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Emma si sedette vicino a Charlotte, che consultava la sua agenda, sentendo l’occhio freddo di Candice su di sé. La donna la osservava attentamente senza dire nulla, cosa che la metteva ancora più a disagio. Elvie e Alice erano intente a conversare. Evitò con cura di incrociare lo sguardo del loro capo. Non voleva lasciarsi toccare dal giudizio che sembrava provenire da lei.
“È incredibile che tu abbia passato tre ore chiusa dentro l’ascensore. Non riesco ancora a crederci”, disse Charlotte chiudendo la sua agenda e riprese: “Io sarei semplicemente andata in panico!”
“Un altro aneddoto da aggiungere alla mia lista”, rispose Emma a bassa voce.
“Eri sola?” chiese Elvie, improvvisamente interessata alla conversazione.
Emma era imbarazzata. Giocò di riflesso con un bottone della camicia, mentre fissava l’interruttore che permetteva di alzare e abbassare il finestrino dell’auto. Ricordava la notte prima con Gabriel. Si erano salutati senza promesse, con un ricordo delizioso. Momenti magici. Lui le aveva lasciato il suo biglietto da visita e lei il proprio.
Aveva tenuto quel segreto per sé, come un sogno che si fa e si conserva gelosamente. Avevano preso le loro cose, si erano rivestiti e avevano aspettato che tornasse la luce. Lei si era addormentata sulla sua spalla, lui le aveva accarezzato i capelli e la nuca tutto il tempo. Un gesto tenero. Quello di un innamorato, non di un amante passeggero.
Quando l’ascensore era ripartito l’aveva svegliata con un bacio sulla fronte, dolcemente. E, prima di andarsene, l’aveva baciata focosamente. Con una passione che Emma non aveva mai conosciuto. Una leggera fitta al cuore le diceva che non l’avrebbe più rivisto. Doveva già essere tornato alla sua vita normale. Una vita che immaginava occupata, con tante ore di lavoro e di attività e nemmeno un minuto per sé o per pensare a lei. Sicuramente, per lui era stata solo una breve storia e aveva già voltato pagina. Era quello che credeva. E forse era meglio così. Tuttavia, trovava difficile riprendere il corso della sua vita dopo aver vissuto un momento così forte con un semplice sconosciuto. Eppure non era la prima persona a vivere una cosa del genere e certamente non sarebbe stata l’ultima. Era cambiata dalla sera prima. Era cresciuta.
“Ero con quel medico di Montreal”, rispose finalmente, prima di guardare fuori.
“Chiudetemi in uno spazio chiuso con lui in qualsiasi momento”, scherzò Charlotte.
Emma sentì una punta di gelosia al pensiero che Charlotte potesse fare qualcosa con Gabriel, ma scacciò rapidamente quell’idea.
“Eri in buona compagnia, nel caso avessi avuto un malore”, osservò Elvie.
“Si stima che il 4-5% della popolazione soffra di claustrofobia. Lo sapevate che…”, iniziò Alice.
“No, va bene, Alice. Niente dettagli, per favore!” tagliò corto Charlotte.
Candice rimase in silenzio. Alla fine distolse lo sguardo da Emma e si mise a studiare le sue dipendenti con aria pensierosa. Stava analizzando la situazione. Emma era sollevata che avesse finalmente smesso di fissarla, ma si chiedeva comunque perché lo facesse. Poi cominciò a pensare a Ian. Il suo interesse per lui era molto meno forte di quanto non fosse inizialmente.
“Cosa voleva Ian?” chiese Charlotte a bassa voce.
“Te lo dico stasera”, rispose Emma.
Candice aveva di nuovo posato lo sguardo sulla giovane donna e sembrava aspettare anche lei una risposta. Emma si sentiva un po’ in trappola perché sapeva che la sua migliore amica non avrebbe mollato l’osso facilmente.
“È andata male ieri sera?”
“Non si è presentato.”
“No! Non ci credo! Ha osato farti questo? Racconta!”
“Più tardi, ti ho detto. Più tardi!”
