Diavolo, sì.
Prima che la settimana fosse finita, quella ragazza sarebbe stata decisamente tutta mia.
“E io? Non hai ancora chiamato il mio nome,” dissi lentamente, nel modo più presuntuoso che potevo avere.
Lei alzò lo sguardo al suono della mia voce, sollevando per la sorpresa un sopracciglio. Occhi verde chiaro incontrarono i miei e io trattenni il respiro. Erano a mandorla, esotici, vivaci e inaspettatamente disarmanti. Le sue labbra si contrassero in una forma che poteva essere descritta solo come un cuore perfetto. Erano piene e seducenti con un sottile strato di lucidalabbra che dava loro una lieve lucentezza.
Dio aiutami, non conoscevo ancora il nome di quella ragazza e non volevo fare altro che abbassarmi e mordere quel labbro inferiore imbronciato.
I suoi occhi erano concentrati mentre mi fissava e una sorta di energia poco conosciuta passò tra di noi. Qualcosa brillò nel profondo del verde dei suoi occhi, ma non ebbi la possibilità di capire cosa fosse. Con mio grande disappunto, distolse lo sguardo troppo presto e diede un’occhiata alle mie spalle.
“Maledizione. Era previsto che quell’autobus arrivasse tra venti minuti almeno,” disse irritata e scosse la testa. Senza perdere un attimo girò una pagina della sua lista. “Nome per cortesia.”
Devon arrivò al mio fianco e gli lanciai un’occhiata. Stava sorridendo da orecchio a orecchio. Pensai che avesse già dei piani stabiliti con la suonatrice di flauto. Spostai la borsa sull’altra spalla e oscillai all’indietro sui tacchi.
“Fitzgerald Quinn,” dissi alla bella bionda. “Ma tu, dolcezza, puoi chiamarmi Fitz.”
“Tutti ti chiamano Fitz,” disse Devon con tono irriverente. Lo colpii sulle costole con il gomito.
Lei ci ignorò e controllò con la matita la lista dei nomi. Si fermò quasi alla fine e alzò gli occhi con un’espressione sorpresa. Il suo sguardo cominciò ad andare tra me e Devon.
“Fitzgerald Quinn. E tu devi essere Devon Wilkshire,” disse incupita.
“L’unico e il solo,” replicò lui piegandosi in un inchino esagerato. Quando tornò in posizione eretta, la sua bocca si atteggiò in un sorriso e le fece l’occhiolino.
Coglione.
Stava flirtando e mi stava facendo incazzare. Avevo già dichiarato le mie intenzioni su quella ragazza.
“Già, so chi siete voi due. Sedetevi laggiù,” disse e indicò una panchina in legno posta tra due grandi querce.
“Perché non mi lasci stare qui ad aiutarti? Prima saranno organizzati questi ragazzi, prima potrai offrirmi un tour privato di questo posto,” proposi facendo l’occhiolino. Cercai di sembrare sicuro di me ma, sorprendentemente, le mie parole in realtà uscirono tremolanti. Deboli. Quasi nervose.
Ma che diavolo?
A ventidue anni non era certo il mio primo tentativo di conquista. Basarmi sul mio fascino era sempre venuto naturalmente. Questa ragazza, però, mi faceva sentire come se fossi tornato ai primi anni delle superiori. Cercando di calmare i miei nervi, misi una mano sul suo avambraccio, appena sotto il gomito e lasciai le mie dita scorrere leggermente sulla sua morbida pelle.
Lei guardò verso la mia mano, una smorfia sul suo volto meraviglioso. Guardò verso il basso irritata. Una leggera brezza arrivò a increspare i suoi capelli facendo sì che le finissero sul viso e le coprissero gli occhi. Quell’ostacolo non mi piaceva. Volevo vedere quegli occhi verdi brillanti e perdermi nel mare di verde che si adattava alla foresta dietro di lei. Mi ci volle tutta la mia forza di volontà per impedirmi di allungare il braccio e spostarle le ciocche di capelli.
Che mi sta capitando?
Scacciai tutti I miei sogni a occhi aperti quando lei mi diede uno strattone con il suo braccio libero con chiaro disprezzo. Scosse la testa, poi si mise la matita tra i denti. Piegandosi leggermente abbassò la cartellina e la mise tra le ginocchia. Allungando il braccio verso la sua tasca posteriore, prese un elastico e si tirò i capelli in una sorta di chignon sulla testa.
