“Da quando ho chiuso il caso di papà... non lo so. A essere sincera, credo che cercassi semplicemente di scacciare qualsiasi pensiero su di te. Credevo che, visto che ero riuscita a lasciarmi la storia di papà alle spalle, avrei potuto fare lo stesso con te. Ed ero pronta a farlo. Ma poi è arrivato Kevin, e io e Ellington ci siamo resi conto che in realtà non stavamo offrendo al nostro bambino una famiglia completa, al di là di noi due. Vogliamo che Kevin abbia dei nonni, capisci?”
“Ha anche una zia, sai” le fece notare Patricia.
“Lo so. Dov'è Stephanie, a proposito?”
“Alla fine si è trasferita a Los Angeles. Non so nemmeno che lavoro faccia, e ho paura di chiederlo. Non le parlo da circa due mesi.”
Questo ferì un po’ Mackenzie. Aveva sempre saputo che Stephanie era una specie di mina vagante quando si trattava di qualsiasi tipo di stabilità nella vita. Tuttavia, raramente si fermava a pensare che anche Stephanie fosse una figlia che aveva scelto di vivere una vita quasi completamente distaccata da sua madre. Seduta sul divano, con il Margarita in mano, per la prima volta Mackenzie si domandò come dovesse sentirsi sua madre, sapendo che entrambe le figlie avevano deciso che le loro vite sarebbero state migliori senza di lei.
“Sento di doverti chiedere scusa”, disse Mackenzie. “So che ti ho allontanato molto, dopo il funerale di papà. Avevo solo dieci anni, quindi forse non ero consapevole di quello che stavo facendo, ma... sì. Ho continuato a farlo per il resto della mia vita. Ma stammi a sentire, mamma... Voglio che Kevin abbia una nonna. Sul serio. E spero che lo voglia anche tu.”
Patricia fu di nuovo sopraffatta dalle lacrime. Si sporse sul divano, annullando la distanza tra loro e avvolgendo le braccia attorno a Mackenzie. “Anche io ti ho tenuta lontana” disse Patricia. “Avrei potuto chiamare o fare qualche sforzo. Ma quando ho realizzato che te la sapevi cavare da sola, anche se eri una bambina, ho lasciato perdere. Ero quasi sollevata. E spero che tu possa perdonarmi per questo.”
“Posso farlo. E tu puoi perdonarmi per averti allontanata?”
“L'ho già fatto,” disse Patricia, rompendo l'abbraccio e sorseggiando dal suo Margarita per arginare il flusso delle lacrime.
Mackenzie si sentiva pizzicare gli occhi, ma non era ancora pronta per comportarsi in modo così aperto di fronte a sua madre. Si alzò, si schiarì la voce e buttò giù il resto del suo drink.
“Usciamo di qui,” disse. “Andiamo a cena da qualche parte. Offro io.”
Un'espressione di incredulità attraversò il viso di Patricia White, per poi dissolversi e lasciare il posto ad un sorriso. Mackenzie non ricordava di aver mai visto sua madre sorridere così; era come vedere una persona diversa. E forse era davvero una persona diversa. Se avesse concesso a sua madre una possibilità, forse avrebbe scoperto che la donna che aveva respinto così a lungo non era il mostro che si era convinta che fosse.
Dopotutto, anche Mackenzie era una persona completamente diversa rispetto a quando aveva dieci anni. Accidenti, era una persona diversa anche rispetto a poco più di un anno prima, quando aveva parlato per l'ultima volta con sua madre. Se avere un bambino le aveva insegnato qualcosa, era che la vita poteva mutare alquanto repentinamente.
E se la vita poteva cambiare così rapidamente, perché non potevano farlo anche le persone?
La mattina seguente, Mackenzie si svegliò con una leggerissima sbornia. Riallacciare i rapporti con la madre a cena era stato piacevole, così come i drink che avevano bevuto in seguito. Mackenzie era arrivata alla sua stanza d'albergo – quella lussuosa che lei ed Ellington avevano concordato – ed era scivolata nella vasca con una bottiglia di vino ordinata tramite il servizio in camera. Sapeva che quei due bicchieri extra erano stati probabilmente troppo, ma pensò che se lo meritava, dopo aver cresciuto un essere umano nel suo grembo e aver dovuto rinunciare all'alcool per tutto il tempo della gravidanza – senza dimenticare anche in seguito, durante l’allattamento.
