Cominciò a scendere le scale, riposandosi ogni tanto, appoggiandosi con la sinistra alla balaustra. E pensava: cosa faremo una volta via da qui, tutti noialtri? Il quesito era molto appassionante. Miss Tanner sarebbe tornata alla sua chiesa? Avrebbe potuto tornarci, dopo le terribili rivelazioni su se stessa? E Fischer… cosa avrebbe fatto Fischer? Con centomila dollari si possono fare un mucchio di cose. Quanto a lui e Edith, il loro futuro era abbastanza chiaro. Ma evitava di pensare ai problemi personali che dovevano risolvere fra loro. Ci avrebbe pensato più in là.
Per lo meno sarebbero tutti usciti vivi dalla Casa d’Inferno. Come leader del piccolo drappello, egli provò un certo qual orgoglio, anche se era assurdo, forse, provarlo. Comunque, il gruppo del 1931 e quello del 1940 erano stati virtualmente decimati. Stavolta, in quattro erano entrati nella Casa d’Inferno, e in quattro ne sarebbero usciti sani e salvi. Stasera.
Si domandò cosa ne avrebbe fatto, poi, del Reversore. Consegnarlo al laboratorio dell’Università? Forse era la cosa migliore. Un prestigioso cimelio. Qualcosa di simile, si disse, alla capsula spaziale che aveva portato il primo astronauta nello spazio. Forse un giorno il suo Reversore avrebbe occupato un posto d’onore allo Smithsonian Institute. Sorrise con sarcasmo. O forse no. Forse lui si illudeva, pensando che il mondo della scienza si sarebbe inchinato reverente di fronte alla sua impresa. No, dovranno passare molti anni ancora, rifletté, prima che alla parapsicologia sia concesso di occupare il posto che le compete fra le altre scienze naturali.
Andò alla porta d’ingresso e l’aprì. Era giorno. Chiuse il battente e claudicò fino al telefono, sollevò il ricevitore. Attese.
Non udì alcuna risposta. Picchiò sulla forcella. Un bel momento aveva scelto per non funzionare. Attese. Di nuovo batté sulla forcella. Oh dai, pensò. Non poteva certo portar via di lì Miss Tanner e Fischer senza un aiuto.
Stava per riagganciare, quando il ricevitore fu sollevato all’altro capo e l’uomo di Deutsch disse : «Pronto?».
Barrett emise un sospiro di sollievo. «Stavo in pensiero. Sono Barrett. Abbiamo bisogno di un’autoambulanza.»
Silenzio.
«Mi sente?»
«Sì.»
«Allora può mandarcene una subito? Mister Fischer e Miss Tanner hanno bisogno di venir ricoverati d’urgenza in ospedale.»
Non ci fu risposta.
«Mi ha inteso?»
«Sì.»
La linea restò muta.
«C’è qualcosa che non va?» domandò Barrett.
L’uomo esitò, poi disse : «Oh, diavolo, questa proprio non vi ci voleva».
«Cosa non ci voleva?»
L’altro non rispose.
«Insomma, cosa ?»
Un’altra esitazione. Poi l’uomo disse tutto d’un fiato: «Il vecchio Deutsch è morto stamattina».
«Morto?»
«Era ammalato di cancro. Ha preso troppe pillole per lenire i dolori. Accidentalmente, s’è ucciso.»
Barrett si sentì ottundere il cranio. Che differenza fa? chiese a se stesso. Ma lo sapeva. «Perché non ce l’ha comunicato subito?»
«Così mi è stato ordinato.»
Da suo figlio, pensò Barrett. «Be’…» La sua voce era fioca. «E per quel che riguarda…»
«Mi è stato ordinato di… abbandonarvi là.»
«E il denaro?» domandò Barrett, benché conoscesse già la risposta.
«Non ne so nulla, ma, date le circostanze…» L’uomo sospirò. «Avete niente per iscritto?»
Barrett chiuse gli occhi. «No.»
