli rispose " vengo da parte di Planetta. " Voleva fare una sorpresa, ma invece quando gli aprirono e gli si fecero incontro, Gaspare Planetta si accorse subito che non l'avevano riconosciuto. Solo il vecchio cane della compagnia, lo scheletrico Tromba, gli saltò addosso con guaiti di gioia.

Da principio i suoi vecchi compagni, Cosimo, Marco, Felpa ed anche tre quattro facce nuove gli si strinsero attorno, chiedendo notizie di Planetta. Lui raccontò di avere conosciuto il capo brigante in prigione; disse che Planetta sarebbe stato liberato fra un mese e intanto aveva mandato lui lassù per sapere come andavano le cose.

Dopo poco però i briganti si disinteressarono del nuovo venuto e trovarono pretesti per lasciarlo. Solo Cosimo rimase a parlare con lui, pur non riconoscendolo.

" E al suo ritorno cosa intende fare? " chiedeva accennando al vecchio capo, in carcere.

" Cosa intende fare? " fece Planetta " forse che non può tornare qui? "

" Ah, sì, sì, io non dico niente. Pensavo per lui, pensavo. Le cose qui sono cambiate. E lui vorrà comandare ancora si capisce, ma non so… "

" Non sai che cosa? "

" Non so se Andrea sarà disposto… farà certo delle questioni… per me torni pure, anzi, noi due siamo sempre andati d'accordo… "

Gaspare Planetta seppe così che il nuovo capo era Andrea, uno dei suoi compagni di una volta, quello che anzi pareva allora il più bestia.

In quel momento si spalancò la porta, lasciando entrare proprio Andrea, che si fermò in mezzo alla stanza. Planetta ricordava uno spilungone apatico. Adesso gli stava davanti un pezzo formidabile di brigante, con una faccia dura e un paio di splendidi baffi.

Quando seppe del nuovo venuto, che anch'egli non riconobbe: " Ah, così? " disse a proposito di Planetta " ma come mai non è riuscito a fuggire? Non deve essere poi così difficile. Marco anche lui l'hanno messo dentro, ma non ci è rimasto che sei giorni. Anche Stella ci ha messo poco a fuggire. Proprio lui, che era il capo, proprio lui, non ha fatto una bella figura. " " Non è più come una volta, così per dire " fece Planetta con un furbesco sorriso. " Ci sono molte guardie adesso, le inferriate le hanno cambiate, non ci lasciavano mai soli. E poi lui s'è ammalato. "

Così disse; ma intanto capiva di essere rimasto tagliato fuori, capiva che un capo brigante non può lasciarsi imprigionare, tanto meno restar dentro tre anni come un disgraziato qualunque, capiva di essere vecchio, che per lui non c'era più posto, che il suo tempo era tramontato.

" Mi ha detto " riprese con voce stanca lui di solito gioviale e sereno " Planetta mi ha detto che ha lasciato qui il suo cavallo, un cavallo bianco, diceva, che si chiama Polàk, mi pare, e ha un gonfio sotto un ginocchio. "

" Aveva, vuoi dire aveva " fece Andrea arrogante, cominciando a sospettare che fosse proprio Planetta presente. " Se il cavallo è morto la colpa non sarà nostra… "

" Mi ha detto " continuò calmo Planetta " che aveva lasciato qui degli abiti, una lanterna, un orologio. " E sorrideva intanto sottilmente e si avvicinava alla finestra perché tutti lo potessero veder bene.

E tutti infatti lo videro bene, riconobbero in quel magro vecchietto ciò che rimaneva del loro capo, del famoso Gaspare Planetta, del migliore schioppo conosciuto, che non sapeva sbagliare un colpo.

Eppure nessuno fiatò. Anche Cosimo non osò dir nulla. Tutti finsero di non averlo riconosciuto, perché era presente Andrea, il nuovo capo, di cui avevano paura. Ed Andrea aveva fatto finta di niente.

" Le sue robe nessuno le ha toccate " disse Andrea " devono essere là in un cassetto. Degli abiti non so niente. Probabilmente li ha adoperati qualcun altro. "

" Mi ha detto " continuò imperturbabile Planetta, questa volta senza più sorridere " mi ha detto che ha lasciato qui il suo fucile, il suo schioppo di precisione. "

" Il suo fucile è sempre qui " fece Andrea " e potrà venire a riprenderselo. " " Mi diceva " proseguì Planetta " mi diceva sempre: chissà come me lo adoperano, il mio fucile, chissà che ferravecchio troverò al mio ritorno. Ci teneva tanto al suo fucile. "

" L'ho adoperato io qualche volta " ammise Andrea con un leggero tono di sfida " ma non credo per questo di averlo mangiato. "

Gaspare Planetta sedette su una panca. Si sentiva addosso la sua solita febbre, non grande cosa, ma abbastanza da fare la testa pesante.

" Dimmi " fece rivolto ad Andrea " me lo potresti far vedere? "

" Avanti " rispose Andrea, facendo segno a uno dei briganti nuovi che Planetta non conosceva " avanti, va di là a prenderlo. "

Fu portato a Planetta lo schioppo. Egli lo osservò minutamente con aria preoccupata e via via parve rasserenarsi. Accarezzò con le mani la canna.

" Bene " disse dopo una lunga pausa " e mi ha detto anche che aveva lasciato qui delle munizioni. Mi ricordo anzi precisamente: polvere, sei misure, e ottantacinque palle. "

" Avanti " fece Andrea con aria seccata " avanti, andategliele a prendere. E poi c'è qualcosa d'altro? "

" Poi c'è questo " disse Planetta con la massima calma, alzandosi dalla panca, avvicinandosi ad Andrea e staccandogli dalla cintura un lungo pugnale inguainato. " C'è ancora questo " confermò " il suo coltello da caccia. " E tornò a sedere.

Seguì un lungo pesante silenzio. Finalmente fu Andrea che disse:

" Be', buonasera " disse, per fare capire a Planetta che se ne poteva ormai andare.

Gaspare Planetta alzò gli occhi misurando la potente corporatura di Andrea. Avrebbe mai potuto sfidarlo, patito e stanco come si sentiva? Perciò si alzò lentamente, aspettò che gli dessero anche le altre sue cose, mise tutto nel sacco, si gettò lo schioppo sulle spalle. " Allora buonasera, signori " disse avviandosi alla porta.

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