Guido Pagliarino - Il Giudice E Le Streghe

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Mostrai d'accettare le scuse abbassando, ma più brevemente di lui, il capo per un attimo: "Venga al Canon Episcopi", gl'intimai, "o non la tratterrò oltre"; e cominciai, per buon peso, a tamburellare sul bracciolo del mio seggiolone colle dita della man destra.

Accelerando allora fin quasi a unire tra loro le parole, il Ponzinibio seguitò: "Il Canone, chiedo venia, Signoria, afferma che esistono cattive femmine che credono di cavalcar animali di notte con la dea Diana e di coprire gran distanze in breve tempo e in luoghi segreti svolgere con spiriti incarniti cerimonie blasfeme, ma sottolinea che si tratta soltanto di allucinazioni o di sogni, provocati dal diavolo per impossessarsi della mente delle persone; e sa quali sono i rimedi stabiliti?" Non mi lasciò il tempo di parlare e proseguì: "Penitenza e preghiera. Così è detto nel Canone e così opera la Chiesa fin verso il 1000; poi, bastano pochi anni: un secolo dopo, come risulta da altri documenti presso monsignor Micheli, la gran parte del clero accetta invece, ormai, la realtà esterna di quei fatti, mentre il popolo tutto ne ha l'assoluta certezza; e la magia del diavolo, il suo apparire in persona, visibile, ad adunanze di streghe e stregoni diviene nei secoli cosa sempre più indubitabile."

"Infatti, indubitabile è; e può costare assai caro il pensare altrimenti", replicai severissimo. Stavo per aggiungere una maggior minaccia verso il Ponzinibio, quando mi risovvenni del suo potente protettore e, avendo ormai capito ch’egli pure la pensava così malamente, tacqui.

Nel mio tacere, l'avvocato replicò: "Eppure, mio giusto signore, il mite atteggiamento del Canon Episcopi indicherebbe, forse, che gli antichi nostri padri erano sprovveduti? Possibile che, mentre fino all'undicesimo secolo, sin quando la tortura fu illegale e a tutti gl’inquisiti si garantì un processo giusto", il Ponzinibio, guardandomi dritto negli occhi, calcò la voce su quel giusto, "streghe e stregoni fossero fenomeno assolutamente di secondaria importanza e invece, dopo, vie più ne sia aumentato il numero fino ad essere considerati oggi uno dei più grandi pericoli? Ciò che appare rimedio non sarà invece causa? Come dissi, chi potrebbe resistere al dolore o, anche solo, alla sua attesa certa senza dirsi colpevole? Possibile che negli ultimi secoli, che tanto mostrano di tenere in gloria la sapienza, e in questo particolarmente, si sia persa la ragione, gloria del Cristianesimo nel primo millennio?" Finalmente concluse: "Monsignor Micheli prega per lei e desidera ardentemente vederla, signor Giudice Generale. Egli l'attende giovedì nella sua casa, due ore dopo il levar del sole. Cosa devo riferirgli?"

"La mia obbedienza verso monsignore è assoluta. Gliela manifesti e gli dica che verrò."

Capitolo III

Era la mattina successiva, martedì. Ancòra due giorni mancavano al mio appuntamento con monsignor Micheli.

Stavo eseguendo un importante còmpito, certamente d'ordine del Papa perché assegnatomi dal principe di Biancacroce in persona, suo portavoce secolare.

Speravo di poter compiere l'incarico entro il primo pomeriggio, per potermi poi recare, come le avevo promesso, da Mora, donna del volgo assai più giovane di me, ventitré anni appena compiuti, capelli neri e folti, volto e fisico da ninfa, che mantenevo segretamente e con cui fornicavo, senza mai confessarmene nel timore d'averne punizioni gravissime. Non sapevo infatti di chi fidarmi, e in quel tempo non era stato ancora istituito il confessionale, arredo che, dopo il Concilio di Trento, avrebbe garantito un qualche anonimato al penitente.

Ero assai dubbioso, tuttavia, di poter esaurire il mio dovere in tempo per ritrovarmi dalla mia Mora, sia pure con ritardo.

Provavo un'imprecisata inquietudine.

Erano con me, a piedi tutti perché nel pieno intrico di un’alta, oscura selva, uno dei miei giudici a latere, Veniero Salati, sei gendarmi di scorta e, innanzi ad aprire la via con la sua spada fra rame e bronchi, il tenente comandante la Guardia del tribunale Angelo Rissoni.

