Blake Pierce - Una Ragione per Morire

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“Una trama dinamica che ti afferra dal primo capitolo e non ti lascia più andare.” --Midwest Book Review, Diane Donovan (su Il killer della rosa)Dall’autore #1 di gialli best seller Blake Pierce arriva un nuovo capolavoro di tensione psicologica— UN MISTERO DI AVERY BLACK —che continua qui con UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6), un romanzo standalone. La serie inizia con UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #1)—disponibile come download gratuito con più di 200 recensioni a cinque stelle!Una donna viene ritrovata morta nel suo appartamento, chiusa in un guardaroba, ricoperta da ragni velenosi, e la polizia di Boston è in difficoltà. Gli indizi non portano a niente e tutti temono che l’assassino colpisca di nuovo. Disperata, la polizia non può fare altro che rivolgersi alla detective più brillante e controversa, Avery Black. Ormai ritirata, Avery, che sta vivendo un momento difficile, accetta con riluttanza di aiutare con il caso. Ma quando cominciano a trovare altri corpi, assassinati in modi grotteschi e inusuali, non può evitare di chiedersi: che si tratti di un serial killer in libertà?   Tra l’intensa pressione dei media e lo stress di ritrovarsi con una nuova partner senza esperienza, Avery è spinta al limite cercando di risolvere il bizzarro caso, e di evitare di precipitare nell’abisso.  Può solo cadere sempre più a fondo nella mente perversa dell’assassino, che contiene più segreti di quanti ne possa immaginare. Il libro più appassionante e scioccante della serie, un thriller psicologico di una suspense mozzafiato, UNA RAGIONE PER MORIRE vi terrà incollati alle pagine fino a notte fonda. “Un capolavoro del mistero e del giallo. Pierce ha fatto un lavoro magnifico sviluppando personaggi con un lato psicologico, descritti tanto bene che ci sembra di essere nelle loro teste, a provare le loro paure e applaudendo i loro successi. La trama è intelligente e vi terrà con il fiato sospeso per tutto il libro. Pieno di svolte inaspettate, questo libro vi terrà svegli fino a quando non avrete girato l’ultima pagina.” --Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il killer della rosa)

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Ad essere sincera, Avery era colpita che avesse resistito così a lungo. Specialmente dopo l’ultimo caso, nel corso del quale era stata letteralmente in pericolo di vita. E non era stata la prima volta.

Il rumore di un rametto che si spezzava interruppe i suoi pensieri. Spalancò gli occhi e ancora una volta si trovò a fissare gli alberi ormai quasi senza foglie sopra di sé. Lentamente allungò una mano verso il Remington, mentre dietro di lei qualcosa continuava a fare rumore.

Strinse a sé il fucile e lo preparò lentamente. Si mosse con abilità e grazia, sollevandosi sui gomiti. Espirò e inspirò, accertandosi di non muovere nemmeno una foglia con il respiro. Scrutò con attenzione l’area sotto il piccolo dosso dietro cui era nascosta e notò un cervo ad ovest, a circa settanta iarde di distanza. Era un maschio, con otto corna da quello che riusciva a vedere. Niente di esaltante, ma almeno era qualcosa. Ne vide un altro poco più avanti, ma era in parte coperto da due alberi.

Si sollevò un altro po’, appoggiando il fucile sul lato della quercia caduta. Flesse il dito sul grilletto e strinse la presa sul calcio. Prese la mira e lo trovò un colpo leggermente più difficile del previsto. Quando riuscì a trovare la posizione perfetta attraverso il mirino, sparò.

Il rimbombo del fucile riempì tutta la foresta. Il rinculo fu percettibile ma leggero. Non appena ebbe sparato si rese conto di aver mirato troppo a destra, perché le si era spostato il gomito quando aveva premuto il grilletto.

Non vide mai la fuga del cervo.

Mentre il suono dello sparo le riempiva le orecchie e i boschi, qualcosa dentro di lei sembrò tremare e paralizzarsi. Per un doloroso momento non riuscì a muoversi. E in quell’istante non fu più tra gli alberi, intenta a cacciare con poco successo un cervo. Invece era nel soggiorno di Jack. C’era sangue ovunque. Sia lui che la sua ragazza erano stati uccisi. Lei non era riuscita a impedirlo, e si sentiva come se fosse lei stessa la loro assassina. Rose aveva ragione. Era colpa sua. Avrebbe potuto fermarlo se fosse stata più veloce… se fosse stata più brava.

Il sangue brillava rosso acceso e gli occhi di Jack la fissavano, morti e supplicanti. Ti prego, sembravano dire, ti prego, devi impedirlo. Aiutaci.

Avery lasciò cadere il fucile. Il rumore dell’arma a terra la riportò alla realtà e ancora una volta si ritrovò a piangere apertamente. Le lacrime erano calde e inarrestabili, come lame infuocate sulle sue guance altrimenti gelate.

“È colpa mia,” disse rivolta alla foresta. “È stata colpa mia. Tutto quanto.”

Non solo Jack e la sua ragazza… no. Anche Ramirez. E chiunque altro non fosse riuscita a salvare. Avrebbe dovuto impegnarsi di più, essere più brava.

Ripensò alla foto di Jack e Rose davanti all’albero di Natale e si accartocciò a terra vicino alla quercia caduta, cominciando a tremare.

No, si intimò. Non ora, non qui. Ricomponiti, Avery.

