“Che cosa sta dicendo, di preciso?” chiese Keri.
“Diciamo solo che da qualche parte, lungo la strada, ha perso il bisogno di giustificare le transazioni. Ha presente quell’evento di domani sera?”
“Sì?”
“È parto del suo ingegno,” disse Anderson. “Attenzione, lui non vi partecipa. Ma ha capito che c’era un mercato per quel tipo di roba e per tutte le festività più piccole e simili nel corso di tutto l’anno. Ha riempito quella nicchia. Essenzialmente controlla la versione esclusiva di quel… mercato nella zona di Los Angeles. E pensare che prima di me lavorava in un ufficio a una sola stanza accanto a un negozio di ciambelle rappresentando immigranti illegali che talvolta venivano accusati di crimini sessuali da poliziotti a caccia di gloria.”
“Allora lei ha sviluppato una coscienza?” chiese Keri a denti stretti. Era disgustata, ma voleva risposte, e temeva che a essere troppo aperta col disgusto avrebbe fatto chiudere Anderson. Lui parve percepire come si sentiva lei, ma proseguì comunque.
“Non ancora. Non è stato questo. È accaduto molto dopo. Circa un anno e mezzo fa ho visto sui notiziari locali la storia di una detective e del suo partner che avevano salvato questa ragazzina rapita dal ragazzo della sua babysitter, inquietante davvero.”
“Carlo Junta,” disse Keri automaticamente.
“Giusto. Comunque, nella storia hanno accennato che la detective era la stessa che era entrata all’accademia di polizia qualche anno prima. E hanno mostrato un filmato preso da un’intervista dopo il diploma all’accademia. Diceva di essere entrata nelle forze dell’ordine perché sua figlia era stata rapita. Diceva che anche se non era riuscita a salvare sua figlia, magari da poliziotta avrebbe potuto aiutare a salvare la figlia di un’altra famiglia. Le suona familiare?”
“Sì,” disse dolcemente Keri.
“Quindi,” continuò Anderson, “dato che lavoravo in una biblioteca e avevo accesso a ogni tipo di vecchi filmati dei notiziari, sono tornato indietro e ho scoperto la storia di quando la figlia della signora era stata rapita e la conferenza stampa immediatamente successiva, in cui implorava perché sua figlia tornasse sana e salva.”
Keri tornò alla conferenza, che era quasi tutta offuscata. Ricordava di aver parlato a una dozzina di microfoni sparati davanti alla faccia, implorando l’uomo che le aveva preso la figlia in un parco, che l’aveva gettata in un furgone come una bambola di cenci, di restituirgliela.
Ricordò l’urlo di “ti prego, mamma, aiutami” e le codine bionde che saltavano allontanandosi da lei mentre Evie, che all’epoca aveva solo otto anni, spariva oltre il campo verde. Ricordò i pezzi del ghiaino che aveva ancora incastrati nei piedi durante la conferenza, intrappolatisi lì quando aveva corso a piedi nudi per il parcheggio, rincorrendo il furgone finché questi non l’aveva lasciata nella polvere. Ricordava tutto.
Anderson aveva smesso di parlare. Lo guardò e vide che aveva gli occhi rigati di lacrime, proprio come lo erano quelli di lei. Lui insistette.
“Dopo, ho visto un’altra storia qualche mese più tardi dove questa detective aveva salvato un altro bambino, stavolta un ragazzino rapito mentre andava agli allenamenti di baseball.”
“Jimmy Tensall.”
“E un mese dopo aveva trovato una bimba che era stata presa proprio dal carrello del supermercato. La donna che l’aveva rapita si era fatta fare un finto certificato di nascita e progettava di portare la piccola in aereo in Perù. Lei l’ha beccata al gate quando stava per salire a bordo.”
“Me lo ricordo.”
“È stato allora che ho deciso di non poterlo fare più. Ogni transazione mi ricordava di quella conferenza stampa in cui lei implorava per il ritorno di sua figlia. Non potevo più tenere la cosa a distanza di sicurezza. Mi sono addolcito, immagino. E più o meno in quel periodo, il nostro amico ha commesso un errore.”
