Dino Buzzati - Sessanta racconti
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- Название:Sessanta racconti
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- Издательство:Mondadori, collana Oscar classici moderni
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Parlava della leggendaria nave – non aveva trovato denominazione più adatta – come se quello fosse un dato di dominio pubblico che non ci fosse nessun pericolo a toccare.
Intorno a lui erano operai, scaricatori, marinai, bottegai, bagasce che dovevano sapere vita, miracoli e morte del loro porto. Mai però che uno mostrasse di capire l'allusione. Mai che uno denotasse per lo meno riluttanza o fastidio, o che invitasse, dichiaratamente o no, il signor Regulus a smettere un interrogatorio così inopportuno.
Sembrava proprio che nessuno sapesse niente di niente, mai sentito parlare di un grandissimo bastimento costruito in segreto, varato di nascosto e così via per la salvezza della patria agonizzante.
Era sul punto di rinunciare alle ricerche quando la fortuna andò appositamente ad aspettarlo, in una birreria di infimo ordine a Wilhelmhaven.
Essa aveva assunto la forma corporea di un facchino o tipo del genere, grigio di capelli, tarchiato, stanco, che si era addormentato in un angolo, dinanzi al suo boccale vuoto.
Hugo Regulus come sempre fece varie conversazioni coi presenti e arrivò con molta astuzia all'argomento che gli si era incastrato nell'animo. Domandò a questo domandò a quello, non capivano neppure a che cosa lui alludesse, mai avevano sentito parlare di una storia siffatta.
Cosicché la sera passò inutilmente e a un certo punto il Regulus si trovò solo nel locale e il proprietario aveva tutte le intenzioni di chiudere, e di fuori, nella notte di minuto in minuto più silenziosa, si udiva un ritmico doloroso cigolio come quello dei velieri alla banchina quando l'onda li fa dondolare.
Allora il facchino grigio di capelli si alzò per uscire ma quando fu sulla soglia si voltò con un curioso sogghigno e disse: " Quella storia, signore, che lei poco fa raccontava, l'ho sentita raccontare anche da un altro. Era uno dell'isola di Rugen ". E scomparve.
Il Regulus gli corse dietro. Ma fuori non c'era anima viva. Guardò a destra guardò a sinistra, niente alla luce dell'unico lampione acceso, come se la terra lo avesse inghiottito.
Ebbene, eccolo nell'isola di Rugen che gira con un cavalletto e una cassettina fingendo di essere un pittore. Mentre dipinge – da ragazzo si divertiva a fare degli acquarelli, dopo tutto può anche recitare la parte – gli piace, si direbbe, scambiare due parole con i paesani, vecchi per lo più, bambini e qualche donna che gli stanno alle spalle per vedere come fa. " A proposito, a proposito " dice " ho sentito dire tempo fa che qui all'isola di Rugen durante la guerra avevano messo su un grande cantiere. " " è vero è vero " dice uno " facevano tutto di nascosto, come se tutti noi non si sapesse! "
Per l'emozione all'ex-capitano di corvetta viene meno il fiato. " E che cosa costruivano? Una corazzata, vero? Era una grande nave da guerra? " L'uomo ride, ridono anche gli altri. " Corazzata? Altro che corazzata. Era lo stadio, lo stadio per 500.000 spettatori, per le grandi olimpiadi del 1948 che dovevano essere la festa dell'umanità, dopo la vittoria di Hitler sul mondo! "
Questa è una amara delusione per chi ha cercato e si è affaticato tanto. " E perché allora costruirlo in segreto? " " Chi lo sa. Forse perché doveva essere una meravigliosa sorpresa, da rivelare improvvisamente al popolo stanco dopo la vittoria. " " E anche voi ci lavoravate? " " Oh, nessuno di noi, qui, di Rugen. Soltanto gente venuta da fuori, migliaia e migliaia, tutti giovani. E noi si diceva: perché mai mandano qui a lavorare allo stadio tutti questi giovanotti che dovrebbero invece essere sul fronte? "
" E a vedere il cantiere vi lasciavano andare? " " Intorno al cantiere filo spinato con corrente ad alta tensione. E sentinelle armate. Poi un bello spazio deserto. Poi ancora un grande muro e altro filo spinato, sul muro le sentinelle che avevano l'ordine di sparare. "
" E dopo, che cosa ne hanno fatto? " domanda l'ex-capitano di corvetta. " Dopo è stato distrutto tutto quanto. Per la rabbia, probabilmente. Ordine di far saltare gli impianti. Per quattro giorni continue esplosioni, si vedevano le vampe di qua, l'isola tremava. " " E adesso? " " Adesso non c'è più niente, solo qualche maceria. " " Ma dov'è? " Allora gli insegnano la strada.
