La mamma si impegnava attivamente nel gruppo. Mossa da un ardente spirito missionario, visitava numerose famiglie, come i Saler, che aiutò a uscire dalla miseria e a condurre una vita più dignitosa. In effetti non si accontentava di impartire alle persone istruzione biblica, ma le sosteneva anche materialmente. Andava pure a trovare Martina Ast, una dinamica ventenne, che serviva presso una famiglia ebrea proprietaria del più grande negozio di Mulhouse, Les Galeries Lafayette. Mi piaceva recarmi da lei con la mamma. Poneva domande interessanti sulla Bibbia e ci offriva degli eccellenti dolci! A volte giocava anche con me.
Fra i nostri numerosi amici apprezzavamo in modo particolare i Koehl. Un giorno i miei genitori li invitarono e io mi misi accanto alla finestra ad aspettarli, piena di una gioiosa impazienza. Si presentarono nonostante il tempo gelido. Il signor Koehl si chiamava Adolphe proprio come il papà. Con una mano guidava dolcemente sua moglie per il gomito, con l’altra teneva la cagnetta al guinzaglio. Le mani delicate di Maria erano protette da uno spesso manicotto di pelliccia abbinato al colletto di volpe argentata del suo mantello. La coppia pareva appena uscita dalle pagine di un giornale di moda.
Nel salotto i due Adolphe si erano lanciati in una discussione piena di brio, mentre le loro mogli si scambiavano ricette di cucina. Più tardi suonai al pianoforte la canzone preferita di Maria, La Paloma, poi la mamma mi incaricò di servire il tè. Le mie orecchie facevano la spola fra i due gruppi, ma l’orecchio sinistro ebbe la meglio, irresistibilmente attratto dalla conversazione dei due uomini.
“Chi si crede di essere, Dio?”
“Non è altro che una marionetta nelle mani dei demoni”.
“Si proclama l’Heiland della Germania, il suo salvatore. Non è altro che un vermiciattolo!”
“Ma un vermiciattolo terribilmente malefico, un essere marcio fino al midollo!”
“Passa da una vittoria all’altra”.
« “È vero, ma non trionferà sui testimoni di Geova”. 6»
6Adophe Koehl faceva parte del gruppo degli Studenti Biblici di Mulhouse quando questi presero la decisione di mandare, il 7 ottobre 1934, un cablogramma di protesta al governo nazista riguardo alla persecuzione dei testimoni di Geova in Germania. Rappresentanti dei Testimoni di 50 paesi avevano controfirmato quel cablogramma, che aveva reso Hitler folle di rabbia.
Mi domandavo chi fosse quel “lui” a cui alludevano. La conversazione si spostò su un libro che i nostri ospiti ci avevano portato, Kreuzzug gegen das Christentum (Crociata contro il cristianesimo) 7. Il volume era aperto a una pagina dove figurava la piantina di una specie di campo recintato.
7Durante l’anno 1938 Franz Zürcher pubblicò quel libro, edito dalla casa editrice Europa di Zurigo, che prendeva in considerazione la persecuzione dei testimoni di Geova in Germania. Si potevano vedere schizzi e piantine dei campi di concentramento di Esterwegen e di Sachsenhausen.
“Riceviamo informazioni di estrema importanza. Ci aiuteranno a essere ‘cauti come serpenti, ma innocenti come colombe’”.
Quando i Koehl se ne andarono, lasciarono un po’ del tipico odore del loro salone di parrucchiere, ma anche un grande vuoto. Sentivo già la loro mancanza. Era come se avessi ereditato altri due genitori.
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Mi ritrovai a Bergenbach con zia Eugénie che aveva deciso di non mettere più piede nel nostro appartamento. Mi accorsi che la nonna mi trattava diversamente rispetto ad Angèle. Mi faceva lavorare. “Va’ a prendere due grossi pani al villaggio. Adesso sei abbastanza grande”. Saltellando con leggerezza, discesi il pendio immaginando che sulla schiena mi fossero spuntate due ali.
Era curioso, eppure mi pareva che, al mio passaggio, tutti bisbigliassero: “Non è troppo piccola per questo?” Troppo piccola? Era Angèle ad essere troppo piccola, aveva quasi due mesi meno di me! Io ero cresciuta in una sola notte, come un fungo. La nonna se n’era resa conto e anche le vacche. Le conducevo al pascolo accompagnata dal tintinnio delle loro campane. Perché la gente non voleva rendersi conto che ormai ero quasi una ragazza?