“Quale?” chiese Keri sentendo un formicolio che le veniva solo quando percepiva che stava per essere rivelato qualcosa di grosso.
Thomas Anderson la guardò, e lei capì che stava combattendo contro una decisione interiore piuttosto grande. Poi il sopracciglio gli si lisciò e gli occhi gli si schiarirono. Pareva aver fatto la sua scelta.
“Lei si fida di me?” chiese piano.
“Che diavolo di domanda è? È impossibile cazzo che…”
Ma prima che avesse finito la frase, lui aveva spinto via il tavolo che li separava, le aveva messo le manette che aveva ai polsi attorno al collo e l’aveva spinta a terra, scivolando all’indietro in un angolo della sala interrogatori.
Quando l’agente Kiley si precipitò nella stanza, Anderson usò il corpo di lei come scudo, tenendosela davanti. Keri provò un’acuta puntura al collo e abbassò lo sguardo per vedere che cosa fosse. Sembrava il manico affilato di uno spazzolino da denti. E ce l’aveva schiacciato contro la giugulare.
Keri era totalmente sbalordita. Un attimo prima Anderson si era commosso al pensiero di sua figlia scomparsa. Adesso le teneva alla gola un pezzo di plastica affilato come un rasoio.
Il suo primo istinto fu di fare una mossa per spezzargli la presa. Ma sapeva che non avrebbe funzionato. Non c’era mossa che potesse fare prima che lui fosse in grado di ficcarle lo spuntone di plastica nella vena.
Inoltre, c’era qualcosa che non andava. Anderson non le aveva mai dato l’impressione di provare astio nei suoi confronti. Sembrava invece che lei gli piacesse. Sembrava volerla aiutare. E, se aveva davvero il cancro, quello era un esercizio infruttuoso. Si era detto che sarebbe morto presto.
È un modo per evitare l’agonia, la sua versione di suicidio tramite un poliziotto?
“Gettalo, Anderson!” urlò l’agente Kiley, l’arma puntata nella sua vaga direzione.
“Metti giù la pistola, Kiley,” disse Anderson, sorprendentemente calmo. “Sparerai accidentalmente all’ostaggio e la tua carriera sarà finita prima ancora di cominciare. Segui la procedura. Avverti il tuo superiore. Fa’ venir qui un negoziatore. Non ci dovrebbe volere molto. Il dipartimento ne ha sempre uno reperibile. Uno probabilmente potrà essere in questa stanza nel giro di dieci minuti.”
Kiley rimase lì in piedi, incerto su come procedere. Gli occhi gli saettavano avanti e indietro da Anderson a Keri. Gli tremavano le mani.
“Ha ragione lui, agente,” disse Keri cercando di imitare il tono rassicurante di Anderson. “Segui la procedura e la cosa si risolverà. Il prigioniero non andrà da nessuna parte. Esci e assicurati che la porta sia chiusa. Fa’ le tue telefonate. Io sto bene. Il signor Anderson non mi farà del male. Chiaramente vuole negoziare. Perciò devi portar qui qualcuno che sia autorizzato a farlo, okay?”
Kiley annuì ma i piedi gli rimasero radicati sul posto.
“Agente Kiley,” disse Keri, stavolta con maggiore fermezza, “esci e chiama il tuo supervisore. Subito!”
Ciò sembrò far riprendere Kiley. Si ritrasse dalla stanza e chiuse a chiave la porta, e afferrò il telefono a parete, senza mai lasciarli con la vista.
“Non abbiamo molto tempo,” sussurrò Anderson nell’orecchio di Keri ammorbidendo leggermente la pressione della plastica contro alla sua carne. “Scusi di tutto, ma è l’unico modo in cui potevo essere sicuro che potessimo parlare in completa confidenza.”
“Davvero?” sussurrò Keri, per metà furiosa e per metà sollevata.
“Cave ha gente ovunque, qui dentro e là fuori. Dopo di ciò, io sono di sicuro finito. Non supererò la notte. Potrei non superare la prossima ora. Ma sono più preoccupato per lei. Se lui pensa che lei sappia tutto quello che so io, potrebbe farla eliminare, a prescindere dalle conseguenze.”
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