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James Herbert: La pietra della Luna

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James Herbert La pietra della Luna

La pietra della Luna: краткое содержание, описание и аннотация

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John Child è riuscito a sfuggire al terrore del suo passato. Sì è rifatto una nuova vita, ha riscoperto l’amore. Gli manca disperatamente sua figlia ma di certo non sente la mancanza dell’atroce incubo che si è lasciato alle spalle. Poi, all’improvviso, tutto ricomincia. Orribili visioni gli invadono la mente. Una cosa, una creatura incredibilmente forte ha invaso la sua coscienza e lo rende testimone, attraverso i suoi oechi, di assassinii brutali, di mutilazioni orrende. Senza dubbio John ha un grande potere psichico, ma anche la cosa lo ha. E la cosa lo ha fiutato, è sulle sue tracce sempre più famelica...

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«C’era dell’altro, e tu lo sai.»

«Io so che alla fine tutto si sarebbe risolto!». Sapevano entrambi cosa intendeva dire.

«Non ne puoi essere certa.»

«Senti, adesso non ho tempo di discuterne, mi devo sbrigare. Darò i tuoi baci a Gabby e magari ti chiamerà domani.»

«Vorrei vederla presto.»

«Beh, non lo so. Forse a fine trimestre. Vedremo.»

«Fammi un favore Fran.»

Lei sospirò, la rabbia era svanita ormai. «Dimmi.»

«Passa da Gabby prima di andare via. Un salutino, sai! Assicurati che stia bene.»

«Ma che ti piglia, Jon? L’avrei fatto comunque, ma cosa ti viene in mente?»

«Niente, niente, sarà questa vecchia casa vuota. Uno si preoccupa, sai com’è.»

«Mi sembri strano. Sei veramente tanto giù?»

«Passerà! Scusa il disturbo.»

«Non ti preoccupare. Ti serve qualcosa, Jon, vuoi che ti mandi qualcosa?»

Gabby! Mandami mia figlia. «No, grazie, non mi serve niente. Va tutto bene. Grazie lo stesso.»

«Okay. Adesso devo proprio andare.»

«Buona fortuna col tuo autore.»

«Per come vanno gli affari prendiamo tutto quello che capita. Gli faremo una buona promozione. Ci sentiamo, ciao.»

La comunicazione si interruppe. Childes tornò in soggiorno e si accasciò sul sofà; non voleva un altro scotch. Si tolse gli occhiali, e si strofinò gli occhi con le dita irrigidite: l’immagine della figlia gli galleggiò brevemente davanti agli occhi. Gabriel aveva quattro anni quando lui se n’era andato. Sperava che un giorno avrebbe capito il perché.

Riposò a lungo, la testa contro lo schienale del sofà, le gambe stese sul tappetino che ricopriva il pavimento di legno lucido, gli occhiali nella mano tenuta sul petto; ogni tanto fissava il soffitto, o chiudeva gli occhi cercando di ricordare che cosa aveva visto.

Per qualche motivo tutto ciò che riusciva a visualizzare era il rosso. Un rosso spesso, sciropposo. Gli sembrava addirittura di sentire l’odore del sangue.

* * *

Il primo degli incubi lo sorprese quella notte stessa.

Si svegliò rigido e impaurito. Solo.

Lo strascico del sogno rimaneva ma non riusciva a metterlo a fuoco. Sentiva solamente una cosa biancastra, tremolante, un fantasma imprendibile. Svanì man mano che la luce della luna riempiva la stanza.

Childes si sedette sul letto, appoggiando la schiena contro il muro fresco. Era gelato, la paura lo sfiorava dandogli brividi di sgomento. E non sapeva perché, non ne trovava il motivo.

Fuori il silenzio immoto della notte argentata venne lacerato dal grido lugubre di un gabbiano solitario.

* * *

«No Jeanette, dovrai tornare indietro a verificare. Ricordati che il computer non ha un cervello suo, dipende completamente dal tuo. Una sola istruzione sbagliata e non è che si confonda, fa il broncio. E non ti dà quello che vuoi.»

Childes sorrise alla ragazzina, un po’ stanco dei suoi regolari errori di fondo, ma ben conscio del fatto che non tutte le menti dei giovani erano in sintonia con il rapido avanzare dell’era tecnologica, a dispetto di ciò che i giornali e i supplementi a colori della domenica andavano ripetendo. Ormai fuori dal mondo del commercio dei computer, aveva dovuto rallentare, prendere il passo dei ragazzi a cui insegnava. Alcuni avevano intuito, altri no, ed egli doveva spingerli a superare le loro frustrazioni.

«Forza, ricomincia da RETURN, ripeti ogni fase passo per passo, lentamente questa volta. Se pensi ad ogni mossa non puoi sbagliare.»

L’occhiata era molto poco convinta. Lui pure.

