Alla vista del fallo della statua le venne da vomitare. Si piegò, rigettò tutto quel che aveva nello stomaco sul pavimento. Il suo sguardo era vitreo. Sbigottita, pensò: mi ha ingannato. Non c’è nessuna soluzione, qui. Voleva solo compiere questa suprema profanazione della mia mente… e del mio corpo!
Florence si passò il dorso della mano sulle labbra screpolate, riarse. Basta, pensò, basta. Non ne posso più. Si guardò intorno. Vide che dalla schiena del crocefisso spuntava un grosso chiodo aguzzo (quello che lo teneva fissato alla parete). Allora si trascinò, ginocchioni, più vicina e tese le mani. Passò più volte i polsi sulla punta del chiodo, per segarsi le vene, mugolando per il gran dolore. Si mise a singhiozzare. «Basta,» ripeteva «non ne posso più.»
Ricadde, accasciata. Il sangue le sgorgava dai polsi recisi, a fiotti. Chiuse gli occhi. Adesso non potrà farmi più niente, pensava. Anche se la mia anima resterà prigioniera in questa casa per sempre, io non sarò più il suo zimbello, da viva.
Sentiva la vita abbandonarla. Stava fuggendo via da se stessa. Daniel non avrebbe più potuto farle del male. Il dolore scemava, via via, e ogni sensazione si faceva evanescente. Dio l’avrebbe perdonata. Distruggere se stessa era l’unica cosa che potesse fare, ormai. Le sue labbra si dischiusero in un sorriso.
Lui avrebbe capito.
Riaprì gli occhi, battendo le palpebre. Le era sembrato di udire dei passi. Voleva voltarsi ma non ne fu capace. Le parve che il pavimento tremasse. Tentò di guardare. C’era qualcuno chino sopra di lei? Ma non riusciva a mettere a fuoco la sua vista annebbiata.
A un tratto le balenò un pensiero. Angosciata, cercò di alzarsi in piedi, ma era troppo debole. Bisognava farglielo sapere! glielo doveva dire!
Con tutte le sue forze, Florence cercò di alzarsi. Una nuvola di tenebre l’avviluppava. Si sentiva inerte per tutte le membra. Guardò il suo sangue gocciolare sul pavimento. Aiutami, Dio! implorò. Devo farglielo sapere!
Lentamente, agonizzando, allungò una mano per tracciare dei segni col suo sangue sparso al suolo.
ore 11.08
Col cuore che gli dava martellate, Fischer si sollevò, si guardò intorno, pieno di terrore. La testa gli pulsava. Gli procurava fitte atroci. Avrebbe voluto lasciarsi ricadere all’indietro sui cuscini, ma qualcosa gliel’impedì.
Allungò le gambe fuori del letto, si alzò. Cominciò a barcollare. Si portò le mani alle tempie, a occhi chiusi, vacillando. Emise un lamento. Ricordò che Barrett gli aveva dato un sonnifero. Maledetto imbecille! imprecò. Chissà quanto tempo era rimasto privo di conoscenza.
Si diresse verso la porta, come un ubriaco, cercando di non perdere l’equilibrio. Percorse il corridoio, brancolando, e raggiunse la camera di Florence. Vi entrò. Lei non c’era, a letto. Guardò nel bagno, attraverso la porta spalancata. Non c’era, neanche là. Ritornò nel corridoio. Ma che cos’è che non funziona, in Barrett? si domandò. Tentò di affrettare il passo, ma la testa gli faceva troppo male. Si fermò, si appoggiò al muro, con lo stomaco sconvolto dalla nausea. Batté gli occhi, scosse il capo. Il dolore aumentò. Al diavolo! si disse. E si rimise a camminare, caparbiamente. La doveva trovare, doveva portarla fuori da quella casa.
Passando davanti alla porta dei Barrett, si soffermò per guardar dentro. Girò gli occhi incredulo. Barrett non c’era! aveva lasciato sola sua moglie! Fischer serrò le mascelle, furioso. Ma che diavolo stava succedendo? Attraversò la stanza, toccò Edith su una spalla.
Edith si svegliò di soprassalto, lo guardò a bocca aperta.
«Dov’è suo marito?» domandò Fischer.
Ella si guardò intorno smarrita. «Come! non è qui?»
E in così dire si alzò in piedi. Fischer la vedeva come attraverso una nebbiolina, e notò lo stupore dipinto sul suo volto. «Non importa» disse, riavviandosi. Ma Edith lo sorpassò e si precipitò fuori della stanza chiamando a gran voce: «Lionel! Lionel!».
