Non vi erano dubbi, Aaron era proprio un uomo generoso. Aveva dato tutto se stesso per i soldi: per loro, si era speso senza risparmiarsi, in anima e corpo, e in cambio, non aveva mai chiesto nulla. Li aveva messi al sicuro, li aveva protetti, coltivati, coccolati e, mai e poi mai, li aveva sperperati.
Era necessario che il suo negozio apparisse esattamente come lui: vecchio, ripugnante, inutile e malandato. Quale fuorilegge avrebbe mai potuto bramare di rapinare un posto del genere? E poi, anche se lo avesse fatto, non avrebbe trovato nulla: Danny, così chiamava il suo adorato tesoro, era al sicuro altrove.
Ripose il libro mastro nel cassetto della scrivania tarlata e si sollevò dalla sedia con un gemito. In piedi non era tanto più alto che da seduto. Indossò il piccolo copricapo di stoffa nera e afferrò il bastone da passeggio, praticamente una stampella per lui. Anche questo era malmesso: le sporadiche macchie di vernice rimaste testimoniavano che un tempo fosse laccato, ma ormai non era altro che un asta di legno scorticata con una testa in ottone ossidato.
Era intento a chiudere gli infissi, quando intravvide una grossa sagoma attraverso il vetro lordato da anni di sporco mai lavato. Come sempre, ebbe un brivido. Aaron asseriva di ripudiare l’uso delle armi, quindi non le usava: la realtà era che non aveva neanche la forza di sollevare una pistola senza tremare, figuriamoci di sparare. Comunque, non ripudiava affatto che altri le utilizzassero al posto suo per le faccende inerenti i suoi affari.
«Ripulite l’argento, qui?» Entrando, il cliente aveva esordito con la frase che presupponeva la necessità di riciclare merce di dubbia provenienza. La porta era così minuscola che l’omone dovette chinarsi e torcersi per entrare.
«E non solo quello. Ah, sei tu, Hugg.» Aveva già lavorato per lui e sempre come ricettatore, purtroppo: il più delle volte si trattava di effetti personali sottratti a chissà chi o piccole refurtive. Una cosa era certa, quell’uomo era un vero spilorcio, spaccava il cent: condurre affari con lui era, a dir poco, spiacevole.
Con il riciclaggio Mansill guadagnava abbastanza, ma i veri introiti li faceva con i prestiti. Prestare danaro era come coltivare i fagioli: metti un seme nella terra e se è fertile, ne ottieni un sacchetto pieno. Il suo piccolo contributo finanziario ai desideri del cliente era il seme, il vano ottimismo degli stolti era la terra fertile e gli interessi erano il concime. A prima vista, verrebbe da pensare che Aaron fosse un uomo troppo attaccato ai beni materiali; tuttavia non era così: i tassi d’interesse non sono fisicamente tangibili, sono un concetto astratto, eppure li adorava quasi al pari del denaro stesso. Li rispettava con diligente dedizione, quindi, che male c’era, se pretendeva che anche le persone in affari con lui facessero lo stesso?
A dispetto della sua bruttezza esteriore, il commerciante aveva diversi altri pregi interiori. Ad esempio, era un uomo di larghe vedute e assai tollerante. Infatti, pur essendo un convinto astemio, non denigrava coloro che passavano le giornate a ubriacarsi: tutt’altro, li vezzeggiava, li coccolava ed era sempre pronto ad aiutarli. Capitava spesso che per farsi una bevuta, impegnassero effetti personali che valessero almeno dieci volte quanto ricevevano in cambio: l’importante era rassicurarli che ce l’avrebbero fatta a ripagare un così piccolo debito. Naturalmente, non ci riuscivano, praticamente, mai. Nessun problema, si sarebbe accontentato di quanto lasciato a garanzia. La stessa apertura mentale la dimostrava anche con i giocatori d’azzardo: per quel che lo riguardava, non aveva neanche idea di come si giocasse a carte o a dadi, tuttavia era sempre pronto a supportare i praticanti.
