Non solo, ma adesso anche il cielo si era improvvisamente oscurato e la bellissima giornata di sole si era trasformata in pioggia torrenziale. Sembrava che un vero diluvio stesse per abbattersi sulle due piccole imbarcazioni. Anche il mare, inizialmente poco mosso, si stava trasformando rapidamente in un mostro selvaggio, con onde altissime che si stagliavano all’orizzonte, ai limiti della Grande barriera d’acqua.
Per Amir le condizioni del mare erano diventate troppo rischiose per continuare la regata e, in cuor suo, adesso sentiva di aver avuto ragione a voler annullare la gara. Seguendo le istruzioni ricevute dal padre prima della partenza, invertì la rotta e si diresse velocemente verso la sicurezza del porto. Tornando indietro incrociò la rotta del fratello che lo stava seguendo ormai da molto vicino.
“ Akhmed…. la gara è finita… dobbiamo immediatamente tornare indietro… verso il porto ”, urlò con tutta la forza che aveva in gola, temendo che le sue parole venissero spazzate via dal rumore del vento. Ma, con suo enorme stupore, si accorse che Akhmed non aveva nessuna intenzione di seguirlo verso il porto. In un attimo lo vide allontanarsi nella direzione opposta e, in tutto quel trambusto, riuscì solo a distinguere poche e confuse parole urlate dal fratello: “ Sei il solito fifone… cacasotto…”.
Altro non riuscì a capire a causa del forte ondeggiare del mare e per il vento, ormai, fortissimo.
Nel frattempo anche il capitano di vascello Abdul-Lateef si era reso conto del pericolo imminente che incombeva sui due principini e ordinò, all’equipaggio della veloce nave Neptune, di salpare immediatamente per il mare aperto.
Il capitano, con il trascorrere dei minuti, diventava sempre più inquieto, quasi terrorizzato, per quello che stava accadendo sotto i suoi occhi. Era ben consapevole che, in caso di tragedia, sarebbe stato il perfetto capro espiatorio per il re e la regina.
Ben presto la barca di Akhmed si trovò in gravissima difficoltà e, in balia delle onde e del vento, si allontanava sempre più velocemente dalla costa verso la Grande barriera d’acqua.
Amir si rese subito conto del grave pericolo in cui si trovava il fratello e, dopo aver fatto mentalmente dei rapidissimi calcoli nautici capì, sconfortato, che la Neptune non sarebbe giunta in tempo a salvare Akhmed. Per ogni minuto che passava aumentavano le probabilità di un imminente naufragio.
Senza perdere altro tempo invertì nuovamente la rotta e diresse la prua della sua piccola barca in direzione di quella del fratello.
Ora i principini in pericolo erano diventati due e, per il capitano di vascello Abdul-Lateef, si profilava un vero e proprio incubo in caso di disgrazia. Il poverino già si vedeva degradato e fucilato alla schiena per ignominia, legato come un salame sull’albero maestro della nave ammiraglia Glorius.
Amir cercò di raggiungere velocemente il fratello ma, quando fu vicino, non potette fare altro che osservare la povera barchetta di Akhmed capovolgersi ripetutamente, più e più volte, come se un’oscura mano la stringesse con forza e senza la minima intenzione di lasciarla.
Disperato, Amir cominciò ad urlare il nome di Akhmed mentre, con manovre sempre più spericolate, cercava di domare quelle altissime onde del mare, nel difficile tentativo di tenere a galla la sua piccola barca ed evitare di fare la fine del fratello.
Il naufragio dei fratelli Amir e Akhmed
Com’era prevedibile, il suo timone cedette all’improvviso a causa dello sforzo estremo a cui era stato sottoposto ed anche la vela si squarciò in più parti, risucchiata verso l’alto in un vortice fortissimo.
Adesso anche Amir era nei guai e non poteva fare altro che sperare in un miracolo che li salvasse entrambi.
