Gli abitanti delle province venivano salassati senza pietà; specialmente nell’Oriente la fonte di ricchezze era pressoché inesauribile. Plutarco ci racconta che la provincia d’Asia
era afflitta da un’incredibile calamità: gli esattori delle tasse e gli usurai depredavano e asservivano i cittadini che erano costretti a vendere i loro nobili figli e le loro vergini figlie, le città dovevano vendere i doni sacri, i quadri e le statue degli dei.
Ma ce n’era per tutti: gli esattori, gli amministratori romani e i senatori a Roma che facevano finta di non vedere; tutti si servivano alla stessa tavola. Ma a volte si trovava un proconsole come Lucullo che ordinò una moratoria dei debiti:
Prima di tutto si potevano mettere in conto soltanto interessi che non superassero l’uno per cento al mese. In secondo luogo annullò gli interessi che superavano l’ammontare del debito e come terza misura, la più importante, stabilì che il creditore poteva esigere soltanto fino a un quarto del reddito del debitore.
Erano soprattutto i popoli dell’Oriente dai quali si succhiava la più grande quantità di ricchezza. Ma ogni tanto il sovrano locale riusciva ad avere la meglio sui romani e non tralasciava l’occasione per impartire loro una solenne lezione. Uno di questi sovrani era Mitridate, re del Ponto. Egli ci fa sapere chiaro e tondo in una lettera riportata da Sallustio nelle sue Historiae :
I romani hanno un solo motivo per portare la guerra su tutti i popoli e i re e cioè una sete insaziabile di potere e di ricchezza. ….Essi prima lusingano i re con la loro amicizia, li fanno guardiani del loro stesso popolo e poi li degradano con umiliazioni e spoliazioni sicché da re diventano i più miserabili schiavi.
Roma dovette vedersela in tre guerre con questo sovrano finché a Pompeo riuscì di eliminarlo nel 63 a. C. Ma nella seconda guerra il legato Manio Aquillio cadde nelle mani di Mitridate il quale mise in scena uno spettacolo molto educativo per i romani, che poteva avere per titolo “Senza parole”. Egli fece trascinare il povero Aquillio per le strade di Pergamo tra il sollazzo della folla urlante e poi, come apice della manifestazione, gli fece versare in gola oro fuso. Aquillio era, per così dire, rimasto soffocato dall’oro.
Può sorprendere quanto la letteratura latina sia pervasa da storie di debiti: giovani romani con brillanti prospettive che cadono nelle mani degli strozzini, suicidi a causa di debiti non pagati, perdita di posti lucrativi per via di eccessivi indebitamenti – reali o supposti. Nella storia delle elezioni a Roma la corruzione di coloro che si trovavano con l’acqua alla gola a causa dei debiti gioca un ruolo importante. Anche Sallustio, come vedremo, ha avuto problemi di debiti.
Ma nella politica non si raggiuge granché se non si hanno solide alleanze. Oggi un uomo politico può contare sulla quantità dei sostenitori: chi ha esperienza nei mezzi di comunicazione di massa può far marciare migliaia di persone per le strade e portare anche milioni di elettori alle urne. Allora la qualità stava in primo piano: bisognava trovare sostenitori provenienti da una ricca famiglia, che preferibilmente avesse già dato alla patria qualche console e che potesse mobilitare anche un certo numero di clientes . Anche allora bisognava metter insieme un partito e nell’organizzazione di un partito Cesare era senza dubbio un maestro.
Nei critici decenni tra Silla e Augusto (all’incirca dall’80 fino al 30 a. C.) i protagonisti della politica a Roma furono Pompeo, Catone, Cesare e Cicerone; Sallustio ha avuto un ruolo secondario ed ha avuto a che fare soprattutto con gli ultimi due, per lo meno stando a quel po’ che si deduce dalle scarse notizie degli storici. Diamo uno sguardo alle carriere di questi tre personaggi che hanno avuto ruoli molto diversi nella vita politica di allora.
Sallustio e Cicerone ci presentano un curriculum abbastanza simile. Ambedue erano rampolli di famiglie benestanti del Centro-Italia che però a Roma non erano molto note e ambedue si sono conquistati un posto nella migliore società solo grazie alle loro qualità personali. I due sono oggi conosciuti per le loro opere letterarie ma avrebbero certo desiderato di diventare famosi anche per qualche atto di coraggio volto a salvare la repubblica. Cicerone fu effettivamente salutato come “salvatore della patria” per aver debellato la congiura di Catilina ma in seguito riuscì solo a infastidire il padrone di turno (che sia Cesare o Ottaviano) con i suoi appelli per una forma di governo ideale che non andava a genio a chi voleva semplicemente esercitare il potere. Nessuno dei due era un eroe, anche se Sallustio partecipò a diverse campagne al fianco di Cesare. I nostri poterono esercitare le loro eccezionali abilità retoriche ma, quando si trattava di afferrare il potere, dovettero cedere le armi alle vere volpi della politica.
