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Federico Moccia: L'uomo che non voleva amare

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Federico Moccia L'uomo che non voleva amare

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«Non partire.»

Lei non rispose. Lo strinse forte a sé. Poi si alzò e andò in bagno. Aprì l’acqua della vasca, la fece scorrere riempiendola, mise alcuni sali profumati che la colo-rarono di celeste. Quando fu piena, si immerse completamente. Si distese. Chiuse gli occhi, poggiò la testa sul grande cuscino morbido che faceva da spalliera e scivolò un po’ più giù in quell’acqua calda e profumata.

Ripensò a quelle parole. “Non partire.” Fece un lungo sospiro. No. Non erano quelli i patti.

«Posso?» Sofia aprì gli occhi. Tancredi era in piedi sulla porta del bagno con due bicchieri di champagne.

Lei gli sorrise gentile.

«Prego. Fa’ come se fosse casa tua.»

Lui si infilò nella vasca di fronte a lei e le passò il bicchiere. «Scusami. Non avrei dovuto chiedertelo.» Poi alzò il calice. «Alla nostra felicità, comunque sia.»

Sofia sorrise e brindò con lui. Poi bevve metà del bicchiere e lo poggiò sul bordo della vasca. Gli sorrise e scivolò dall’altra parte. Finì dietro di lui e lo avvolse tra le suç gambe. Gli mise le braccia intorno al collo, le incrociò sul suo petto.

«Shhh. Lasciati andare.»

Tancredi lo fece. Appoggiò lentamente indietro la testa, sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Poi si sorprese anche lui di quello che accadde. Glielo raccontò.

Tancredi guidò velocemente fino a casa con la sua Porsche. Si spogliò, si mise sotto la doccia, si asciugò in un attimo, si mise un completo scuro e la camicia bianca, i calzini neri, infilandoseli sorrise, poi si allacciò delle Church’s ultimo modello. Scese giù di corsa, sal-tando a due a due gli scalini di casa, fino a quando non la incontrò. «Ciao.» Claudine era ferma, in piedi nella penombra, appoggiata a quel muro.

«Sei qui… pensavo stessi dormendo.»

«Ti ho sentito rientrare.»

«Ah, scusa, ti ho svegliato.»

«Non dormivo.»

«Meglio così, sorellina.»

Le diede un bacio sulla guancia. Poi, prima che scap-passe via, lei lo fermò. «Ti devo parlare.»

«Sorellina, sono in ritardissimo. Non possiamo parlare domani?»

«No.» Rimase in silenzio e abbassò la testa. «Adesso.»

Tancredi le portò la mano sotto il mento e provò a ri-alzargliela ma lei resisteva. Alla fine ci riuscì e la guardò negli occhi. «È una cosa importante?»

Claudine annuì, le veniva da piangere.

Tancredi sospirò. «Sorellina, rimarrei… ma ho un impegno che non posso proprio rimandare.»

«Tutto si può rimandare.»

«Allora anche il tuo appuntamento!» Rimasero in silenzio. Poi lui capì che non era così che doveva affrontare la situazione. Allora Tancredi le parlò in maniera tranquilla. «Vedrai che qualunque cosa sia alla fine si potrà rimettere a posto, ne sono sicuro. Dormici su, magari già domani la vedrai diversamente.» Poi la prese un po’ in giro come aveva fatto fin da piccolo, strappandole un sorriso. Avevano deciso. Ne avrebbero riparlato la mattina successiva. Poi Tancredi uscì di corsa prima che lei potesse trattenerlo di nuovo, salì sulla Porsche, mise in moto, fece il giro della piazzetta e sgommando sulla ghiaia attraversò il parco della villa a tutta velocità.

Claudine raggiunse la porta di casa, lo vide imboc-care veloce quell’ultima parte del rettilineo, uscire dal cancello e sparire nella notte. Era di nuovo sola. Sola. Si sentivano solo le cicale lontane. Tutto intorno era buio.

Si guardò intorno, poi si sentì più sollevata. Aveva preso quella decisione. È vero, era come diceva Tancredi.

Non c’è nulla nella vita che non si possa risolvere.

Allora fece un lungo respiro. Tornò in camera sua, aprì il cassetto e le prese. Era l’unica soluzione. Poi uscì. Tancredi le avrebbe trovate e avrebbe capito.

Poco dopo tornò in casa. Poi sentì quel rumore. Aveva fatto appena in tempo. Non poteva più aspettare.

Si tolse le scarpe, rimase a piedi nudi e salì veloce su per le scale, ancora più su. Camminava cercando di non fare rumore e ogni tanto si guardava indietro.

