Shanae Johnson - Una Maestra D'Asilo Per Il Re

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Una Maestra D'Asilo Per Il Re: краткое содержание, описание и аннотация

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Lui è il re del suo paese. Lei la regina dei pisolini. Riusciranno a governare il loro cuore?
Esmeralda Pickett regna sui sudditi della classe d'asilo in cui insegna. Probabilmente è l'ultima donna adulta a credere nelle favole, viste tutte le storie che racconta ai suoi giovani allievi per farli addormentare. Esme sogna di innamorarsi alla follia di un principe affascinante, quindi, quando un re in carne e ossa la salva dai pericoli del messaggiare camminando, è certa che quello sia l'inizio della storia da favola che da sempre sogna. Anche se tra il re e la maestra volano scintille, la fiaba si interrompe quando Esme scopre che il monarca può sposare solo una donna di sangue blu. Lei è una newyorkese purosangue, ma quello che le scorre nelle vene è semplice sangue rosso. 
La prima moglie di Re Leonidas venne scelta per lui alla nascita. Ormai vedovo, Leo ha il diritto di decidere chi sposare, ma non sarà il matrimonio d'amore che sogna in segreto. Il piccolo paese di Cordoba sta affrontando una crisi economica, e sposare una ricca duchessa assicurerebbe il futuro del suo popolo. Ma il suo cuore può permettersi un altro matrimonio senza amore? Mentre Esme e Leo si conoscono, è chiaro che tra loro stia nascendo qualcosa di importante. Ma qualcos'altro – la mancanza di sangue reale di Esme – rischia di separarli per sempre. 
Quando ormai l'orologio è vicino alla mezzanotte, riuscirà la nostra eroina ad avere il suo finale da fiaba? O la loro storia diventerà solo un'altra favola finita male? 
Scopri se l'amore trionferà in questa dolce e spensierata storia che parla di fidanzamenti reali. 
”Una Maestra d'asilo per il Re” è il primo volume di una serie di storie d'amore che vanno oltre la realtà!
Translator: Chiara Vitali

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«Se ne scrive da millenni.»

«Ed ecco le favole.»

«Beh, allora è una fortuna che noi due siamo persone comuni e possiamo scegliere di sposarci per amore e non per dovere.»

«Sì. Siamo proprio fortunati.»

Una gola si schiarì alle loro spalle. Esme alzò lo sguardo per vedere il disapprovante Giles che la fissava ancora una volta.

«Le mie scuse, Esme, ma il dovere mi chiama.» C’era vero rammarico nella voce di Leo. «Devo tornare al lavoro. È stato bello conoscerti.»

Allungò la mano. Lei gli porse la sua. Aveva qualche briciola di torta sulla punta delle dita. Tentò di tirare indietro la mano nel tentativo di pulirla, ma Leo gliela fermò. Le girò il palmo e lo baciò.

Le farfalle esplosero nel ventre di Esme. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma aveva la lingua incollata al palato. E nel momento in cui il cervello riprese a funzionare, lui se n’era andato.

Capitolo Cinque

Leo raccolse con la punta delle dita le ultime briciole di quel dolce che gli ricordava casa e se le leccò. La crosta dorata lo aveva trasportato sulle spiagge sabbiose dell’isola appena a est di Barcellona. Le note dolci e fruttate gli avevano ricordato la regione vinicola francese a nord di Cordoba. E la miscela di spezie aveva dato un calcio ai suoi antenati moreschi che venivano dal sud. La pasticcera aveva catturato tutta la storia e la cultura di Cordoba in un boccone perfetto.

«Puoi ordinarne un po’ per la cena di stasera?» chiese Leo a Giles.

Il suo assistente tirò fuori il cellulare e fece l’ordine mentre Leo si leccava l’ultimo pezzetto dalla punta delle dita. Era maleducato succhiarsi le dita, certo, ma nessuno lo stava guardando. Giles era occupato al telefono con la pasticciera. L’autista aveva gli occhi sulla strada. E la mente di Leo era... altrove.

Poco più avanti, vide il furgone della lavanderia con il disegno del drago verde parcheggiato davanti a un negozio. Se fosse stato in movimento, Leo avrebbe potuto essere tentato di lanciarsi nella mischia ancora una volta. Ma la sua damigella era sistemata al sicuro su uno sgabello nel negozio di torte.

Leo si chiese se, accostando l’orecchio al telefono di Giles, fosse stato possibile sentire la risata tintinnante di quella donna. Lei aveva trattenuto il fiato mentre si chinava in avanti e lo ascoltava recitare i noiosi dettagli del lavoro di un re, un lavoro che lui aveva finto non fosse il suo. Eppure, ne era rimasta comunque affascinata.

Esme lo aveva chiamato cavaliere, un eroe. Da vero re, quelle definizioni non gli appartenevano. Era solo un nobile in giacca e cravatta. Un uomo d’affari. E il titolo lo poneva come una figura di spicco con molte responsabilità. Una di quelle responsabilità era trovare una nuova moglie.

Pensò al sorriso di Esme. A quanto spontanee fossero state le battute tra di loro. Alla sua immaginazione selvaggia. Al suo accento americano e al bell’aspetto da ragazza della porta accanto. Era così americana che di più non poteva essere, e senza una goccia di sangue blu che le scorresse nelle vene.