Lo sguardo inquisitore di Candice infastidiva Emma. Si azzardò a farle un piccolo sorriso e la donna lo ricambiò in modo meccanico. Emma non capiva l’interesse che sembrava suscitare. Avrebbe voluto avere il coraggio di Charlotte e la sua sfacciataggine per chiederglielo direttamente. Le mancava la sua capacità di ribattere prontamente e dovette ammettere che non le avrebbe mai fatto quella domanda. Preferiva inventarsi, come giustificazione, che la detestava e che probabilmente non le avrebbe offerto altri contratti. Dopotutto, era ciò che si meritava con la sua mancanza di professionalità negli ultimi due giorni.
Emma aveva la cattiva abitudine di immaginarsi le cose invece di risolvere i malintesi o chiarire situazioni come quella. Era più facile per lei, a volte, vivere nella sua mente che affrontare la verità, anche se questa avrebbe potuto liberarla da un peso. L’attenzione ricevuta dalla direttrice di Style Magazine la metteva a disagio e non ricordava nessuno che la fissasse così tanto, per quanto andasse indietro nel tempo.
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Candice aveva organizzato una serata di networking per la loro ultima notte in New Jersey. Erano state invitate le persone del posto, così come tutti gli operatori che gravitavano, da vicino o da lontano, attorno al mondo della moda. Charlotte era eccitata dall’opportunità di incontrare tanta gente del settore. Era sorpresa di essere stata così assennata durante quel viaggio e di aver avuto un tale controllo. Ammise con se stessa, tuttavia, che viaggiare con il suo capo le aveva permesso di porre un freno a qualsiasi tentazione di follia che le fosse passata per la testa. Candice faceva quell’effetto. La cosa non le pesava: era ora che pensasse a calmarsi e a diventare più seria. Spesso invidiava la maturità di Emma, anche se pensava che potesse essere sinonimo di noia. Le loro differenze erano ciò che le univa, la base della loro amicizia, perché riuscivano a completarsi a vicenda.
Ammirò il suo riflesso nello specchio un’ultima volta e si passò le mani sulla vita per mettere a posto il tessuto del suo vestito rosso. Si era innamorata di quel capo quando lo aveva visto indosso a una delle modelle durante un servizio fotografico per la copertina dell’ultimo numero della rivista.
“Wow! Sei semplicemente magnifica!” esclamò Emma, guardando la sua amica.
“È carino, eh? Mi piace troppo questo vestito, mi sento come se fosse stato creato per me!”
Emma aveva scelto un semplice abito nero che aveva già indossato a una festa di fidanzamento. Preferiva non farsi notare ed evitare troppa attenzione. Avrebbe anche evitato il ricevimento, se avesse potuto, ma non aveva avuto scelta.
“Cos’è successo con Ian?” chiese Charlotte, guardando l’ora.
“Mi sono tirata indietro. Quando l’ho visto stamattina, non ho più avuto voglia di continuare a frequentarlo, nemmeno per una sera”, rispose Emma. Proseguì: “Mi ha fatto arrabbiare che non si sia presentato. È una totale mancanza di rispetto per me. Patrick l’ha fatto così tanto nel passato. Mi è sembrato di rivivere la stessa cosa.”
“Perlomeno è uno che regala fiori! Un pensiero molto carino.”
“Non cambia niente. Siamo due estranei. Non è una buona idea iniziare una relazione a distanza. Non conosco quel tipo…”
“E, detto tra noi, non è per niente da te vivere una storia senza futuro. Non riesco a immaginarti in questo tipo di relazione senza attaccamento. Tu hai bisogno di un rapporto con basi solide e forti…”
Emma abbassò lo sguardo. Ripensò a Gabriel per qualche secondo. Non riusciva a confidare alla sua amica quello che era successo il giorno prima. Voleva tenere quella storia per sé. Cambiò argomento.
“Tu cosa hai fatto ieri sera?”
Charlotte si mise al collo una collana sobria, impreziosita da un piccolo diamante. Si era sollevata i capelli, lasciando libera la nuca.
“Sono andata in spiaggia e ho letto”, rispose lei, dopo essersi assicurata che i suoi gioielli e il suo vestito fossero in armonia.
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