Inviolata
PARTE 1 PARTE 1
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Definita
L’autore
PARTE 1
“Neppure il future più luminoso può compensare il fatto che nessuna strada può riportare a quello da cui proveniamo–all’innocenza della fanciullezza o alla prima volta che ci innamoriamo.”
Jo Nesbo
Washington D.C.
16 anni fa
La pioggia fendeva il cielo notturno, il vento forte faceva sì che le gocce di pioggia colpissero le finestre con una violenza rabbiosa. Il temporale era una forza della natura, potente a sufficienza da potersi paragonare alla sofferenza che stava attraversando il mio corpo. Urlai per il dolore. Il mio urlo fu più forte del tuono che rombava all’esterno.
Voci attorno a me, il loro suono solo un’eco lontano nella mia mente. Non sapevo se fosse perché non ero in grado di sentirle o se semplicemente non volevo farlo. L’odore dell’antisettico era pungente nell’aria, ma io a malapena lo sentivo. Riuscivo a concentrarmi solo sul dolore. Il dolore nel mio cuore. Nel mio corpo. Non ero in grado di decidere dove mi facesse più male. Sapevo solamente che tutto proveniva dal fuoco che mi stava sferzando tutto il corpo.
Piansi di nuovo quando un ennesimo calore insopportabile irruppe dentro di me, il dolore era così forte che pensai potesse spezzarmi in due. Mi travolse un inesplicabile desiderio di fuggire. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma non sapevo se sarei stata in grado di resistere molto più a lungo. Le lacrime offuscarono la mia vista annebbiando le forme in tutta la luminosa stanza bianca come una barriera a tutte le domande che attraversavano la mia mente.
Quando finirà? E quando sarà tutto finito? Sarò in grado di vivere ogni giorno affrontando il ricordo di qualcosa che non ho mai potuto avere?
Le domande mi terrorizzavano ed erano le stesse che mi erano ritornate per la maggior parte dell’anno. Non sapevo se volevo farlo. Non sapevo se ero in grado di farlo. Volevo credere di essere in grado di sopravvivere, ma non ero sicura di avere la forza sufficiente per farcela. Da qualche parte nella mia mente sapevo che il dolore fisico era solo temporaneo. Ma sapevo anche che il dolore nel mio cuore non sarebbe svanito mai.
I coltelli che mi laceravano la schiena e l’addome sembrarono diminuire, concedendomi un momento per ricordare il giorno in cui avevo scoperto il mio destino. Avevo cercato di fuggire. Quella notte era simile a questa con una pioggia battente e lampi che illuminavano il nero cielo della notte.
Ero tornata a casa e avevo impacchettato in fretta e furia le mie cose non ponendo molta attenzione a quello che stavo facendo. Ricordavo quando avevo fatto fatica a smorzare il rumore dei miei singhiozzi mentre gettavo in una valigia il contenuto del mio comò, pregando di ricordarmi di prendere le cose essenziali in quel mio stato sconvolto. C’era stato uno scricchiolio nelle assi del pavimento della vecchia casa vittoriana in cui vivevo. Il rumore mi aveva spaventato.
Alzando lo sguardo dalla valigia avevo visto mia madre, in piedi sulla soglia della mia camera da letto. Colsi quanto fossero comprensivi e gentili i suoi occhi. Quando mi parlò rimasi quasi distrutta dal suono, la sua voce che mi rassicurava nel momento più buio e difficile.
“So perché stai cercando di andartene, Cadence,” aveva detto. “Non devi fuggire. Affronteremo tutto questo insieme come una famiglia. Vieni qui. Asciugati quelle lacrime. C’è un bel temporale là fuori. Dal rumore sembra che San Pietro stia facendo una bella partita a bowling con gli angeli. Che ne dici di sedersi in veranda e godersi lo spettacolo?”
Forzai la mia mente a concentrarsi sul momento presente e fissai la donna che era in piedi vicino al mio corpo indebolito. Mia madre. La mia unica roccia sempre presente. Lacrime riempirono i suoi occhi e sentii crescere la mia tristezza. Era consumata dalla perdita e dal rimpianto. Non avevo mai voluto deluderla. Anche se le mi assicurava che non l’avevo fatto, non ero mai stata in grado di nascondere il mantello di vergogna che indossavo ogni giorno.
Un tuono rimbombò nuovamente all’esterno facendo tremare le finestre. Il mio cuore si strinse. San Pietro oggi non stava giocando a bowling con gli angeli. No. Questa temporale era una dimostrazione della collera di Dio. Nonostante l’apparenza forte di mia madre, sapevo che l’avevo distrutta. Questo dolore era la mia punizione.
Incassai la testa tra le spalle e mi agitai di nuovo quando mi lacerò un nuovo tipo di dolore. Le fiamme feroci erano tornate, più vive e forti di prima. Il mio corpo scosso dai singhiozzi cominciò a tremare e ad agitarsi fino a quando sentii che non potevo resistere più a lungo. Alzai di nuovo lo sguardo verso la donna che significava tutto per me. I suoi occhi, un verde vivace che si accoppiavano ai miei, erano pieni di preoccupazione. Ma erano anche pieni di forza. Cercai di raccogliere ogni suo sussurro di incoraggiamento che mi dava, avendo bisogno di sentire le sue parole attraverso il dolore. Forse era egoistico. Non meritavo di attingere alla sua forza, ma non sapevo se sarei stata in grado di continuare senza di essa.
La mano di mia madre mi accarezzò la testa ripetutamente calmando le mie lacrime. E fu allora che lo sentii. Il suono fu come la musica più bella di un calliope, una melodia potente che fece scomparire tutto il dolore e il tormento.
E improvvisamente… fui libera.
Abingdon, Virginia
17 ANNI PRIMA
Fitz
Osservavo dal finestrino il paesaggio che passava davanti ai miei occhi. Un campo dopo l’altro. Un fienile dopo l’altro. Sembravano essere passate ore da quando avevano lasciato l’interstatale. L’ultimo negozio era stato almeno quindici chilometri prima–se si poteva chiamare negozio. Era più che altro un piccolo minimarket in rovina con un paio di vecchie pompe di benzina all’esterno. Qualsiasi segnale di civiltà sembrava progressivamente scomparire e a ogni chilometro che passava il grande formaggio diventava sempre più caldo. Ah, già, ecco dove ero. In un grande autobus color giallo formaggio.
Mi arrabbiai con me stesso, ancora furioso con mio padre per aver scelto quel grosso rottame come mezzo di trasporto verso quel posto dimenticato da Dio. Faceva anche più caldo delle fiamme dell’inferno in quel maledetto coso. Secondo l’autista, l’aria condizionata era rotta.
Mio padre mi stava trattando come se fossi tornato alle elementari, non come qualcuno che aveva appena terminato il quarto anno alla Georgetown University. Non mi era stato permesso di portare la mia auto qui e neppure di noleggiarne una. Quelle erano le sue regole. Si trattava sempre delle sue regole–e bisognava avere compassione di chiunque cercasse di sfidarlo. Compreso me.
“Ehi Fitz! Guarda lì!”
Girai lo sguardo nella direzione del mio amico, Devon Wilkshire, il mio socio nel crimine che lo aveva messo in quel casino insieme a me. Era stato stravaccato sul sedile di fronte al mio per gran parte del viaggio. Ora era in piedi e stava guardando fuori dai finestrino sudicio.
“Cosa? Altre mucche?” risposi irritato.
Devon rise e colpì il finestrino con il dito.
“Seriamente, guarda,” insistette.
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