Mi ricredetti al momento di risalire il pendio con due pani appena sfornati di due chili e mezzo ciascuno. Il sole era cocente quanto i pani e io cercavo di alleggerire le mie spalle infilando le mani sotto le bretelle dello zaino. Strada facendo mi fermavo sempre più spesso per posare il carico. Il fresco mormorio del ruscello mi invitava, ma la mamma mi aveva raccomandato: “Quando sei sudata non mettere mai i piedi nell’acqua ghiacciata, altrimenti ti ammalerai come è successo a me. Guarda le mie mani e i miei piedi deformati dall’artrosi”.
Giunta ai piedi della rampa, la più ripida prima della fattoria, stavo per scoppiare in singhiozzi. Ma i rumori familiari che mi giunsero in quel momento – l’abbaiare del cane, lo schiamazzo delle galline con i loro “coccodé”, lo sciacquio dell’acqua della fontana – mi ridiedero coraggio. Quando incontrai mia cugina alzai il mento con fierezza: non era cresciuta in una sola notte, lei!
La nonna diventava di giorno in giorno sempre più malinconica e irritabile. La partenza della figlia prediletta si avvicinava a grandi passi. Zia Valentine, in effetti, si sarebbe trasferita a Cusset, presso Vichy, dove suo marito aveva trovato un alloggio.
Zia Eugénie, anche lei triste, non ci allietava più con canti, indovinelli e giochi. I suoi datori di lavoro, i Koch, avevano preferito ritirarsi verso “l’interno” (in questo modo in Alsazia si indicava il resto della Francia), perché sembrava una zona più sicura. La nonna le aveva intimato: “Invece tu resterai qui! Non hai niente a che fare con la Francia!” Circolavano voci su una possibile guerra. Il nonno non ci credeva, la nonna sì.
Al pranzo festivo, l’ultimo con la famiglia al completo, regnava un’atmosfera lugubre. Avevano tutti il cuore infranto, tranne Angèle e io. Attendevamo con impazienza di alzarci da tavola per salire in soffitta. Avevamo deciso di celebrare una cerimonia speciale per il nostro addio. Svuotammo ancora una volta il baule e indossammo i vestiti, le scarpe, i nastri e i pizzi del secolo passato. Intorno a noi erano sparsi pile di giornali, raccolte di novelle e libri ingialliti. Quante volte li avevamo sfogliati insieme! Vi avevamo letto molte informazioni, allegre e tristi. Avevamo anche trovato delle opere teatrali sull’Inquisizione! Ma tutto questo era giunto al termine. Era il momento di prestare giuramento solenne di mutua fedeltà. Ci promettemmo anche di scambiarci per posta i compiti delle nostre bambole.
Come il solito, gli animi degli adulti seduti a tavola al piano di sotto si stavano accendendo. Parlavano della conferenza di Monaco alla quale avevano partecipato Lord Chamberlain, Primo Ministro inglese, e Daladier, Presidente del Consiglio francese; insieme con Mussolini e Hitler avevano cercato di risolvere il problema dei Sudeti. Mia cugina si spaventò nell’udire in una frase la parola “guerra”. Essendo più grande di lei, mi sentii in dovere di rassicurarla. D’altra parte, avevo capito tutto! Basandomi sui suoni dei nomi propri che avevo appena ascoltato, le assicurai che i politici si erano riuniti in una camera dove si erano riconciliati intorno a un’insalatiera piena di mousse – secondo me al cioccolato – e che non avevano più problemi di sudorazione, perché la questione complicata che li faceva sudare era stata risolta. Conclusi: “Angèle, non aver paura; anche se ci sarà una guerra, il mio papà sa come fermarla. Mi ha detto che sarebbe sufficiente obbligare i soldati a togliersi le uniformi e andare in giro con la biancheria intima”. Riflettemmo seriamente su questa battuta e trovammo quella soluzione davvero eccellente.
Gli uomini uscirono e le donne diedero loro il cambio; l’eco dei loro litigi giungeva fino alla soffitta.
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