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James Herbert: La pietra della Luna

Здесь есть возможность читать онлайн «James Herbert: La pietra della Luna» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 1987, ISBN: 88-344-0263-4, издательство: Armenia Editore, категория: Ужасы и Мистика / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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James Herbert La pietra della Luna

La pietra della Luna: краткое содержание, описание и аннотация

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John Child è riuscito a sfuggire al terrore del suo passato. Sì è rifatto una nuova vita, ha riscoperto l’amore. Gli manca disperatamente sua figlia ma di certo non sente la mancanza dell’atroce incubo che si è lasciato alle spalle. Poi, all’improvviso, tutto ricomincia. Orribili visioni gli invadono la mente. Una cosa, una creatura incredibilmente forte ha invaso la sua coscienza e lo rende testimone, attraverso i suoi oechi, di assassinii brutali, di mutilazioni orrende. Senza dubbio John ha un grande potere psichico, ma anche la cosa lo ha. E la cosa lo ha fiutato, è sulle sue tracce sempre più famelica...

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«Pensavo che tu volessi correggere dei compiti.»

«Non ho molta scelta vista la domenica così piena. Ma un intervallo me lo sarò meritato no?»

Lui rispose con tono scherzoso: «Okay, prof. Ma non mi maltrattare le ragazze.»

«Dipende da cos’hanno scritto. Non so più se sia più difficile insegnargli il francese o un inglese decente. Per lo meno con i computer sono le vostre macchine a correggere gli errori.»

Lui sbuffò e sorrise. «Vorrei che fosse così facile.» Le baciò la guancia mentre usciva dall’auto. Le prime gocce di pioggia bagnarono i vetri.

«Abbiti cura Jon!». Voleva, doveva dire di più, ma sentiva le resistenze di lui. Imparare a conoscere Jon era stato un lungo lavoro, ancora oggi sapeva che c’erano degli angoli nascosti, bui, dentro di lui, irraggiungibili. Si chiese se la sua ex moglie avesse mai provato a farlo.

Amy guardò la piccola Mini nera allontanarsi, fece un gesto di saluto, pensierosa. Si girò e si affrettò, attraverso la cancellata di ferro battuto, correndo per il breve viale fino alla casa prima che prendesse a piovere sul serio.

Childes lasciò dopo poco la strada principale, svoltando in una delle viuzze che ramificavano l’isola come piccole vene che si dipartono dalle arterie principali; di tanto in tanto rallentava accostandosi alle siepi e ai muri che costeggiavano la strada. Teneva stretto il volante tanto da far risaltare il bianco delle nocche, guidando per riflesso più che coscientemente; nella mente, ora che era solo, si affollavano altri pensieri.

Quando arrivò finalmente al cottage era di nuovo tremante, in bocca di nuovo sentiva il sapore acro della bile.

Guidò la Mini attraverso lo stretto ingresso davanti alla vecchia casa di pietra, uno spiazzo che egli aveva ripulito dagli sterpi e dai rovi quando era arrivato. Spense il motore. Lasciò la borsa con le cose del mare e saltò giù dalla macchina cercando goffamente la chiave del portoncino. La chiave non voleva entrare nella toppa. Finalmente gli riuscì, sospinse la porta e infilò il corridoio, appena in tempo. Lo stomaco gli salì come un ascensore e vomitò nel fondo della tazza del piccolo bagno, ma gli parve di aver rigettato solo una piccola parte della roba che gli torceva le viscere. Si soffiò il naso con della carta e tirò lo sciacquone, guardando la carta morbida avvitarsi fin quando non venne rapidamente risucchiata. Si tolse gli occhiali dalla montatura scura e si lavò il viso con l’acqua fredda tenendo le dita premute sugli occhi, rinfrescandoli. Childes si guardò nello specchio mentre si asciugava il viso: il riflesso era pallido, le occhiaie scure sembravano finte. Allungò le mani tendendo le dita che non riusciva a tenere ferme.

Si rimise gli occhiali, passò nel soggiorno e si chinò per passare attraverso la porta; non era poi tanto alto ma l’edificio era vecchio, i soffitti bassi e ancor di più le porte. La stanza era di dimensioni ridotte, ma lui non vi aveva piazzato troppa roba; un vecchio divano logoro, una TV portatile, un tavolinetto quadrato, le basse scansie che incorniciavano il caminetto erano ricolme di libri; su una di queste, accanto a una lampada c’erano delle bottiglie con dei bicchieri. Jon prese una bottiglia di scotch e se ne versò una robusta dose.