Il leggero mal di testa che aveva quando si alzò dal letto e cominciò a vestirsi era un prezzo minimo da pagare. Era bello essere sola dopo aver iniziato lentamente a ricucire il rapporto con sua madre. Si erano aggiornate a vicenda, condividendo storie e anche alcuni dispiaceri. Lasciandosi, quella sera, si erano messe d’accordo per rivedersi la settimana successiva, dopo che Mackenzie fosse tornata a casa e avesse deciso cosa fare del suo lavoro; adesso c'era solo un'altra voce da spuntare nella lista di Mackenzie, finché si trovava in Nebraska.
Aveva l’impressione di avere chiuso il cerchio. Viaggiare da sola, vedere sua madre, godersi gli ampi spazi aperti che il luogo aveva da offrire. Anche se non era una che si lasciasse andare ai sentimentalismi, non poteva ignorare l’impulso di tornare dalla sua vecchia centrale, quella dove aveva iniziato la sua carriera come detective quasi sei anni prima.
Dopo aver fatto colazione, partì diretta proprio lì. Il dipartimento si trovava a un'ora e mezza di auto dal suo albergo a Lincoln. Il suo volo per Washington sarebbe partito solo sette ore dopo, quindi aveva un sacco di tempo. Onestamente, non sapeva nemmeno perché ci stesse andando. Il suo superiore non le era mai piaciuto e, per quanto si vergognasse di ammetterlo con se stessa, riusciva a malapena a ricordare i colleghi poliziotti. Naturalmente, ricordava l'agente Walter Porter. Era stato suo partner per un breve lasso di tempo, ed era stato al suo fianco durante il caso del Killer dello Spaventapasseri – il caso che alla fine aveva attirato su di lei l'attenzione dell'FBI.
Tutti i ricordi le tornarono alla mente mentre parcheggiava l’auto lungo la strada davanti alla centrale. Adesso sembrava molto più piccola, ma in un modo che la rendeva orgogliosa di saperlo. Più che nostalgia, provava una sensazione di familiarità che le scaldava il cuore.
Attraversò la strada ed entrò, senza riuscire a trattenere un sorriso. Il piccolo ingresso portava al bancone dell’accettazione, che era protetto da un vetro scorrevole. Dietro la donna seduta alla scrivania, c’era un piccolo ufficio, che non sembrava cambiato di una virgola da quando Mackenzie aveva messo piede lì l’ultima volta. Si avvicinò al vetro, felice di trovare un viso familiare, anche se non pensava a quella persona da un sacco di tempo.
Nancy Yule sembrava non essere invecchiata affatto. Aveva ancora le foto dei figli sistemate sulla scrivania, e la stessa targhetta accanto al telefono, che recitava versi della Bibbia che Mackenzie non ricordava.
Nancy alzò lo sguardo e le ci volle qualche secondo per realizzare chi avesse davanti. “Oh mio Dio,” disse poi, alzandosi in piedi e correndo verso l’uscita del cubicolo. La porta si aprì e Nancy si precipitò fuori, avvolgendo Mackenzie in un abbraccio.
“Nancy, come stai?” disse Mackenzie, ricambiando l'abbraccio.
“Come sempre, come sempre” disse Nancy. “Tu piuttosto, come stai? Sei in gran forma!”
“Grazie. Sto bene. Sono appena stata a trovare mia madre e ho pensato di fare un salto per vedere i miei vecchi colleghi, prima di tornare a casa.”
“Abiti ancora a Washington?”
“Sì.”
“Sei ancora nell’FBI?”
“Sì. Posso dire di stare vivendo il mio sogno. Mi sono sposata e ho avuto un figlio.”
“Sono così felice per te,” disse Nancy, e Mackenzie non dubitava della sua sincerità. Un velo di tristezza le calò sul viso, però, quando aggiunse: “Però non sono così sicura che la tua visita qui sarà molto felice. Tutto è cambiato.”
“Tipo cosa?”
“Ecco, il capitano Nelson è andato in pensione l'anno scorso. Il sergente Berryhill ha preso il suo posto. Te lo ricordi?”
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