“Aspetta un attimo!” gridò Anderson. “Digli di stare indietro. Gli dirò io quando può entrare.”
“Glielo dirò,” disse Kiley, anche se la voce indicava che non vedeva l’ora di cedere le comunicazioni il prima possibile.
“Un’ultima cosa,” le sussurrò nell’orecchio Anderson, ancor più piano di prima se possibile. “C’è una talpa nella sua unità.”
“Cosa? Nella divisione di West Los Angeles?” chiese Keri sconvolta.
“Nell’unità persone scomparse. Non so chi sia. Ma qualcuno sta passando informazioni dall’altra parte. Perciò si guardi le spalle. Più del solito, voglio dire.”
Una nuova voce chiamò dall’altro lato della porta.
“Signor Anderson, sono Cal Brubaker. Sono il negoziatore. Posso entrare?”
“Un secondo solo, Cal,” gli urlò Anderson. Poi si sporse ancor più vicino a Keri. “Ho la sensazione che questa sia l’ultima volta che parliamo, Keri. Voglio che lei sappia che penso che sia una persona decisamente notevole. Spero che trovi Evie. Lo spero davvero. Entra, Cal.”
Come si aprì la porta, le riportò lo spazzolino al collo, ma non le toccò davvero la pelle. Un uomo panciuto sul finire dei quaranta, con una zazzera di folti capelli grigi e occhiali sottili dalla montatura circolare che Keri sospettava fossero solo per bellezza, entrò con cautela nella stanza.
Indossava blue jeans e una camicia da boscaiolo sgualcita completa di motivo a scacchiera rosso e nero. Faceva quasi ridere, come una versione “in costume” di come potrebbe apparire un negoziatore di ostaggi non pericoloso.
Anderson la guardò e lei capì che lui la pensava allo stesso modo. Pareva combattere la voglia di alzare gli occhi al cielo.
“Salve, signor Anderson. Può dirmi che cosa la infastidisce stasera?” disse con tono pratico e non aggressivo.
“A dire il vero, Cal,” rispose mitemente Anderson, “mentre ti stavamo aspettando, la detective Locke mi ha fatto riacquistare la ragione. Ho capito che mi stavo facendo un po’ soverchiare dalla mia situazione e che ho reagito… malamente. Penso di essere pronto ad arrendermi e ad accettare le conseguenze delle mie scelte.”
“Okay,” disse Cal, sorpreso. “Be’, questa è la negoziazione meno dolorosa della mia vita. Dato che mi sta rendendo le cose così facili, devo chiederlo: è sicuro di non volere niente?”
“Forse qualche cosuccia,” disse Anderson. “Ma penso che nessuna di esse ti contrarierà granché. Mi piacerebbe assicurarmi che la detective Locke venga portata subito in infermeria. Accidentalmente l’ho colpita con la punta dello spazzolino e non sono sicuro di quanto sia igienica la cosa. Dovrebbe farsi disinfettare subito. E apprezzerei che facessi sì che l’agente Kiley, il gentiluomo che mi ha portato qui, mi ammanettasse e mi portasse ovunque io sia diretto. Ho la sensazione che quegli altri signori potrebbero essere un po’ più rudi del necessario. E forse, una volta che avrò gettato l’oggetto appuntito, potresti chiedere al cecchino di filare via. Mi sta innervosendo un po’. Richieste ragionevoli?”
“Tutte ragionevoli, signor Anderson,” disse, d’accordo, Cal. “Farò del mio meglio per soddisfarle. Perché non comincia la partita lei gettando lo spazzolino e lasciando andare la detective?”
Anderson si sporse più vicino in modo che solo Keri potesse sentirlo.
“Buona fortuna,” sussurrò, quasi inudibile, prima di gettare lo spazzolino e alzare le mani in aria in modo che lei potesse scivolare sotto alle manette. Scivolò via e lentamente si mise in piedi con l’aiuto della tavola rovesciata. Cal allungò la mano per offrirle assistenza, ma lei non la prese.
Una volta che fu in piedi dritta e che si sentì stabile, si voltò verso Thomas “il Fantasma” Anderson per quella che, ne era certa, sarebbe stata l’ultima volta.