Fuori la pioggia cadeva decisa. Egli rimase accanto alla finestra che dava sul giardinetto posteriore, guardando fuori incupito. Il cottage, in fila con altri appena distaccati tra di loro, sul retro dava su campi aperti. Una volta le case erano state alloggi per braccianti della tenuta, ma la tenuta era stata frazionata e venduta da un pezzo. Childes era stato fortunato a trovarne una in affitto, poiché sull’isola era difficile trovare case libere. Era stata la preside, Estelle Piprelly, ansiosa si avere a disposizione la sua abilità con i computer, ad indicargli quel luogo. Il suo notevole prestigio lo aveva aiutato poi ad ottenere il contratto di locazione.

In lontananza sulla penisola s’intravedeva appena il college, una strana accozzaglia di edifici che si era sviluppata negli anni in tanti stili poco armonici. La struttura principale, con una torre, era bianca. Ma da così lontano era appena una protuberanza grigiastra attraverso il velo della pioggia, contro il cielo abbrunato da nuvoloni rigonfi.

Quando Childes era fuggito dall’Inghilterra, dalla pubblicità perniciosa, dagli sguardi curiosi, non solo di amici e colleghi, ma anche di sconosciuti che avevano visto il suo volto alla televisione o nei giornali, l’isola aveva rappresentato un rifugio sicuro. Qui vi era una comunità chiusa in se stessa, le complicazioni della madrepatria erano tenute volutamente a distanza. Eppure, per quanto raggomitolata su se stessa, quella comunità non aveva avuto difficoltà ad accoglierlo tra i poco più di cinquantamila abitanti. L’interesse morboso, le accuse — il ricordo gli fece stringere forte il bicchiere — erano alle sue spalle, e voleva che rimanesse così.

Childes vuotò il bicchiere e se ne versò un altro; come il brandy di prima anche lo scotch aiutava a far scomparire dalla bocca il sapore amaro che vi ristagnava. Tornò alla finestra ma vide riflesso solo il fantasma di se stesso. La giornata stava già scivolando nell’oscurità.

Ma si trattava della stessa cosa? Le immagini che gli erano apparse sott’acqua potevano ancora avere a che fare con quei terribili incubi e visioni che lo avevano tormentato tanto tempo prima? Non sapeva cosa pensare, l’essere quasi affogato gli aveva alterato la memoria. Eppure per un attimo, mentre giaceva ansimante sulla spiaggia aveva avuto la certezza che le visioni fossero tornate.

Fu preso dal terrore. Aveva freddo eppure il sudore gli bagnava le tempie. L’ansia gli strinse la gola, una nuova angoscia lo colpì.

Uscì nell’ingresso, alzò il telefono e compose un numero. Dopo poco rispose una voce ansimante.

«Fran?», chiese dipingendone il viso sul muro di fronte con la fantasia.

«E chi sennò? Sei tu Jon?»

«Sì!»

Seguì una lunga pausa, poi la sua ex moglie disse: «Beh? Mi hai chiamata, avevi qualcosa da dirmi?»

«Dov’è… come sta Gabby?»

«Sta bene tutto sommato. È qui accanto da Annabel, giocando a chi fa più casino. Credo che Melanie avesse intenzione di esiliarle in giardino, ma ci si è messo il tempo, qui sta diluviando. Lì come va?»

«Lo stesso, credo che sia in arrivo un temporale.»

Ancora un silenzio.

«Senti Jonathan, ho un po’ da fare. Devo essere in città per le quattro.»

«Lavori anche di sabato adesso?»

«In un certo senso. Oggi arriva a Londra un nuovo autore. L’editore vuole che lo coccoli un po’, devo spiegargli il programma del giro che farà la prossima settimana.»

«Non poteva pensarci Ashby?»

Rispose secca. «Mandiamo avanti l’agenzia in due, io faccio la mia parte. E poi còs’altro t’aspetti da una carrierista rinata a nuova vita?»

L’accusa, appena velata, colpì nel segno, e lui si chiese se lei sarebbe mai riuscita ad accettare il fatto che lui se ne era andato. Scappato, avrebbe detto lei.

«E di Gabby chi si cura?»

«Cenerà da Melanie, poi passa Janet a prenderla.» Janet era la ragazza che Fran aveva assunto come baby-sitter quotidiana. «Rimarrà con Gabby fin quando non torno. Va bene così?»

«Senti Fran… non volevo dire…»

«Nessuno t’ha costretto, potevi fare a meno di andartene.»

«Potevi fare a meno di restare lì.» rispose quieto.

«Mi chiedevi di rinunciare a troppe cose.»

«Ma l’agenzia era solo part-time, allora.»

«Ma per me era importante. E adesso lo è ancora di più, deve esserlo. È poi c’erano altre ragioni, la nostra vita.»

«Era diventata un inferno.»

«E di chi è stata la colpa?». La voce le si ammorbidi, come se si pentisse delle proprie parole. «Va bene, lo so, le cose sfuggivano al tuo controllo: ho cercato di capire, di affrontarle. Ma sei stato tu a voler scappare.»

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