Se n'andava sul suo somaro Sancio Panza che pareva un patriarca, con le sue bisacce, con la sua otre, con gran desiderio di vedersi già governatore dell'isola che gli aveva promesso il padrone. Don Chisciotte riuscì a prendere la stessa direzione e la stessa via che aveva preso nel suo primo viaggio, il quale fu attraverso il piano di Montiel, per dove ora andava con minore molestia della volta passata poiché, essendo l'ora mattutina e ferendoli il sole di sbieco, non si affaticavano. Disse frattanto Sancio Panza al padrone:
— Guardate, signor cavaliere errante, di non dimenticarvi quel che dell'isola mi avete promesso, ch'io la saprò governare, per grande ch'essa abbia ad essere.
Al che rispose don Chisciotte:
— Tu devi sapere, amico Sancio Panza, che fu costumato molto ordinariamente dai cavalieri erranti antichi di fare i loro scudieri governatori delle isole o regni che conquistavano, ed io ho stabilito che per causa mia non venga meno tale graziosa costumanza; anzi penso andare più in là: perché talvolta, e forse il più spesso, essi aspettavano che i loro scudieri fossero vecchi, e dopo che erano ormai stanchi di servire e di soffrire tristi giorni e peggiori notti, conferivano loro qualche titolo di conte, o al più al più di marchese, di alcuna valle o provincia più o meno importante. Invece, se tu ed io si ha vita, ben potrebb'essere che prima di sei giorni io conquistassi tal reame che altri ne avesse a sé annessi, sì che venisse in acconcio per coronarti re di uno di essi. Né te ne meravigliare, perché tali cose e tali casi accadono a siffatti cavalieri, per vie così nuove e impensate che facilmente ti potrei dare anche più di quello che ti prometto.
— Cosicché — rispose Sancio Panza — se io, per uno di quei casi straordinari che voi dite, diventassi re, Nanna Gutiérrez, mia moglie, verrebbe per lo meno, a essere regina, e Infanti i miei figlioli.
— E chi ne dubita? — rispose don Chisciotte.
— Io ne dubito, — soggiunse Sancio Panza — perché per me sta, che, sebbene Dio mandasse sulla terra una pioggia di regni, nessuno si adatterebbe sulla capoccia di Maria Gutiérrez. Sappiate, signore, che per regina non vale due quattrini; contessa, le tornerà meglio, e Dio voglia magari67.
— Tu raccomanda la cosa a Dio, Sancio — rispose don Chisciotte — ché Egli le darà quel che più le convenga; ma non abbassare l'anima tua tanto da contentarti d'essere men che capo di una provincia.
— No davvero, signor mio — rispose Sancio — tanto più che ho in voi così ragguardevole padrone, il quale mi saprà dare quanto mi si addica e io possa addossarmi.
DEL PROSPERO SUCCESSO CHE IL PRODE DON CHISCIOTTE EBBE NELLA SPAVENTOSA E MAI PENSATA AVVENTURA DEI MULINI A VENTO, NONCHÉ D'ALTRI SUCCESSI DEGNI DI FELICE RICORDANZA
In questo mentre, scòrsero trenta o quaranta mulini a vento che sono in quella pianura, e come don Chisciotte li ebbe veduti, disse al suo scudiero:
— La fortuna va guidando le cose nostre meglio di quel che potessimo desiderare; perché, vedi là, amico Sancio Panza, dove si scorgono trenta o pochi di più, smisurati giganti, con i quali penso di battagliare sì da ammazzarli tutti. Con le loro spoglie cominceremo a farci ricchi, poiché questa è buona guerra, ed è anche gran servigio reso a Dio sbarazzare da tanto cattiva semenza la faccia della terra.
— Quali giganti? — disse Sancio Panza.
— Quelli — rispose il padrone — che tu vedi laggiù, con le braccia lunghe, che taluni ne sogliono avere quasi di due leghe.
— Guardate — rispose Sancio — che quelli che si vedono laggiù non son giganti, bensì mulini a vento, e quel che in essi sembrano braccia sono le pale che, girate dal vento, fanno andare la macina del mulino.