“Grazie di non avermi uccisa,” borbottò, cercando di sembrare sarcastica.
“Ci può scommettere,” disse lui, sorridendo dolcemente.
Mentre andava verso la porta della sala interrogatori, questa si spalancò e cinque uomini in completa tenuta SWAT fecero irruzione, superandola. Lei non si voltò per vedere cosa fecero mentre incespicava fuori dalla porta fin nel corridoio.
Sembrava che Cal Brubaker fosse stato sincero almeno su qualcosa. Il cecchino appoggiato alla parete opposta con l’arma accanto si era ritirato. Ma l’agente Kiley non si vedeva da nessuna parte.
Percorrendo il corridoio, scortata da un’agente donna che disse che la stava portando in infermeria, Keri fu piuttosto sicura di riuscire a udire il rumore del calcio delle armi che si schiantavano contro ossa umane. E mentre non udì alcun urlo seguente, udì però un grugnito, seguito da profondi gemiti incessanti.
Keri tornò di corsa alla macchina, sperando di lasciare il parcheggio prima che qualcuno si accorgesse che se n’era andata. Il cuore le batteva a tempo con le scarpe, forti e veloci sul cemento.
Il giro in infermeria era stato un regalo da parte di Anderson. Sapeva che dopo la situazione dell’ostaggio di sicuro avrebbe dovuto affrontare ore di interrogatorio, ore che non poteva sprecare. Chiedendo che le fosse permesso di andare in infermeria, le stava assicurando una finestra in cui avrebbe avuto poca supervisione e in cui probabilmente sarebbe stata in grado di andarsene prima di essere messa all’angolo dai detective della divisione Downtown.
Fu esattamente quello che fece. Dopo che un’infermiera le ebbe disinfettato la piccola puntura sul collo e che gliel’ebbe bendata, Keri aveva finto un breve attacco di panico post crisi da ostaggio e aveva chiesto di usare il bagno. Dato che non era una detenuta, era stato facile da lì uscire di soppiatto.
Era arrivata all’ascensore con lo staff delle pulizie che staccava alle ventuno. L’agente della sicurezza Beamon doveva essere in pausa, perché c’era un tipo nuovo a presidiare l’atrio e non la guardò due volte.
Una volta fuori dall’edificio, attraversò la strada verso il parcheggio, ancora aspettandosi che un detective le corresse dietro per chiederle di sapere perché avesse interrogato un prigioniero quando era stata sospesa. Ma non udì niente.
Anzi, era completamente sola con i suoi passi e il battito del cuore mentre tutti gli addetti alle pulizie fuori servizio percorrevano la strada fino alla fermata dell’autobus e alla metro. Apparentemente nessuno veniva al lavoro in macchina.
Fu solo quando ebbe raggiunto il primo piano della scala che udì un suono di passi sotto di lei. Erano rumorosi e pesanti e sembravano uscire dal nulla. Li avrebbe notati prima se prima ci fossero stati. Non potevano venire dall’altro lato della strada. Era quasi come se qualcuno avesse atteso il suo arrivo per cominciare a muoversi.
Puntò alla macchina, più o meno a metà della fila di sinistra. I passi la seguivano, e adesso divenne chiaro che non si trattava di un paio di scarpe, ma di due, entrambe chiaramente appartenenti a degli uomini. L’andatura era fitta e sgraziata, e ne udiva uno ansimare leggermente.
Era possibile che quegli uomini fossero detective, ma ne dubitava. Probabilmente si sarebbero già identificati se avessero voluto farle delle domande. E se fossero stati poliziotti dagli intenti malevoli, non l’avrebbero approcciata nel parcheggio delle Twin Towers. C’erano telecamere dappertutto. Se fossero stati sul libro paga di Cave e avessero voluto farle del male, avrebbero aspettato che uscisse dalla proprietà cittadina.
Keri fece involontariamente scivolare la mano sulla fondina della pistola prima di ricordare di aver lasciato la sua arma personale nel bagagliaio. Aveva voluto evitare domande dalla sicurezza, e aveva deciso che portare l’arma personale in una prigione della città non avrebbe raggiunto quell’obiettivo. Per la stessa ragione, la pistola da caviglia si trovava nello stesso posto. Era disarmata.
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