Lottò contro quell’ondata di emozioni e le ricacciò indietro. Non fu troppo difficile. Dopo tutto aveva fatto molta pratica nel corso dell’ultima decina di anni. Si rialzò lentamente in piedi, riprendendo il fucile da terra. Quasi non si guardò nemmeno alle spalle, dove erano stati i due cervi. Non provava niente per il colpo mancato. Non le importava più di nulla.

Ritornò nella direzione da dove era venuta, portando il Remington su una spalla e dieci anni di senso di colpa e fallimento nel cuore.

*

Sulla strada del ritorno, Avery rifletté che era stata una fortuna non aver ucciso il cervo. Non aveva idea di come avrebbe potuto portarlo fuori dal bosco. Trascinandolo all’auto? Legandolo con una corda sul tettuccio della macchina e guidando molto piano verso casa? Sapeva abbastanza di caccia da essere consapevole che era illegale lasciarlo a marcire nel bosco.

In qualsiasi altro momento, avrebbe trovato esilarante l’immagine mentale di un cervo attaccato sopra la sua auto, ma in quel momento era solo un’altra svista. Qualcos’altro su cui non aveva riflettuto abbastanza.

Proprio mentre stava per svoltare sulla sua strada, il trillo del cellulare la riportò con i piedi per terra. Lo afferrò dalla console e lesse un numero che non riconobbe, ma un prefisso che aveva visto per quasi tutta la sua vita. La chiamata arrivava da Boston.

Rispose con una sana dose di scetticismo, avendo imparato, grazie alla sua carriera, che spesso i numeri sconosciuti portavano guai. “Pronto?”

“Pronto, parlo con la signora Black? La signora Avery Black?” domandò una voce maschile.

“Sono io. Chi è?”

“Mi chiamo Gary King. Sono l’affittuario dell’appartamento dove vive sua figlia. Lei è segnalata come parente più stretto nei suoi documenti e…”

“Rose sta bene?” Lo interruppe Avery.

“Per quel che ne so, sì. Ma la sto chiamando per qualcos’altro. Tanto per iniziare è in ritardo con l’affitto. Di due settimane ed è la seconda volta in tre mesi. Ho cercato di andare lì per parlargliene ma non mi ha mai risposto alla porta. E neanche al telefono.”

“Sono sicura che non ha bisogno di me per risolvere la faccenda,” disse lei. “Rose è una donna adulta e può sopportare una sgridata del suo padrone di casa.”

“Beh, non è solo questo. Ho ricevuto delle chiamate di una sua vicina che si lamenta di grida e pianti che vanno avanti tutta la notte. La stessa vicina dice di essere piuttosto amica di Rose e che ultimamente non è stata molto bene. A quanto pare continuerebbe a parlare di quanto tutto faccia schifo e di quanto la sua vita sia priva di senso. È preoccupata per lei.”

“E chi sarebbe questa amica?” volle sapere Avery. Era difficile opporsi, si sentiva già scivolare in modalità detective.

“Mi spiace, non posso dirlo. La privacy e tutta quella roba lì.”

Avery era abbastanza certa che avesse ragione, quindi non insistette. “Capisco. Grazie per la chiamata, signor King. La chiamo subito e farò in modo che abbia il suo affitto.”

“Va bene e grazie… ma sinceramente sono più in ansia per Rose. È una brava ragazza.”

“Sì, lo è,” disse Avery, e chiuse la chiamata.

A quel punto, era a meno di mezzo miglio dalla sua nuova casa. Trovò il numero di Rose e lo chiamò, premendo con più energia il piede sul pedale del gas. Credeva di sapere cosa sarebbe successo di lì a poco, ma provò un pizzico di speranza ogni volta che il telefono le squillò all’orecchio.

Come si era aspettata, la chiamata finì nella segreteria telefonica. Rose aveva risposto a una sola delle sue telefonate da quando suo padre era stato assassinato, e quando era successo era stata incredibilmente ubriaca. Avery preferì non lasciare un messaggio, sapendo che la figlia non l’avrebbe ascoltato, né tantomeno l’avrebbe richiamata a sua volta.

Parcheggiò nel proprio vialetto d’ingresso lasciando il motore acceso, e corse dentro per indossare una tenuta più presentabile. Fu di ritorno all’auto tre minuti più tardi, e si mise in viaggio verso Boston. Era certa che Rose sarebbe stata furiosa scoprendo che la madre era tornata in città per controllare come stava, ma Avery non vedeva altra possibilità, dopo l’appello di Gary King.

Non appena la strada si fece più facile e con meno curve, prese velocità. Non sapeva bene cosa le avrebbe portato il futuro in termini di lavoro, ma c’era una cosa che le sarebbe mancata della sua carriera in polizia: l’abilità di superare il limite di velocità ogni volta che voleva.

Rose era nei guai.

Lo sentiva.

CAPITOLO DUE

Era appena passata l’una quando Avery arrivò alla porta di Rose. La figlia viveva in un appartamento a piano terra in una parte abbastanza decente della città. Riusciva a permetterselo grazie alle mance che prendeva lavorando come barista in un locale alla moda, un posto che aveva trovato poco dopo che Avery si era trasferita nella sua cabina. Prima ancora aveva avuto un lavoro decisamente meno gratificante: era stata cameriera in un ristorante per famiglie e aveva integrato lo stipendio correggendo bozze per una ditta pubblicitaria. Avery avrebbe voluto che si convincesse a finire il college, ma sapeva anche che più avesse insistito e meno favorevole Rose sarebbe stata a seguire i suoi consigli.

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