1 ...6 7 8 10 11 12 ...29 L'amico, a differenza, già alle prime luci dell’alba divorava ogni cosa. Dai dolci ai cibi salati, senza distinzioni. Era un’autentica macchina divoratrice.
I due si guardarono per un secondo e poi scoppiarono a ridere allegramente.
Usciti di casa, Jack si guardò intorno con estrema attenzione. I fatti del giorno precedente erano ancora ben vivi nella sua mente.
«Cosa stai facendo? Aspetti qualcuno?» chiese Max inghiottendo l’ultimo pezzo del suo enorme panino al tacchino immerso nella maionese.
«No, tutto a posto», si limitò il giovane dando l’ultima occhiata. I due imboccarono la strada e si avviarono verso la piazza del mercato. L’aria del mattino, fresca e rigeneratrice, lentamente svegliò del tutto Jack che, con grande sollievo, si passò le mani tra i folti e ondulati capelli corvini. Arrivati nella piazza dove i mercanti avevano già montato le loro bancarelle, decisero di sedersi su una panchina sotto i portici del comune che faceva da sfondo alle attività commerciali quotidiane. Da lì potevano osservare, senza essere visti, la porta del palazzo dove, a detta del povero Miles, abitava il vecchio gobbo.
Vista l'ora, l’uomo non doveva ancora essere sceso. Intendevano aspettarlo, così da poterlo seguire nella speranza di riuscire a capire qualcosa di più sul suo conto.
Nonostante il sole avesse intrapreso già da tempo il suo viaggio verso ovest, del vecchio, nessuna traccia.
Max stava addentando il quinto panino quando la porta della palazzina vicino al bar si aprì lentamente.
Ne uscì una figura gobba e malandata, era lui.
L’uomo si guardò attorno analizzando bene la piazza e Jack, d’istinto, diede all'amico una leggera gomitata, forte al punto giusto per farlo rannicchiare. I due si nascosero velocemente dietro a una delle venti colonne che segnavano il perimetro della facciata principale del comune.
Il gobbo attraversò la piazza come un’ombra superando la meravigliosa fontana di marmo per poi raggiungere la parte opposta. Si guardò ancora intorno sospettoso e dopo essersi accertato che nessuno si fosse accorto della sua presenza, si avviò verso casa di Jack imboccando la strada che i due avevano percorso da neanche un paio d’ore. Il giovane non si stupì, ma venne scosso da dei brividi lungo la schiena.
Quell’uomo voleva qualcosa da sua madre, doveva saperne di più.
La speranza era che il sogno non si avverasse. Non credeva possibile una cosa del genere, era assurdo, ma la paura non ne voleva sapere e, aggressiva, gli strinse lo stomaco.
Per lui, il destino aveva altri piani.
I due ragazzi si gettarono veloci nella piazza rimanendo però sui lati, cercando così di non essere visti. La città era piccola e non volevano assolutamente che qualcuno li notasse. I loro genitori non dovevano sapere in nessun modo che entrambi avevano marinato la scuola. Sarebbe stato impossibile spiegare il motivo di quell’assenza e nessuno li avrebbe presi sul serio. Superato il mercato, rimanendo nascosti tra un cespuglio e l’altro, arrivarono in pochi minuti all’imbocco della strada che portava verso la sua abitazione. Lontano un centinaio di metri, la sagoma del vecchio.
Nel vederlo camminare così lentamente, Jack s'insospettì.
«È davvero inquietante, sai?».
Max buttò la carta del panino nel bidone dell’immondizia ripulendosi nervoso la bocca dalle briciole.
«Lo so amico, lo so!», si limitò Jack teso.
Non riusciva a pensare a niente. Le idee erano confuse, solo una cosa era chiara: seguire l’uomo.
I due riuscirono a non farsi vedere. Macchine e alberi, ottimi nascondigli.
Dopo una ventina di minuti, il vecchio raggiunse il vialetto della casa, attraversò la strada e si sedette sulla panchina di fronte all’abitazione. Il sole gli illuminò il viso rugoso inquietando ancor di più i pedinatori che, tesi come una corda di violino, continuarono a rimanere nascosti.