«Capisco.» La voce dell’uomo era opaca. «Certo adesso quel bastardo di suo figlio…» S’interruppe. «Senta, le chiedo scusa per non averla chiamata subito, ma, capirà, ho le mani legate. Ora devo tornare immediatamente a Nuova York. Avete con voi la macchina. Vi suggerisco di venir via subito. C’è un ospedale qui a Caribou Falls. Faccio quello che posso…» La sua voce svanì poi si udì un’esclamazione di disgusto. «Mi sa che lascerò il posto, io. Non lo posso soffrire, quell’uomo. Il padre era già un disastro, ma il figlio…»
Barrett riagganciò. Un’onda nera di disperazione lo sommerse. Niente denaro, addio speranze d’una vecchiaia senza problemi finanziari. Appoggiò la fronte al muro. «Oh no» mormorò.
Lo stagno.
Barrett si guardò intorno, dando un sobbalzo. Quella parola gli era venuta spontanea alla mente. No, pensò. Strinse i denti. No! disse alla casa. Scosse la testa, con decisione.
Si avviò verso il salone. «Non vincerai» disse. «Io non avrò quei soldi, ma tu non l’avrai vinta su di me. No, tu no. Io conosco il tuo segreto, e ti distruggerò.» Non aveva mai provato tanto odio in vita sua. Arrivò sotto l’arcata e indicò il Reversore con un’espressione di trionfo. «Eccolo!» gridò. «Eccolo là, quello che ti batterà!» Dovette appoggiarsi allo stipite. Si sentiva esausto e i dolori lo lancinavano. Non importa, si disse. Il dolore che provava era una cosa secondaria. Si sarebbe preoccupato più tardi di Fischer e Miss Tanner, più tardi si sarebbe dato pensiero di Edith e di se stesso. C’era solo una cosa che contava in quel momento: la sconfitta della Casa d’Inferno e la vittoria del suo lavoro.
ore 10.33
Sentì se stessa sollevarsi a poco a poco dalle tenebre. La voce di Daniel la sollecitava: Non occorre che tu dorma. Le pareva che le vene le si comprimessero, che i tessuti si tendessero, che tutto il suo corpo anelasse a uscire dall’oscurità. Sentiva una bruciante pressione alle reni. Tentò di trattenerla. Ma non ci riusciva. La pressione aumentava. Suvvia, le diceva Daniel, lasciati andare. Florence gemette. Non ne poteva più. Sentì il fiotto caldo inondarla, e gettò un grido di vergogna.
D’un tratto era sveglia. Gettò via le coperte e si alzò, contemplando intontita la chiazza di umido sul lenzuolo. Lui era ormai tanto padrone di lei, da governare anche le sue funzioni corporali.
«Florence.»
Ella girò la testa di scatto e vide il suo volto proiettato sul lampadario d’argento. «Ti prego» egli disse.
Ella lo fissò. Lui si mise a sorridere. «Ti prego.» Il suo tono era di scherno.
«Basta.»
«Ti prego» lui disse.
«Ora basta !»
«Ti prego.» Scoprì i denti, in un ghigno di scherno. « Ti prego. »
«Basta, Daniel.»
«Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego.»
Florence fece per dirigersi verso il bagno. Una mano fredda si strinse intorno alla sua caviglia e la fece ruzzolare. La gelida presenza di Daniel la inondò e la sua voce, satanica, le ululava nelle orecchie: «Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego».
Lei non riusciva a fiatare. Lui sembrava toglierle il respiro, succhiarlo via da lei. «Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego.» Quindi sbottò a ridere con sadico piacere.
Aiutami Tu, mio Dio, ella si raccomandò, in agonia. «Aiutami Tu, mio Dio!» la canzonò la voce di lui. Salvami Tu! ella implorò. E lui ripeté sarcastico: «Salvami Tu! Salvami Tu!». Florence si tappò le orecchie. « Aiutami, Dio mio! » gridò.
Lui allora svanì. Florence ansimava convulsamente. Si alzò in piedi e andò verso il bagno. «Parti?» disse la sua voce. Ella era decisa a non dar più ascolto alle sue blandizie. Entrò nella stanza da bagno. Si inumidì il viso con acqua fredda.
Si raddrizzò e si guardò allo specchio. Il suo viso era pallido, segnato da graffi crostosi e da lividi. Anche il collo e il petto erano striati da lacerazioni. Si esaminò il seno e vide ch’era infiammato, e i segni dei denti erano quasi neri adesso.
S’irrigidì. La porta si era chiusa. Poi vide la propria immagine nello specchio ch’era applicato alla porta. Si preparò a resistere, ma qualcosa di freddo le salì su lungo la spina dorsale. Ansimò. Sbarrò gli occhi.
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