Sapevamo tutti che i problemi della Chiesa avrebbero avuto finalmente soluzione, se solo fossimo riusciti nell'impresa: l'eresia protestante si sarebbe estinta e splendida evangelica strada sarebbe stata riaperta alla cristiana popolazione, finalmente riunita.

Una gran gioia era dunque nell'animo mio e, sicuramente, di ciascuno, come avevo compreso dalle parole pronunciate dalle guardie e dal mio aiutante. Quella contentezza sapeva trattenere la nostra ansia: nulla noi conoscevamo della strada da seguire e si avanzava provando. Il Rissoni taceva, intento completamente al suo incarico di capofila: vicine erano le paludi e quelle bisognava evitare prima di giungere finalmente alla mèta.

Ricordo il sudore sulla mia fronte, gocciole che continuamente dovevo tergere colla manica sinistra, mentre stringevo come ogni altro nel pugno destro la spada sguainata: si sapeva infatti che c'erano lupe e lonze in agguato.

Ci attendeva lungo la via il mio antico superiore cavalier Rinaldi, ora maggiordomo nobile di sua Santità , che ci avrebbe fornito le ultime istruzioni; ma nessuno di noi sapeva dove l'avremmo incontrato: ci era stato detto ch'egli stesso ci avrebbe, al momento opportuno, rintracciati. L'operazione era talmente segreta che neppure noi potevamo conoscerne con precisione tutte le fasi.

Dopo molto marciare, ancora non s'era usciti da quell’aspra selva. Il sole era ormai a picco, come avevo intravisto alzando lo sguardo a uno spiraglio tra le foltissime foglie. Certo, per quel giorno non avrei più potuto visitare la mia Mora.

Fu su questo pensiero che vidi il tenente comandante sprofondare e sparire in un sol amen entro il terreno: sabbie mobili! Invano io e due gendarmi tentammo di raggiungerlo, prima immergendo le braccia nella melma, proni sulla frontiera del terreno solido, e poi rimestando l'infero delle sabbie con un lungo ramo colà raccolto: l'ufficiale era finito troppo nel profondo.

"La porta dell'inferno!" urlò, non più rattenendosi, il servente ufficiale vice comandante del drappello: "Egli è in mano al diavo..."

Lo zittii con uno sguardo glaciale e di sèguito gl’intimai: "Assuma il comando della scorta! A capofila, presto, e cerchi per noi un'altra via."

Assai di cattiva voglia, come denunciarono l'espressione del viso e il passo impastoiato, ubbidì.

Soggiunsi per tutti: "Forza e speranza!" e a ciascuno indirizzai il mio sguardo sicuro e altero.

“Superbia!” sentii allora sonarmi nella mente. Mi guardai attorno, per comprendere se pure gli altri avessero udito; ma nessuno lo mostrò; e provai timore: chi aveva parlato?

Seguendo la nuova direzione, dopo un altro gran tempo, ormai quasi al tramonto incontrammo, in una piccola radura, il cavalier Rinaldi, completamente solo. "Di là ", disse, facendoci segno col dito di voltare alla nostra sinistra, verso un sentiero che s'apriva, a poche braccia da noi, tra alti e foltissimi pruni. Indi, senz'altre parole, dopo avermi lanciato uno sguardo di odio, corse via, come se temesse di me, nella direzione opposta.

Per quella strada, dopo non molto, sbucammo finalmente innanzi al mare, su di una spiaggia di rena chiarissima, quasi bianca.

Tutti eravamo stati scelti fra i natatori perché avevamo l'ordine, là giunti, d'immergerci nel pelago e dirigerci verso il largo dove, non visibile da terra, ci attendeva la barca di Pietro.

Abbandonammo dunque le armi sulla sabbia, c'immergemmo e cominciammo a natare. Il sole iniziò a tramontare e presto l'acqua divenne color dell'arancia; e, con gran disgusto, vedemmo, solo allora, bisce e altri luridi rettili attorno a noi a pelo d’acqua e sentimmo i tocchi d'altri di loro sulle gambe e sulla schiena. Per poco, un serpentello sottilissimo a strisce gialle e verdi, non più lungo del mio dito medio, non m'entrò nella bocca. Come non fosse stato bastante, nuvole di zanzare vennero sopra di noi, molte posandosi sulle nostre fronti e sui nostri orecchi a suggerne il sangue. Pregando e incoraggiandoci l'un l'altro, continuammo; e improvvisamente, invece della barca di Pietro scorgemmo, con dolorosissima sorpresa, un'altra riva: non il Mare della Purezza che ci aveva posto a mèta il Papa, dunque, avvolgeva i nostri corpi, ma li circondava una grande laguna d'acqua salmastra.

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