Accovacciati dietro a un grosso e argentato fuoristrada, pulito maniacalmente da un noto avvocato che spendeva il suo buon capitale in oggetti che neanche usava, i due si fissarono intensamente. Ma dopo qualche istante, si accorsero che da lì non potevano più muoversi.
L’uomo iniziò a guardarsi intorno freneticamente come se stesse aspettando qualcuno.
Quel qualcuno, sicuramente sua madre pensò Jack agitandosi ancor di più.
Guardò l'ora, erano le dieci passate e l'ormai caldo sole non era d'aiuto.
Jack continuò a spiare il vecchio attraverso i vetri del veicolo, non si era accorto della loro presenza, o così sembrava.
«Ho le gambe a pezzi, non riesco più a stare piegato» brontolò Max toccandosi i tondi polpacci. La sua resistenza fisica lasciava a desiderare ma non si poteva pretendere di più dal paffuto ragazzo. A differenza dell’amico e il fisico lo dimostrava, Max non aveva mai fatto nessuno sport se non alle elementari, quando, spinto da una voglia poi scomparsa definitivamente, si era iscritto nella squadra di rugby della scuola. Ma per quanto fosse portato, la svogliataggine aveva avuto il sopravvento, facendogli abbandonare così in pochi mesi l’unica esperienza sportiva.
«Lo so, ma se ci muoviamo adesso rischiamo di farci vedere», lo esortò Jack buttando l’occhio verso il vecchio appostato sul marciapiede opposto al loro.
Max si stravaccò per terra e dopo aver aperto lo zainetto, tirò fuori una merendina al cioccolato, le sue preferite.
«Ma come diavolo fai? Hai già mangiato cinque panini, quanto spazio c’è là dentro?», lo guardò a bocca aperta. Per quanto fossero cresciuti insieme, l’ingordigia dell’amico riusciva sempre a sorprenderlo.
«Dovresti saperlo, quando sono nervoso mangio, mi rilassa» rispose Max mordendo lo snack compiaciuto.
L’uomo era lì, impegnato a osservare tutto quel che succedeva intorno a lui.
La giornata era ancora lunga.
Passata un’altra mezzora, nella quale per fortuna Max non addentò più nulla, qualcuno si avvicinò a loro di soppiatto.
«Cosa state facendo vicino alla mia macchina?», li rimproverò sospettosa una signora di mezza età uscita da un portoncino a pochi passi da loro.
I due, presi alle spalle, si voltarono di scatto. Nei loro occhi, il terrore.
Era la vicina di casa, moglie dell’avvocato più importante della città, una donna sulla cinquantina dai lunghi capelli tinti di un biondo cenere e che tirata nel suo abito nero, troppo corto per la sua età, li guardava malamente. Le voci che giravano sulla signora tra i pettegoli più accaniti la descrivevano come una ricca casalinga tremendamente annoiata e dal carattere irascibile.
«Non pensi male, signora Donley. Ho perso le chiavi di casa e stavo guardando se erano finite sotto le ruote del suo meraviglioso fuoristrada», si affrettò Jack sudando freddo.
«Beh, penso che tu non le abbia trovate sotto la macchina di mio marito. Ora spostatevi, devo andare via!», terminò scorbutica la donna visibilmente infastidita.
Jack sapeva che se si fossero alzati in quel momento, il gobbo li avrebbe visti.
Ma in quel preciso istante, la fortuna li aiutò. All’angolo opposto, in fondo alla via che portava all'ospedale, due macchine si urtarono lievemente attirando così l’attenzione dell’uomo.
«Ci scusi signora Donley», si affrettò Jack afferrando l'amico per il braccio per poi trascinarlo velocemente dietro ai bidoni dell’immondizia poco più indietro. Sotto lo sguardo stupito della moglie dell'avvocato, i due finsero nuovamente la loro ricerca accentuando vistosamente i movimenti in una scenetta poco credibile.
Con un'ultima e sottile occhiataccia rimproverante, la donna salì sulla sua fiammante auto andandosene insospettita.
Ci furono diversi minuti di confusione nella via. I due proprietari delle vetture, scesi entrambi di corsa per assicurarsi che le proprie auto non si fossero danneggiate, avevano iniziato a insultarsi fortemente attirando così i curiosi nelle vicinanze che, come avvoltoi, si erano accalcati ormai tutt'intorno per godersi al meglio la scena.
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