Forse l’aveva sentita. Doveva fare in fretta. Quella sera no.* Non ce l’avrebbe fatta. Non sarebbe stato possibile. Aprì la porta della soffitta. Lo fece lentamente, chiudendo gli occhi, preoccupata che potesse cigolare. Ma così non fu. Allora camminò in punta di piedi fino alla piccola finestra che dava sul tetto. Spostò piano piano il baule, ci salì sopra e in un attimo fu fuori. Faceva fresco, era buio e non c’era la luna.

Cercò in alto nel cielo qualche stella ma non ne vide nessuna. Un vento leggero muoveva le fronde degli alberi più alti. Ma ne sentiva solo il rumore. Intorno era tutto buio. Non si vedeva nulla. “È così che sarà?”

Solo di una cosa era sicura. Il suo problema sarebbe stato risolto. Non ne poteva più. Allora fece un ultimo sorriso. Tre passi veloci. E saltò.

Tancredi piangeva. In silenzio, tra le sue braccia, ri-emerso da quei ricordi mentre Sofia non sapeva cosa dire. Lo stringeva forte cercando in qualche modo di consolarlo.

«Non è stata colpa tua, non potevi fare nulla.»

«Potevo restare. Potevo ascoltare.»

«Perché non l’hai fatto? Non volevi sapere?»

«Avevo fretta.»

«Ma dove dovevi andare?»

Rimase in silenzio, si vergognava di non aver saputo rinunciare, non aveva saputo ascoltare quell’ultimo grido disperato di sua sorella.

«Una donna. Avevo appuntamento con una ragazza.»

Tancredi fece un lungo respiro. Era riuscito a dirlo.

Sofia gli accarezzò i capelli. «Tutti vorremmo tornare indietro e tutti abbiamo almeno una cosa da mettere a posto. Ma non si può. Si deve convivere con i rimorsi. Si può cercare di dimenticarli o di superarli. Di fare qualcosa’che ci permetta di sentirci meglio. Ma non possiamo rinunciare alla vita per una cosa che magari sarebbe avvenuta comunque.» E senza volerlo pensò alla sua di cosa da mettere a posto, al suo voto, alla musica che si era negata. Lentamente si portò di fronte a lui e gli prese il viso tra le mani. Tancredi lo teneva basso, esattamente come Claudine quella sera.

«Guardami, Tancredi.» Allora piano piano lui alzò il viso e incontrò i suoi occhi e poi il suo sorriso.

«Non hai colpe. C’era qualcosa nella vita di tua sorella che non andava…»

«Ma lei voleva dirmelo e io non gliene ho dato modo.»

«Ma possibile che non abbia lasciato una lettera?

Magari in quel periodo teneva un diario e lì ha spiegato il perché.»

«Ho guardato ovunque.»

«È strano che non abbia lasciato niente. Quando si sta così male si ha la necessità di scrivere, di dirlo almeno a se stessi. Non c’era un posto che lei amava?»

Tancredi rimase in silenzio. Aveva cercato dapper-tutto, avrebbe voluto sapere in tutti i modi cosa voleva dirgli sua sorella.

«Niente. Non ha lasciato niente.»

«Ma dopo la morte di Claudine, non è successo nulla di strano?»

«No. Tutto come prima, è rimasto tutto esattamente uguale.»

E proprio questo, almeno per lui, era stato ancora più doloroso. La loro vita era proseguita come se nulla fosse. Era come se fosse stato normale che un giorno Claudine si sarebbe uccisa, come se in qualche modo tutti se lo aspettassero. E tutti sapevano che la colpa sarebbe stata solo sua.

Ma tutto questo naturalmente non riuscì a dirlo.

Rimasero così, davanti a quel mare, davanti a quella notte, davanti a quelle stelle sospese sopra di loro, senza nessuna risposta. Poi Sofia gli diede dolcemente un bacio. Si staccò e piegò la testa di lato. I suoi capelli sciolti le scendevano sulla spalla. Lo guardò con tenerezza.

«Tancredi, non è stata colpa tua. E ora di tornare ad amare.»

«È un tuo desiderio?»

Lei sorrise.

«E un consiglio.»

Più tardi cenarono sulla torre, lì dove il mare era più profondo. Sofia si presentò con il vestito rosso di Armani. Aveva i capelli raccolti, un sottile filo di perle e degli orecchini abbinati. Il mare era leggermente mosso, un vento ribelle ma caldo muoveva il suo vestito, i suoi capelli. Era bella, pensò Tancredi. Molto bella. Bellissima. Forse ancora di più perché era la loro ultima sera.

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