Quando Fischer raggiunse le scale, Edith era già in fondo alla rampa. «Non vada sola!» le gridò. La donna non gli diede retta. Fischer cercò di affrettarsi, ma dovette sostare e appoggiarsi alla balaustra, per il male insopportabile che gli trafiggeva il cranio. Tremava per tutto il corpo. Udì Edith chiamare ancora «Lionel!» mentre attraversava il vestibolo. E udì l’uomo risponderle. Riaprì gli occhi. E dove volevi che fosse? pensò, amaramente. Non gli importa di niente, tranne che del suo apparecchio, a quel disgraziato, a quel bastardo! e ha lasciato sola sua moglie! ha trascurato Florence!
Fischer scese i gradini, attraversò il vestibolo, stringendo i denti per l’atroce dolore che lo torturava. Entrò nel salone. Vide Barrett ed Edith in piedi accanto al Reversore. «Dov’è Florence?» domandò.
Lo sguardo di Barrett era privo d’espressione.
«Ebbene?»
«Come! non è in camera sua?»
«Glielo chiederei, se ci fosse?»
Barrett claudicò verso Fischer, seguito da Edith. Questa aveva l’aria smarrita, si capiva che era in collera col marito.
«Ma io…» disse Barrett «io stavo a orecchie tese. E le ho dato un sonnifero…»
«All’inferno le sue pillole!» l’interruppe Fischer. «Lei crede che un sonnifero basti a tener a bada le forze occulte?»
«Io non credo…»
«Non me ne frega di quel che lei crede!» La testa gli martellava così forte che non riusciva quasi a veder niente. «È scomparsa! ed è questo soltanto che conta!»
«Ebbene, vada a cercarla» disse Barrett. Ma il suo tono non era di sicurezza. Si guardò intorno a disagio. «Guarderemo in cantina per prima cosa. Potrebbe…»
S’interruppe, vedendo Fischer afferrarsi la testa fra le mani, con il viso contratto da una smorfia d’agonia.
«Si metta seduto» gli disse.
«Stia zitto!» gridò Fischer, rauco. Si piegò su se stesso, per un conato di vomito.
«Fischer…» Barrett si mosse verso di lui.
Fischer si lasciò cadere pesantemente su una poltrona. Barrett si affrettò per portarsi accanto a lui, seguito da Edith. Entrambi si arrestarono. Fischer aveva fatto un gesto e li guardava con un’aria sconvolta.
«Che c’è?» domandò Barrett.
Fischer si mise a rabbrividire.
«Insomma cosa c’è?» Barrett alzò la voce, non volendo. Quel Fischer gli dava ai nervi.
«Nella cappella!»
Il grido d’orrore di Edith lacerò l’aria. Si rigirò e barcollando si appoggiò alla parete.
«Oh mio Dio, mio Dio!» mormorò Barrett.
Malfermo sulle gambe, Fischer si avvicinò a quel corpo inanimato e l’osservò. Gli occhi di Florence erano sbarrati, la sua faccia, riversa, era pallida come la cera. I suoi inguini erano imbrattati di sangue, gli organi genitali ridotti a una piaga, tutta la carne intorno lacerata.
Fischer fu scosso da un sussulto, quando Barrett gli si fece accosto e chiese in un sussurro: «Che cosa le è successo?» .
«È stata uccisa, ecco cosa» Fischer rispose, con voce inviperita. «È stata assassinata da questa casa.» Si tese, aspettando che Barrett obiettasse qualcosa per contraddirlo, invece no, Barrett disse soltanto: «Non riesco a capire come abbia potuto svegliarsi con tutti i sedativi che aveva in corpo». E il suo tono era di colpa.
Fischer rivolse la sua attenzione al crocefisso che giaceva lì accanto. E anche Barrett si diede a esaminarlo. Notando che il fallo della statua era insanguinato, lo stomaco gli si rivoltò. «Dio mio» disse.
«Non qui» borbottò Fischer. E poi a gran voce esclamò: «Non c’è nessun Dio in questa fottuta casa!».
Edith che stava rincantucciata accanto al muro, si girò di scatto a quell’esclamazione. Barrett fece per dire qualcosa ma ci ripensò. Emise un sospiro. La cappella puzzava di sangue. «Sarà meglio portarla fuori di qui.»
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