Mansill considerava il riciclaggio come una forma di propaganda, un ottimo modo per azionare la macchina dei suoi affari. Gli uomini di quelle parti non erano avvezzi a gestire più di dieci dollari alla volta. Così, quando entravano nel suo negozio per vendere merce rubata, molto spesso, ne uscivano con un bel gruzzoletto, un enorme sorriso stampato sul volto e un unico desiderio: andarsela a spassare. Che fosse in un saloon, in una sala da gioco, in un bordello o in tutti e tre, non importava: una cosa era certa, ci prendevano gusto e non riuscivano più a smettere. Finivano i soldi e tornavano da lui per un prestito.
I vizi sono una brutta bestia e se a un certo punto non si pone un freno, ti uccidono.
Anche a questo ci pensava il buon Aaron: quando quei poveri sprovveduti non avevano più neanche le mutande da impegnare, il commerciante capiva che, ormai, avevano sviluppato una vera dipendenza e smetteva di foraggiarli per evitare che le cose peggiorassero ulteriormente. Quante persone aveva salvato in quel modo!
Insomma, era un autentico benefattore. Eppure, tutti lo disprezzavano.
A ogni modo, di una cosa era sicuro: quell’uomo, Badfinger, era un vero spilorcio e sicuramente non sarebbe incappato nella trappola dei vizi costosi neanche se da lì fosse uscito con mille dollari in tasca.
Questo era un altro buon motivo per non nutrire simpatia nei suoi riguardi. Sapeva per esperienza che se gli avesse dato dei soldi in cambio della merce, questi, a differenza di quanto gli accadeva di solito, non sarebbero tornati indietro mai più.
Stava di fatto che ormai l’uomo fosse entrato e che non gli restava altro di cercare di pagare quanto gli proponeva il meno possibile, in modo di guadagnare almeno qualcosa con il ricarico. Una cosa era certa: non gli avrebbe dato neanche un cent oltre la metà di quanto valesse la sua refurtiva sul mercato nero, cioè, un quarto del valore stimato per i canali commerciali legali.
«Caro Aaron, questa volta, ti faccio arricchire sul serio!» esordì Hugg con un sorriso complice.
“Se tutti i clienti fossero come te, il negozio sarebbe fallito e io starei a revisionare i libri contabili di qualche imprenditore” pensò e disse: «Ricco? Non vedi come mi sono ridotto? Purtroppo, non tutti i clienti sono affidabili come te, ed è per causa loro che sono sul lastrico. Sono felice che sia qui, abbiamo sempre fatto buoni affari, noi due.»
«Soprattutto tu. Tuttavia, non mi lamento: non mi hai mai affibbiato una banconota falsa.»
Aaron ne aveva rifilate parecchie di false valute, ma sempre a persone con un piede nella fossa o comunque incapaci di nuocergli e impossibilitate da una taglia sulla testa a presentarsi nell’ufficio dello sceriffo per avanzare rimostranze legali. Sicuramente, non si sarebbe mai azzardato a fare un tiro mancino così palese a un tipo pericoloso come Badfinger.
«Ti piace scherzare. Magari avessi qualcosa per stamparle!»
«Mi hanno detto che sei anche un falsario, a questo punto devo dedurre che sei un pessimo falsario. Comunque, non importa: a me servi come ricettatore.»
«Come al solito, d’altra parte!»
«Eh già! Ma stavolta, l’argomento è un po’ più sostanzioso. Ci sarà da parlare a lungo e senza intromissioni.» Si era portato dietro abbastanza ninnoli per ottenere almeno mille dollari. Certo, ne valevano quasi tremila, ma sapeva bene che da quello spilorcio di Aaron non avrebbe mai potuto spillare tanto denaro.
«Ho capito. Chiudiamo la porta, ma sappi che per i contanti dovrai aspettare domani, ho solo diciotto dollari nella cassa.» Meglio chiarire subito che non valesse la pena tirare brutti scherzi.
«Sì, so come funziona: abbiamo fatto così anche la scorsa volta. Ora ci accordiamo per il prezzo. Poi, domani, mi mandi un tuo scagnozzo per portarmi i soldi e ritirare la mercanzia.»
«Dipendente temporaneo, non scagnozzo. Se dici così, mi fai sentire come un uomo di malaffare.»
«Sei o no un dannato strozzino?»
«Il fatto che mi impietosisca nel vedere delle persone in difficoltà economica non fa di me un usuraio.»
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