Jack Mars - Assassino Zero

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“Non andrai a dormire finché non avrai finito di leggere i libri dell'AGENTE ZERO. I personaggi, magistralmente sviluppati e molto divertenti, sono il punto di forza di questo lavoro superbo. La descrizione delle scene d'azione ci trasporta nella loro realtà; sembrerà di essere seduti in un cinema 3D dotato dei migliori simulatori di realtà virtuale (sarebbe un incredibile film di Hollywood). Non vedo l'ora che venga pubblicato il seguito”.
–-Roberto Mattos, Books and Movie Reviews
Un misterioso attacco con un'arma ad ultrasuoni sembra presagire l'inizio di qualcosa di terribile; l'agente Zero inizia una caccia all'uomo per evitare che il mondo venga distrutto.
L'agente Zero, dopo aver scoperto dell'impeachment del Presidente e dopo aver appreso che sua figlia Sara è in pericolo, vuole ritirarsi dal servizio e riunire la sua famiglia. Ma il destino ha in serbo dell'altro per lui. Quando la sicurezza del mondo viene minacciata, Zero non può fare altro che tornare sul campo.
Nel frattempo, gli tornano alla memoria nuovi ricordi, e con essi nuovi importanti segreti. L'Agente Zero potrebbe riuscire a salvare il mondo, ma potrebbe non essere in grado di salvarsi da sé stesso questa volta.
ASSASSINO ZERO (Book # 7) è un thriller di spionaggio che ti terrà con il fiato sospeso fino a notte fonda. Il libro n. 8 della serie AGENTE ZERO sarà presto disponibile.
“Un thriller fantastico”.
–-Midwest Book Review
“Uno dei migliori thriller che ho letto quest'anno”.

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Eppure, Alvaro non si preoccupava di nulla di tutto ciò, purché ci fosse La Piedra. Si trattava di uno dei pochi veri bar cubani rimasti sul lungomare: le sue porte erano ancora aperte – letteralmente, bloccate da fermaporta in modo che la musica vivace della salsa arrivasse alle orecchie del visitatore ancora prima di entrare. Non c'era coda per entrare a La Piedra, a differenza delle moltissime discoteche europee. Non c'era una folla brulicante che cercava di richiamare l'attenzione dei baristi accalcandosi ai banconi. L'illuminazione non era debole o stroboscopica ma intensa, proprio per accentuare appieno l'arredamento vibrante e colorato. Una band di sei elementi suonava su un palco che difficilmente poteva essere chiamato tale, costituito da una piattaforma leggermente rialzata nell'angolo più lontano del bar.

Alvaro era in perfetta sintonia con La Piedra, con la sua camicia di seta decorata con un motivo bianco e giallo di Mariposa, il fiore nazionale di Cuba. Era alto e scuro, giovane e ben rasato, piuttosto bello. Qui, nel piccolo club di salsa di Malecón, non era solo un cuoco con le unghie sporche di grasso e lievi ustioni alle mani. Era un misterioso ed eccitante sconosciuto. Una storia allettante da raccontare a casa o un segreto da mantenere.

Si avvicinò al bar e indossò quello che sperava fosse un sorriso seducente. Al bancone c'era Luisa, come quasi tutte le sere. La loro routine era diventata una specie di danza in sé, uno scambio abituale e sempre uguale.

“Alvaro”, disse lei in tono indifferente, a malapena in grado di reprimere un sorriso. “Ecco la nostra trappola per turisti”.

“Luisa”, rispose lui languido. “Sei meravigliosa”. Effettivamente, Luisa era bellissima. Quella sera indossava una luminosa gonna lunga con uno spacco vertiginoso che accentuava le curve dei fianchi, con un top corto bianco appena appoggiato su un perfetto ombelico con un piercing a forma di rosa. I suoi capelli scuri ricadevano sulle spalle in morbide onde, incorniciando i suoi orecchini d'oro. Alvaro sospettava che metà degli avventori di La Piedra venisse solo per vederla; se non altro, per lui era così.

“Stai attento. Non vorrai sprecare le tue migliori battute con me”, scherzò.

“Tutte le mie frasi migliori sono dedicate a te”. Alvaro si appoggiò con i gomiti sul bancone di legno. “Lascia che ti porti a cena. Meglio ancora, lascia che io cucini per te. Il cibo è un linguaggio d'amore, lo sai”.

Lei sorrise. “Richiedimelo la prossima settimana”.

“Lo farò”, promise. “E nel frattempo, posso avere un mojito , per favore ?”

Luisa si girò per preparare il suo drink, e Alvaro intravide la farfalla tatuata sulla spalla sinistra. Questi erano i loro passi di danza, i passi della loro salsa: un complimento, una proposta, un rifiuto, un drink. E altro ancora.

Alvaro distolse lo sguardo da lei e si guardò attorno al bar, ondeggiando dolcemente al suono della musica vivace. Gli avventori erano un piacevole mix di gente del posto e turisti amanti della musica, per lo più americani, alcuni europei e occasionalmente qualche gruppo di asiatici, tutti alla ricerca dell'autentica esperienza cubana e, con un po' di fortuna, lui sarebbe diventato parte dell'esperienza di qualcuna di loro.