Cicerone era nato nel 106 a.C. ad Arpino, una cittadina della Ciociaria. Questa regione al sud-est di Roma, da dove proveniva anche mia madre, ha preso il suo nome odierno dalle “cioce”, le calzature che i contadini portavano ancora qualche decennio fa. (Le “cioce” consistono in una suola di cuoio, o anche ritagliata da copertoni di pneumatici, fissata al piede e alla gamba da lacci). Cicerone lottò per tutta la vita per un ideale classico della repubblica, una repubblica come la sognavano parecchi romani ma che non è mai esistita nella realtà. Le sue ambizioni politiche gli procurarono a volte importanti incarichi (fu console nel 63) ma un’influenza duratura sulla politica non l’ha avuta.
Cesare invece veniva da tutt’altro mondo. Era un rampollo della famiglia dei Julii, un’antica stirpe patrizia che si vantava di discendere da Enea. L’istinto politico e la spregiudicatezza di Cesare sono diventati proverbiali; già al principio della sua carriera aveva scoperto le due chiavi per ottenere e mantenere il potere: soldati e denaro. In tutte le sue attività politiche e nelle campagne militari la sua preoccupazione era di mettere insieme un esercito forte e leale fino alla morte e di arraffare quante più ricchezze possibili. Neanche le suppellettili e le statue dei templi potevano considerarsi al sicuro. Aveva bisogno di somme immense per mantenersi la lealtà delle truppe e per oliare gli ingranaggi a Roma. Lo storico Cassio Dione analizza dettagliatamente la filosofia cesariana del potere:
Faceva tutto questo non per malevolenza ma perché doveva finanziare spese ingenti e voleva assicurarsi i mezzi per le sue legioni, i trionfi e tutto quello che serviva a soddisfare il suo orgoglio. In breve: diventò un arraffatore di denaro. Egli si giustificava dicendo che ci sono due cose che garantiscono la conquista e il mantenimento del potere: soldati e denaro e le due sono interdipendenti; infatti un buon approvvigionamento della truppa mantiene la lealtà e viene assicurato dalle armi. Se manca uno dei due fattori anche l’altro si dilegua.
… .egli metteva le mani su quanto denaro e ricchezze poteva, in parte come regalie, in parte come “prestiti”, come lui diceva. Infatti usava questa espressione “prestiti” per tutti quegli accaparramenti di denaro per i quali non si poteva trovare una parola più blanda. E dichiarava che egli aveva speso il suo patrimonio personale per il bene comune e perciò doveva ricorrere a prestiti. Per questo, quando il popolo lo supplicò di concedere una moratoria dei debiti, non si lasciò intenerire e rispose: “Anch’io sono pieno di debiti”.
Sallustio è noto per le sue opere storiche La congiura di Catilina , La guerra contro Giugurta e i frammenti delle Historiae ma ha raccontato poco di se stesso. Invece il suo rivale Cicerone ha lasciato una larga scia d’informazioni con le sue quasi ottocento lettere e innumerevoli orazioni dove ci informa non solo sugli avvenimenti politici del primo secolo avanti Cristo ma anche sulla sua vita e i suoi sentimenti, sull’arredamento e sulla biblioteca della sua villa al Tuscolo, sulle sue preoccupazioni per l’amata figlia Tullia o per il fratello Quinto. I biografi di Sallustio non hanno un compito così facile anche perché parecchie informazioni che ci sono giunte su Sallustio derivano da opere che sono, con molta probabilità, dei falsi. Una “invettiva” contro Sallustio è presentata come un`orazione di Cicerone davanti al senato ma è probabilmente un falso; per questo l’ignoto autore viene indicato come “Pseudo-Cicerone”. Era uso che i retorici si esercitassero componendo un`orazione come se fosse stata pronunciata da un avvocato famoso, per esempio Cicerone. Ciò non significa però che le informazioni contenute in questa invettiva siano false; per lo meno riflettono quello che allora i Romani pensavano di Sallustio. L’“Invettiva contro Sallustio” è probabilmente una risposta ad un`altra invettiva, questa volta di Sallustio contro Cicerone. Alcuni passaggi di queste “invettive” riportano fatti realmente accaduti e così queste fonti ci danno un quadro generale della vita di Sallustio anche se non affidabile al cento per cento.
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