Maledizione. Quel semplice gesto era forse la cosa più sexy che avessi mai visto in vita mia.
Dopo che sembrò essere soddisfatta di aver fissato i suoi capelli, riprese un’altra volta la cartellina e la matita, I suoi occhi si strinsero guardandomi.
“No. Non mi serve il vostro aiuto ma ho un sacco di lavoro da fare,” mi disse, la voce carica di disprezzo. “Tornerò da voi dopo che ho sistemato il resto. I ragazzi dalla USC hanno istruzioni speciali.”
USC?
Mi ci volle qualche secondo per capire cosa intendesse.
“La University of Southern California? Non siamo dalla Calif–” cominciai a dire confuso, ma lei tagliò corto.
“So da dove venite. Per ora dovete avere pazienza. Sedetevi. Tutti e due,” ordinò decisa, il suo sguardo che passava tra me e Devon.
Ero sbalordito.
Chi credeva di essere questa ragazza? E perché pensava che io e Devon venissimo dalla California?
Certo, conosceva il mio nome, ma era chiaro che non sapeva chi fossi. Se lo avesse saputo, non mi avrebbe parlato così con sufficienza. Ero abituato a ragazze che cadevano ai miei piedi. Devon diceva che non aveva nulla a che fare con il mio bell’aspetto, ma solo con il mio nome e il mio status. Che avesse ragione o meno non aveva nessuna importanza. Non avevo mai subito un rifiuto così netto. Però il suo tono sbrigativo e la sua attitudine autorevole muovevano qualcosa in me. La volevo–la volevo veramente –anche se avrei dovuto essere infastidito per il modo in cui mi aveva scaricato.
“Mi dispiace, dolcezza. Non ho capito il tuo nome,” dissi, sentendo improvvisamente la travolgente ossessione di dover sapere il nome della ragazza.
“Perché non te l’ho detto. E per la cronaca, il mio nome non è dolcezza,” puntualizzò.
Il suo sguardo era glaciale. Quella ragazza era un peperino di sicuro. Anche io lo ero. Devon rise sotto i baffi vicino a me e dovetti trattenermi dal colpirlo di nuovo sulle costole con il gomito.
“Allora quale è?” chiesi con impazienza.
Lei alzò il mento e strinse gli occhi. Sembrò riflettere sulle sue parole prima di pronunciarle.
“É Cadence. Cadence Riley.”
Alzai lo sguardo verso l’insegna sopra la sua testa.
Fottuto campeggio Riley.
Chiusi gli occhi mentre la comprensione di chi fosse lei si stava facendo largo in me. Chiaramente era troppo giovane per essere la proprietaria del campeggio che era stato fondato decine di anni prima. Più probabilmente era la figlia o la nipote del proprietario. Mi girai verso Devon. I suoi occhi erano pieni di paura, un’espressione che sicuramente era uguale alla mia. Di tutte le ragazze lì, avevo deciso di mettere gli occhi proprio su quella.
Giusto perché non dovevo farmi notare.
Cadence
Anche gli ultimi arrivati si erano finalmente dispersi e la strada ora era libera dagli autobus e dalla folla di persone. Ogni partecipante al campeggio era stato indirizzato al suo alloggio e ognuno di loro era stato mandato a disfare i suoi bagagli. Ora tutto quello che mi era rimasto da fare era di dare le indicazioni ai venti leader delle case che erano tutti in piedi davanti a me e mi stavano fissando in attesa di istruzioni.
Togliendo il leggero strato di sudore dalle mie sopracciglia con il dorso della mano, mi presi un minuto per ammirare la vista della valle che si poteva avere dal ciglio della strada. Abingdon era un luogo realmente meraviglioso ed era pieno di alcuni dei miei migliori ricordi della mia infanzia. La valle al di sotto era una grande striscia di verde, piena di pini e vecchi alberi. Tuttavia, nonostante la sua bellezza, era troppo caldo per restare in piedi sotto il sole cocente e dare le istruzioni ai leader. Indicai loro, quindi, di seguirmi.
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