Dentro una trabacca distesi sopra il medesimo letto dormono due; giovane l’uno, giace nudo avvolto dentro la coltre con un braccio sotto il capo, l’altro penzolone fuori della sponda; il secondo di maggiore età, armato di tutto punto, eccetto dell’elmo; a giudicarne dal volto paiono padre e figliuolo. Giovanni da Sassatello turbava in quel punto un mal sogno; gli pareva che una moltitudine di armati circondasse il letto e ve lo tenesse su fermo; lui si sforzava svincolarsi, e non gli riusciva, dava scossoni, raddoppiava i conati, e sempre invano; grondava sudore, agitava le labbra con sordo mormorio.
Il sogno era verità, almeno in parte; una mano dei nostri penetra nella trabacca e va difilata alla sua volta per ispaciarlo di vita.
Egli continua nel sogno spaventevole; uno degli armati con man potente gli strappa l’usbergo e gli pone una mano sul cuore; per tutte le membra gli scorre ribrezzo; batte i denti e non può proferire parola. Intanto l’armato si trae la daga dal fianco; poi, come se lo impacciasse la visiera, con la manca la solleva. La coscienza del volto del cavaliere gli presenta la sembianza di Lionardo Frescobaldi da lui ucciso, a tradimento, il quale, comechì morto, veniva a prendere la sua vendetta.
I nostri già gli stanno vicini: la sua morte precipita giù dalla punta di un pugnale..
“Morte di Dio, fermatevi!” – urla prorompendo nella trabacca il Morticino degli Antinori, che cercando in ogni lato il Sassatello, si era a caso colà abbattuto in quel punto, e al chiarore della lampada posta sopra la tavola lo aveva ravvisato, – “fermatevi! Se lo uccidete dormendo, voi mi togliete più che mezza la vendetta. Svegliati su, Sassatello, svegliati per contemplare la strage del tuo figliuolo. – e morire”.
Si svegliò lo sciagurato, – stupidì, – stette per svenire, – poi ad un tratto gli rende potente la persona una sopraumana gagliardia; è sbalzato su in piedi, ha stretto una mazza d’arme, abbassa colpi a destra e a sinistra, si versa intorno al letto come serpente col suo corpo flessibile.
Affannosa, anelante, pure ricupera la voce e, “Eustachio”, – grida, – “svegliati, difenditi, figlio mio… noi siamo morti”.
Il giovinetto sonnacchioso:
“Padre, che hai? ” – ma sentendo il fragore delle armi, spalanca gli occhi, vede il pericolo e, ghermita dal capo del letto una spada, si pone con un ginocchio piegato a difendere francamente la sua vita.
“Santi del paradiso, venite in soccorso di noi!” – esclama il padre pur tattavia menando le mani.
“I santi si chiudono le orecchie alle preghiere dei traditori”, – gli gridano dintorno.
Amor di padre lo costringe a volgere la faccia, e contempla il Morticino, il quale, copertosi con la rotella la testa, drizzata la punta della spada, spia il momento di cacciarla nel costato al figliuolo; lui distende la manca e, forte abbrancando l’Antinori pel collo, grida: “Cane, indietro! non me lo ferire, lui ì innocente”.
…Dopo un breve silenzio, silenzio di voci, però che i ferri aspramente battuti tra loro mandassero spaventevole fracasso, il padre in suono di pianto domandò:
“Eustacchio, come ti difendi?”
“Bene…”
Ed in quel punto il giovane toccava una seconda ferita. Finalmente l’Eustacchio cade, il Morticino gli balza sopra, la mano gli pone entro i capelli, intorno al pugno gli attorce, e traendole di forza lo strascina. Il padre, visto quel caso miserabile, non già immeritato, così impetuoso scosse le braccia che mandò quei due che lo tenevano stretto lontani da sé a rotolare per terra, ed accorreva al soccorso… Ma i due caduti urtando nella tavola su la quale ardeva la lampada, la rovesciano; mancò la luce… ma il raggio moribondo si prolunga riflesso sopra la spada del Morticino che si abbassa sul corpo del giovane Eustacchio. Quando le amate sembianze gli scomparvero dallo sguardo al Sassatello, mancate sotto le gambe, venne meno il coraggio, gli si ottenebrò l’intelletto, rimase immobile, pauroso di offendere le membra del figliuolo, non ardiva movere passo: i nemici lo atterrarono, gli avvinsero di corde le braccia; lui non mandò sospiro, non gemito di angoscia; immerso dentro un abisso di dolore, stette muto.