In fondo al bar scorse dei capelli rosso fuoco, una pelle di porcellana, un bel sorriso. Appartenevano a una giovane donna, probabilmente degli Stati Uniti, sulla ventina. Era lì con due amici, seduti di fianco a lei su due sgabelli da bar. Uno di loro disse qualcosa che la fece ridere; inclinò la testa all'indietro e sorrise ancora di più, mostrando i suoi denti perfetti.

Gli amici potrebbero essere un problema. La donna dai capelli rossi non indossava alcun anello e sembrava si fosse vestita appositamente per attirare l'attenzione, ma sarebbero stati gli amici a decidere per lei.

“È carina”, disse Luisa mentre posava il mojito davanti a sé. Alvaro scosse la testa; non si era reso conto che la stava fissando.

Si strinse nelle spalle, cercando di scherzarci su. “Non è bella come te”.

Luisa rise di nuovo, questa volta di lui, mentre alzava gli occhi al cielo. “Sei tanto sciocco quanto dolce. Vai da lei”.

Alvaro prese il suo drink, mentre il suo cuore si spezzava ogni volta che Luisa respingeva le sue avance, sperando di trovare conforto in quella turista americana dai capelli rossi. I suoi metodi erano ben esercitati, sebbene non del tutto infallibili. Ma quella sera Alvaro si sentiva fortunato.

Si aggirò lungo il bancone, oltrepassando la ragazza e i suoi due amici senza rivolgere loro uno sguardo. Si sedette a un tavolo alto nella sua visuale e si appoggiò ad esso con i gomiti, battendo il tempo con la musica, aspettando il momento giusto. Poi, dopo un minuto, si guardò alle spalle con scioltezza.

La ragazza dai capelli rossi lo guardò a sua volta e i loro occhi si incontrarono. Alvaro distolse lo sguardo, sorridendo timidamente. Aspettò di nuovo, contando mentalmente fino a trenta prima di guardarla di nuovo. Lei distolse rapidamente lo sguardo. Lo stava guardando. Non aveva bisogno di altro.

Quando la canzone finì e il bar scoppiò in un applauso per la band, Alvaro raccolse il suo mojito e si avvicinò alla ragazza, non troppo in fretta, con le spalle dritte, la testa alta e sicuro di sé. Le sorrise e lei ricambiò il sorriso.

Hola . ¿Bailar conmigo?

La ragazza sbatté le palpebre confusa. “Scusami”, balbettò dolcemente. “Non parlo spagnolo…”

“Dance with me”. L'inglese di Alvaro era impeccabile, ma esagerò il suo accento per sembrare più esotico.

La ragazza arrossì, e le sue guance diventarono quasi dello stesso colore dei suoi capelli. “Io… non sono capace”.

“Ti insegno io. È facile”.

La ragazza sorrise nervosamente e, come Alvaro aveva previsto, guardò le sue amiche. Una di loro scrollò le spalle. L'altra annuì con entusiasmo e Alvaro dovette sforzarsi di non sorridere con troppo entusiasmo.

“Umm… va bene”.

Lui tese una mano e lei la prese, le sue dita calde in quelle di lui mentre la conduceva sulla pista da ballo, un'ampia area all'interno del bar in cui i tavoli erano stati allontanati per far spazio agli avventori giunti lì per la musica.

“Per ballare la salsa non serve conoscere i passi correttamente”, le disse. “È sufficiente seguire la musica. Così”. Quando la band iniziò la canzone successiva, Alvaro fece un passo avanti con il ritmo, dondolandosi sul piede posteriore e tornando subito indietro. I suoi gomiti ondeggiavano vagamente ai suoi lati, una mano ancora nella sua, muovendo i fianchi a ritmo con i suoi passi. Non era di certo un esperto, ma era dotato di un naturale senso del ritmo che faceva sembrare impressionanti anche i passi più semplici.

“Così?” La ragazza imitò rigidamente i suoi passi.

Lui sorrise. “Sì. Ma più sciolta. Fai come me. Uno, due, tre, pausa. Cinque, sei, sette, pausa”.

La ragazza rise nervosamente cercando di apprendere i passi, sciogliendosi progressivamente man mano che diventava più sicura. Alvaro temporeggiò, aspettando che la canzone finisse e che ne iniziasse un'altra prima di posarle delicatamente una mano sul fianco, mentre entrambi ballavano, dicendole: “Sei molto bella. Come ti chiami?”

La ragazza arrossì di nuovo. “Megan”.

“Megan”, ripeté. “Io sono Alvaro”.

La ragazza, Megan, sembrava sempre più a suo agio, cedendo progressivamente al fascino di uno sconosciuto bello e misterioso in quella terra esotica. Tutto stava andando secondo i suoi piani. Lei osò avvicinarsi, chiudendo gli occhi, seguendo la musica come lui le aveva detto, mentre i suoi fianchi ondeggiavano seguendo i passi di salsa, non erano così belli e formosi come i fianchi di Luisa, notò, ma erano comunque attraenti. Alvaro sapeva per esperienza di non muoversi troppo velocemente, di lasciare che la musica e la sua immaginazione prendessero il sopravvento, e poi…

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