— Si vede bene — rispose don Chisciotte — che in fatto d'avventure non sei pratico: son giganti quelli; che se hai paura, scostati di lì e mettiti a pregare mentre io vado a combattere con essi fiera e disuguale battaglia.
E, così dicendo, spronò il cavallo Ronzinante, senza badare a quel che gli gridava lo scudiero per avvertirlo che, certissimamente, erano mulini a vento e non giganti quelli che stava per assalire. Ma egli s'era così incaponito che fossero giganti da non udire le grida del suo scudiero Sancio, né, per quanto già fosse molto vicino, s'accorgeva di quel che erano; anzi andava vociando:
— Non fuggite, gente codarda e vile; ché è un cavaliere solo colui che vi assale.
Si levò frattanto un po' di vento, e le grandi pale cominciarono ad agitarsi. Il che avendo visto don Chisciotte, disse:
— Ma per quanto agitiate più braccia di quelle del gigante Briareo, me la pagherete.
E così dicendo e raccomandandosi di tutto cuore alla sua dama Dulcinea, chiedendole che lo soccorresse a quel passo, ben difeso dalla sua rotella, con la lancia in resta, mosse all'assalto, al gran galoppo di Ronzinante, e attaccò il primo mulino che gli era dinanzi. Ma, nel dare un colpo di lancia contro la pala, questa fu roteata con tanta furia dal vento che mandò in pezzi la lancia e si trascinò dietro di sé cavallo e cavaliere, il quale andò a rotolare molto malconcio per il campo. Accorse in aiuto Sancio Panza, alla gran carriera dell'asino suo, e quando giunse trovò che don Chisciotte non si poteva rimenare, tale fu il picchio che batté insieme con Ronzinante.
— Per Dio! — disse Sancio. — Non ve l'avevo detto io che badaste bene a cosa facevate, che non erano se non mulini a vento, e che solo chi n'avesse nella testa degli altri come questi poteva non saperlo?
— Chetati, caro Sancio — rispose don Chisciotte — che le cose della guerra, più che altre, son sottoposte a continua vicenda; tanto più, io penso, e così è per vero, che quel dotto Frestone, il quale mi portò via la stanza e i libri, ha cambiato questi giganti in mulini per togliermi il vanto di vincerlo, tanta è l'inimicizia che ha con me; ma alla fin fine, poco varranno le sue male arti contro la bontà della mia spada.
— Dio lo faccia, poiché lo può — rispose Sancio Panza.
Aiutato quindi da lui a rialzarsi, don Chisciotte risalì su Ronzinante che s'era mezzo spallato. E discorrendo della occorsa avventura, continuarono la via della gola di Puerto Lápice, ché, diceva don Chisciotte, lì non poteva mancare che si incontrassero tante e diverse avventure, per essere luogo molto frequentato; ma era tutto cogitabondo a causa dell'essergli venuta a mancare la lancia. E parlando col suo scudiero, gli disse:
— Mi ricordo d'aver letto che un cavaliere spagnolo, chiamato Diego Pérez de Vargas, essendoglisi in una battaglia spezzata la spada, schiantò da una quercia un pesante ramo o tronco, e con esso operò tali cose, in quel giorno, ed ebbe pesti tanti mori che gli rimase il nomignolo di Pistone, e da allora in poi, tanto lui quanto i suoi discendenti si chiamarono così68. T'ho detto questo perché dalla prima quercia o rovere che mi si presenti penso di schiantare un tronco anch'io, tale e così robusto come dovette esser quello; ed ho in mente di far con esso tali gesta che tu ritenga per gran fortuna l'aver meritato di ritrovartici e di essere testimonio di cose che appena potranno essere credute.
— Come Dio vorrà, — disse Sancio. — Credo tale e quale come voi dite; ma drizzatevi un po' sulla vita, ché sembra pencoliate alquanto di fianco, forse perché ammaccato dalla caduta.
— È vero — rispose don Chisciotte — e se non mi lagno del dolore è perché non è permesso ai cavalieri erranti lagnarsi di ferita alcuna, anche che gliene escano fuori le budella.
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