Un’improvvisa e potente folata di vento gelido lo fece sobbalzare dalla sua fragile barchetta mentre un’onda alta più di due metri lo investì di lato. La combinazione di queste due forze estreme rovesciò definitivamente la barca e anche Amir fu sbalzato, violentemente, in acqua.
Il principe, con estrema prontezza, fece in tempo ad aggrapparsi ad uno dei tanti relitti che, ormai, disseminavano l’intera area di mare dov’erano avvenuti i due naufragi. Con sua grande sorpresa si accorse che tra quei resti c’erano anche quelli della barca di Akhmed, facilmente identificabili perché tutti dipinti con un vivace colore rosso.
Senza alcuna esitazione s’immerse immediatamente nel disperato tentativo di trovare e salvare il fratello dalle profondità del mare. Amir, nonostante avesse da poco compiuto vent’anni, aveva ancora un aspetto filiforme e, all’apparenza, non sembrava un ragazzo sano e forte. In quella occasione lo aiutarono la sua notevole esperienza nelle immersioni in mare aperto e il fatto che, nel punto del naufragio, il fondale non fosse particolarmente profondo.
Dopo alcuni tentativi infruttuosi riuscì ad individuare la massiccia figura del fratello che, adagiato sul fondo del mare, sembrava apparentemente senza vita.
Con preoccupazione sempre più crescente gli afferrò subito le spalle e provò a riportarlo in superficie nel minor tempo possibile. Durante la difficile risalita la sua attenzione fu attratta da uno strano luccichio. Gli sembrò di intravvedere, a pochi metri di distanza e semi sepolto nella sabbia, un oggetto di metallo di colore rosso intenso, ma non ebbe il tempo per afferrarlo e portarlo via con sé.
La vita di Akhmed era in pericolo e non c’era altro tempo da perdere. Promise a sé stesso che, un giorno, sarebbe ritornato per recuperare quello strano oggetto.
Miracolosamente, entrambi i fratelli riuscirono a risalire in superficie e quando Amir girò lo sguardo in direzione del lontano porto di Astagatt vide l’enorme sagoma del vascello Neptune che, a tutta velocità, stava sopraggiungendo sul luogo del naufragio. In un attimo i marinai più coraggiosi si tuffarono in mare e, con l’aiuto di alcune corde e di una scala, riuscirono a riportare a bordo i due fratelli.
Il medico si occupò immediatamente di Akhmed, le cui condizioni sembravano assolutamente disperate, considerato che era rimasto a lungo sott’acqua, senza ossigeno.
Praticò la respirazione bocca a bocca ed il massaggio cardiaco per diversi minuti, apparentemente senza ottenere alcun risultato concreto. Amir lo abbracciò forte come se fosse stata l’ultima volta e, commosso per la tragica perdita, gli sussurrò all’orecchio: “ È colpa mia… è colpa mia fratello… perdonami ”.
Colpito dall’attaccamento e dall’amore fraterno del principe, il dottore volle fare un ultimo ed estremo tentativo. Lo girò delicatamente su di un lato e lo colpì ripetutamente alla schiena, all’altezza dei polmoni, con dei poderosi schiaffi.
Akhmed, come se fosse stato morso da una tarantola, iniziò a dimenarsi convulsamente e cominciò a sputare acqua di mare, così tanta da poterne riempire un secchio intero. Amir, immobile, strabuzzò gli occhi e fissò quell’incredibile scena. Come per magia il suo amato fratellino era ritornato dall’aldilà e, senza alcuna vergogna, scoppiò in un pianto liberatorio.
Ben presto la gioia s’impossesso dell’intero equipaggio che si lasciò andare in canti e balli frenetici.
Il capitano di vascello Abdul-Lateef, di solito sempre impeccabile nella sua uniforme bianca, si unì alla ciurma ed iniziò a danzare e abbracciare chiunque gli capitasse vicino. Era ben consapevole di aver evitato una sicura fucilazione. Adesso, probabilmente, lo attendevano una promozione, con relativa medaglia, e un consistente premio in denaro.
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