Arriva dunque l'ostinato Hugo Regulus sul posto dove Hitler aveva ordinato di costruire il più grande stadio del mondo per le olimpiadi dell'apoteosi tedesca; proprio nell'isola di Rugen, che idea. Ma il Regulus se ne intende e capisce subito che non si è mai lavorato per lo stadio, il suo animo veramente trema di una commozione straordinaria, alla vista di ciò che lui cerca da tanti mesi. È una specie di avvallamento che finisce nelle acque del mare, e ci sono erbacce, sconvolti macigni, pezzi di muratura e cemento, ferri contorti, pareti infrante, ma soprattutto erbacce e grami cespugli che coprono pietosamente ogni cosa.
Lui calcola la lunghezza della svasatura, circa mezzo chilometro, calcola larghezza, profondità, tutto quanto. Vede resti di rotaie, di gru, di pontoni, di lamiere, di travi, perfino un bossolo di granata affondato completamente nel fango. Inoltre avverte ancora nell'aria un odore caratteristico a lui ben noto, profumo persistente di nave da guerra: nafta, vernice, lamiera rovente, fiato di marinai.
Questa dunque la recondita base dell' " Eventualità 9000 ". Qui è stata costruita una nave di proporzioni mai tentate, in questo bacino è nata, di qui è scesa in mare, e adesso non resta neppure il ricordo, perché tutto è stato fatto in segreto e gli uomini che sanno non aprono mai bocca, deve essere questione di un giuramento sacro che impegna l'onore e la vlta: a meno che non siano tutti morti, migliaia e migliaia sprofondati sotto la superficie della terra. O del mare. Poi vede i resti del filo spinato, del lunghissimo muro di cinta, delle officine, delle baracche, una intera città deve essere vissuta qui per anni all'insaputa del mondo, protetta da chissà quali mascherature, all'insaputa degli stessi pezzi grossi della Kriegsmarine.
Ma adesso non c'è altro che una landa petrosa e abbandonata dove non passa mai nessuno, con in mezzo quella fatale concavità ormai senza senso, e sopra pochi uccelli simili a corvi che girano e girano tendenziosamente mandando lamentevoli strida, e sopra ancora il cielo grigio e immobile del Baltico con quella sua luce diafana che chiama al nord, sempre al nord, e davanti il mare che cammina in eterno, mare duro e potente di colore griglo con lunghe creste bianche le quali compaiono e scompaiono senza motivo e cercandole gli sguardi vanno in là, sempre più in là, fino al lontanissimo orizzonte, interamente disabitato.
Così il mistero dell' " Eventualità 9000 ", diventava ancora più vero e inquietante, Hugo Regulus non poteva tirarsi indietro neanche volendolo con tutte le forze, bisognava inoltrarsi fino in fondo a costo di consumarci l'intera vita che gli rimaneva. Era il maggio del 1946.
Ma subitamente l'enigma tanto difficile e oscuro si aprì quasi da solo. Comparve su un giornale di Amburgo una breve notiziola da Kiel che riferiva un tentato suicidio: in un giardino pubblico era stato trovato un uomo privo di sensi e insanguinato con una grave ferita alla testa. Stringeva ancora una rivoltella nella destra. Era un certo Wilhelm Untermeyer, già sottufficiale di marina, rimpatriato recentemente dal Sud America dove era stato qualche tempo internato. Ignote le cause del suicidio.
Era proprio il capo Willy Untermeyer che aveva lavorato tanto tempo alle dipendenze del Regulus e che era stato portato via dall' " Eventualità 9000 ". Il Regulus lo trovò all'ospedale di Kiel con la testa tutta bendata che parlava, ininterrottamente parlava, e invano i medici gli somministravano dei sedativi. Ogni tanto cadeva in un sonno profondo ma appena sveglio ricominciava a parlare, dicendo cose apparentemente incomprensibili, e perciò tutti erano convinti che delirasse. La ferita – dicevano i medici – era grave, scarse le probabilità che l'uomo sopravvivesse.
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