Era tutta sbagliata per lui, ovviamente. Di certo non era la candidata ideale da far sedere accanto a lui sul trono. Ma una deliziosa compagna seduta accanto a lui su uno sgabello.

Gli era piaciuta la loro conversazione. Gli era piaciuta la fuga che lei gli aveva offerto, anche se solo per un momento. Davanti a una fetta di torta, era stato un uomo normale che chiacchierava del più e del meno con una bella ragazza. Lui non aveva mai fatto niente di banale in vita sua. Ogni sua mossa, pensiero e decisione erano una questione di Stato.

Il tempo passato con Esme era stato come una fuga in un libro di favole. Ora era di nuovo al lavoro mentre l’auto si fermava al quartier generale delle Nazioni Unite.

L’alta struttura in vetro e cemento era simile a qualsiasi altro edificio per uffici in città. Ciò che la distingueva era la schiera di bandiere che sventolavano dai pennoni. Ce n’erano decine. Centonovantatre, per l’esattezza. Leo individuò facilmente la bandiera cordovana con i suoi fedeli colori arancione, rosso e blu.

«Ha i suoi appunti?» chiese Giles.

Certo che li aveva. Era sempre preparato. Ma Giles doveva fare quella domanda, era il suo lavoro.

Leo sapeva che altri nella posizione di Giles avevano vita dura con i nobili che servivano. Alex non riusciva a tenersi un cameriere o un assistente. Uomini e donne si arrendevano nel giro di poche settimane cercando di domare la sua natura ribelle. La maggior parte delle volte, non riuscivano a trovare Alex perché era salito su un jet o su uno yacht ed era in qualche angolo sperduto del globo a riempirsi la pancia di piatti esotici. Leo era il perfetto datore di lavoro, Giles non avrebbe dovuto davvero lamentarsi.

«Che cosa è successo al suo vestito?» Giles lo guardò con orrore. In fondo alla sua giacca erano rimaste alcune macchie, regalo degli istanti trascorsi sull’asfalto con Esme.

«Oh, ho salvato una damigella in pericolo. Esme, la donna del negozio di torte.» Con il suo nome sulla lingua, Leo si gustò un’ultima esplosione di dolcezza che gli era rimasta incastrata dietro gli incisivi superiori, e che in qualche modo si era perso. Ingoiò quell’ultimo bocconcino e lo sentì spostarsi nella parte posteriore della gola e giù per il petto.

Giles non si stava divertendo per niente. «Ecco, prenda la mia giacca.»

Lui lo fece. Per fortuna, lui e Giles avevano la stessa taglia, e la giacca di Giles era elegante quasi quanto quella di Leo. Con quel disastro scongiurato, e le ultime tracce della sua avventura sparite, si diressero verso l’edificio.

Il ruolo dell’ONU era quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Cordoba non era sotto minaccia e non ne fronteggiava una da secoli. Un tempo, gli antenati di Leo avevano una roccaforte nelle terre di quelle che sarebbero diventate le attuali Spagna e Francia. Ma la storia violenta divide le popolazioni, e i confini erano stati spostati fino a quando, alla fine, i cordovani moderni si erano trovati a vivere su un’isola lussureggiante nel Mediterraneo.

La sua gente non poteva davvero lamentarsi. La loro isola era circondata da spiagge incontaminate. Nell’interno c’erano valli lussureggianti e alte montagne. Il terreno era fertile e c’erano pesci in abbondanza.

Uno degli articoli della Carta delle Nazioni Unite imponeva di proteggere i diritti umani. Cordoba non era accusata di violazioni del genere. Anche in un paese popolato da ex nemici che avevano saccheggiato gli antenati l’uno dell’altro, ora c’era armonia tra i francesi, gli spagnoli e gli africani.

Quando si trattava di aiuti umanitari, grazie alla sua industria della pesca e al petrolio trovato intorno all’isola, Cordoba era abbastanza ricca da aiutare i suoi vicini. Ma c’erano altre opportunità da cogliere. Leo era lì per tendere la mano per un altro degli obiettivi stabiliti dalle Nazioni Unite, quello dello sviluppo sostenibile.

«Siamo un piccolo stato insulare» disse dal suo posto sul leggio. «Abbiamo avuto grande successo e prosperità, e vorremmo condividerle con voi, nostri concittadini internazionali. I nostri antenati hanno affrontato guerre e spostato confini, sono stati segregati e integrati, ma, nonostante tutto, sono sopravvissuti e ne sono usciti più forti. Possiamo essere piccoli, ma siamo potenti.»

Nel suo discorso, non menzionò che l’anno precedente la povertà era cresciuta, o che la gravidanza adolescenziale era pericolosamente in aumento. I cittadini più anziani erano finanziariamente stabili e soddisfatti grazie a industrie economicamente consolidate. Ma i giovani di Cordoba avevano poche prospettive di lavoro e troppo tempo libero. Coloro che erano brillanti e ambiziosi stavano lasciando il paese a frotte. Coloro che vedevano poca o nessuna opportunità stavano procrastinando e procreando.

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