Lasciò Jeanette a mordicchiarsi il labbro inferiore, ogni tasto premuto con eccessiva decisione, come se vi fosse una battaglia di volontà, tra la ragazzina e la macchina.

«Ottimo Kelly, proprio bene!»

La quattordicenne lo guardò raggiante, la luce degli occhi forse troppo intensa. Egli scrutò con approvazione lo schermo.

«È proprio tuo questo grafico?» chiese lui.

Lei annuì guardando di nuovo il display visivo.

«Pare proprio che non ce la farai con le spese.»

«Sì, quando manderò a casa lo stampato, papà non potrà che arrendersi all’evidenza dei fatti.»

Childes rise. Kelly aveva fatto presto a capire il potenziale della microelettronica. C’erano sette di queste macchine poste su tavoli sparsi per la classe, che faceva parte del laboratorio di scienze. I computer erano continuamente utilizzati, anche quando lui non era disponibile alla supervisione delle attività. Era stato fortunato, quando era venuto — fuggito — sull’isola. Tutti i college, molti dei quali privati, erano pronti a dotarsi dei computer per poter rispondere alla domanda dei genitori, che pagavano, e che si aspettavano che la materia facesse parte degli studi dei figli. Fino al suo arrivo nell’isola, Jon era stato consulente di una società di servizi che assisteva le aziende fornendo sistemi di computer adatti alle loro esigenze, qualsiasi esse fossero. Consigliavano l’impianto e il software più adatto, preparavano programmi specifici, spesso installavano i macchinari e gestivano corsi d’addestramento intensivi per l’utenza. Una delle funzioni di Childes era di individuare gli intoppi del sistema, risolvere quei problemi che inevitabilmente sorgono all’inizio di ogni operazione. Aveva un intuito eccezionale, geniale, dicevano alcuni. Riusciva a dipanare l’intrico fino a scoprire qualsiasi errore. Era altamente specializzato, molto ben pagato, e stimato da tutti i suoi colleghi; la sua partenza fu comunque di sollievo a molti.

Kelly sorrideva. «Ho bisogno di un altro programma adesso», disse.

Childes controllò l’orologio. «È un po’ tardi per cominciarne uno nuovo. Te ne darò uno più difficile la prossima volta.»

«Io potrei restare.»

Un’altra delle ragazzine fece un risolino e Childes non riuscì a trattenere un leggero rossore. Ridicolo. Quattordici anni, Cristo!

«Sì, forse tu potresti, ma io no. Metti in ordine il tavolo fino a che non suona la campanella. Anzi meglio ancora, dai una mano a Jeanette, sembra che abbia qualche problema.»

Negli occhi una fiammella di disappunto, ma il sorriso rimase. «Sissignore» fece, un po’ asciutta.

Scivolò verso il monitor di Jeanette e lui criticò mentalmente il suo modo di fare, i movimenti del corpo troppo sapienti per la sua età. I capelli chiari cortissimi e il nasino dispettoso accompagnati dal seno che già sbocciava contrastavano con l’immagine infantile rappresentata dall’uniforme della scuola: gonna blu, camicia bianca e cravatta a righe. In confronto Jeanette era proprio una scolaretta, la donna in lei non si vedeva affatto. Evidentemente le differenze non riguardavano solo i computer.

Passò tra i tavoli, chinandosi di tanto in tanto per dare istruzioni, suggerire procedure corrette; alcune delle ragazze si dividevano una macchina e si comunicavano l’un l’altra il loro entusiasmo. La campanella lo sorprese anche se sapeva che mancava poco.

Si drizzò e vide che Kelly e Jeanette non sembravano andare molto d’accordo. «Spegnete le vostre macchine», disse. «Vediamo, quand’è che ci rivediamo?»

«Giovedì!», risposero in coro.

«Bene, allora vedremo di ripassare tutti i vari tipi di computer, poi parleremo degli sviluppi futuri. Spero che avrete delle domande interessanti da farmi.»

Qualcuna brontolò. «Problemi?»

«Quand’è che passeremo alla grafica?» chiese una ragazza. Il viso tondo, da cherubino, pieno di disappunto.

«Tra poco, Isabel. Quando sarete pronte. Adesso andate e non dimenticatevi nulla, chiudo a chiave quando vado via.»

La corsa alla porta non fu proprio quello che la preside del college La Roche avrebbe apprezzato, ma Childes non si sentiva né insegnante né educatore, ma solo un consulente di computer di questa e di altre due scuole dell’isola. Finché i ragazzi rimanevano sotto controllo e sembravano assorbire buona parte di ciò che lui spiegava, gli piaceva mantenere una atmosfera rilassata in classe; non voleva che le macchine li mettessero in soggezione, e l’atteggiamento informale era d’aiuto. Di fatto trovava gli alunni di tutt’e tre i college estremamente ben educati, persino quelli del college maschile.

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