Capitolo Decimottavo
Amore
Lui dormiva, e la vergine gli vegliava a canto, e considerando quella fronte pacata, la prese vaghezza di deporvi un bacio. Il bacio ebbe virtù di svegliare Vico, che glielo rese tremante su i labbri. Gli angioli poterono vedere cotesto atto senza velarsi con l’ale la faccia, imperciocchì loro si amino di pari amore nel cielo. La musa rivelò al poeta la natura angelica: due anime le quali di amore continuo si sieno amate sopra la terra lassù nel paradiso formano un angelo. Ed intrecciando le braccia i due giovani si recarono nel giardino.
“Di’, mi ami, Ludovico?”
“E non te lo dissi le mille volte? e non lo vedi? e nol sai?”
“Lo so, ma poichì una esultanza ineffabile mi scende al cuore nel sentire dalle tue labbra che mi ami, così godo ascoltare perpetuamente ripetuta questa vibrazione armoniosa; i’ fui come il fanciullo che mai non si stanca dal gridare un nome per intenderlo ripetuto dall’eco della caverna”.
“Ma il mio cuore non è mica una spelonca vuota, il grido che ti rimanda non è l’eco della tua voce, lui possiede voce propria e potente come la tua”.
“Sì, – né io voglio cederti in amore – né desidero che tu me.... i nostri cuori sono…”
“Due creazioni gemelle di un medesimo pensiero…”
“Un suono mandato da due corde compagne. Scambievolmente ci tengono luogo di tutto, di padre, di madre, dei parenti più cari; all’uopo ancora potrebbero tenerci luogo di paradiso – e di patria”.
“Di paradiso forse… di patria no…”, disse una voce forte e profonda che spaventò i due amanti; e al tempo stesso videro sorgere dalla terra uno spettro in atto minaccioso. Annalena si stringe ai fianchi di Ludovico e glieli abbraccia trepidamente esclamando:
“O Pieruccio, siete voi? O che fate accovacciato qui dentro al giardino?”
“Il tradimento c’inviluppa nelle sue spire, come il serpente dell’Apocalisse”.
“Tradimento! in nome di Dio, di quali traditori favellate, Pieruccio?”
“Dei traditori ch’io conosco, e qui verranno quando la campana dei Priori avrà battuto mezza notte: io gli ho ascoltati, essi favellano del papa, del Malatesta e dei maggiori cittadini di Firenze; convenuti ormai nel tradimento, e’ pare che non si accordino sul prezzo e sul modo. La patria annega, già sparisce, è sparita, sola una mano tende fuori delle acque, il vortice la travolge, e tutto è finito”.
“Per amore di Dio, favellate, Pieruccio! Non mi celate nulla: amo la patria anch’io, e per salvarla darei la vita”.
“Tu un giorno mi medicasti la testa; ora mi sani il cuore: io voglio abbracciarti; non mi sprezzare, non percotere, veh! Or dunque sappi avere Malatesta Baglioni imbandito una mensa e chiamato a convito i maggiorenti della terra; sai tu di che sono composte le vivande che pose loro davanti? Delle membra della nostra patria. Affrettati; colà troverai un amico del tuo defunto genitore, Dante da Castiglione: quivi incontrerai ancora Ludovico Martelli: di’ loro che qui vengano teco, e qui verranno; se possono condurre compagnia, sarà meglio, altrimenti vengano soli, ma non dimentichino l’arme: va, vola”.
“Ma se venissero”, – soggiunse Ludovico esitando, – “e non trovassero i congiurati, non penserebbero che io mi fossi fatto beffe di loro?” Pieruccio la dubbiezza del giovane considerando e vedendo quanto poca fiducia le sue parole inspirassero, sentì assalirsi da insopportabile fastidio per la vita; onde volgendo i passi vicino ad un albero, mormorò: “Io valgo meno di un cane morto”; e sollevati gli sguardi aggiunse: “Albero, albero, prestami un ramo, io ti darò un frutto… che tu non portasti fin ora… un tristo frutto in verità… un’anima disperata dentro un corpo disfatto....”
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