Barbara Hambly - Il tempo del buio

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Notte dopo notte, Gil si scoperse a sognare di una città fantastica dove orrori alieni provenienti dalle profondità della terra e delle tenebre cercavano di distruggere la razza umana e tutte le opere dell’Uomo. Ma quando il Mago Ingold Inglorion attraversò il Vuoto alla ricerca del Santuario per l’ultimo Principe di Dar, si rese conto che i suoi sogni erano visioni assolutamente reali di una strana e singolare realtà.
Sul mondo di Ingold, il mostruoso Buio era stato solo una leggenda per oltre tremila anni, ma ora, per qualche ragione sconosciuta, si aggirava in cerca di preda per tutto il paese, e non c’era alcuna possibilità di fuga dai suoi spaventosi poteri e dal suo insaziabile appetito.
Cercando di aiutare Ingold, Gil e Rudy, due giovani cacciatori, vengono a trovarsi nello strano mondo del Buio. E qui sarebbero co stretti a rimanere per sempre, ammenochè non riescano a risolvere il mistero del Buio.
Frattanto, prima che riescano a realizzare quale potrà essere il loro destino, il Buio.

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Guardandosi intorno poté soltanto meravigliarsi della forza di recupero della sua razza e della strana abitudine degli esseri umani di trasformare qualsiasi luogo in una casa. In quella fortezza di pietra e acciaio, dopo una lotta spaventosa contro il freddo e la morte, la gente si stava già sistemando, preparandosi ad affrontare i rigori dell’inverno.

I bambini — aveva ragione Minalde a farmi notare le loro capacità eccezionali di recupero — correvano su e giù per la sala che adesso echeggiava delle loro grida giocose che andavano a smorzarsi tra le volte invisibili del soffitto. Le voci delle donne invece risuonavano dolci e acute, e a loro si mescolavano le risate più profonde degli uomini.

In un angolo di quel salone tenebroso un rettangolo di luce accecante segnalava le porte attraverso le quali entrava un sottile fiume di pulviscolo solare che veniva riflesso dalla neve.

Dall’altro capo della sala, un paio di monaci con le loro rosse tonache sbrindellate, stavano piantando un crocifisso di bronzo sull’ingresso di una cella per distinguerlo da centinaia di altre, tutti uguali. Lì si sarebbero svolte le cose della Chiesa; lì ci sarebbe stata la Cattedrale di Renweth e gli uffici amministrativi del Vescovo Govannin. Quella donna non stava certamente perdendo tempo.

Su una stretta passerella, Alwir, avvolto come Lucifero in un mantello di un rosso violento, contemplava dall’alto i suoi domìni.

Alle Guardie erano state destinate alcune celle sulla destra, vicinissime alle grandi porte del Torrione. Gil condusse Rudy attraverso uno stretto pertugio; alla luce di alcune lampade a olio, il giovane scorse Janus che discuteva con alcuni cittadini indignati. Questi ultimi erano certamente stati dei possidenti prima che il Buio distruggesse la loro ricchezza, le loro terre e, insieme, il loro prestigio ed il loro potere.

«L’assegnazione delle celle non è compito delle Guardie…», stava dicendo pazientemente il Comandante. «È una delle responsabilità del Lord del Torrione. Per cui vi suggerisco…»

Sembrava però che nessuno dei presenti lo stesse ascoltando.

La stanza era piena di provviste, cotte di maglia, armi e legna. Le Guardie stavano dormendo, anche se intorno regnava la più completa confusione. I loro volti erano tesi, doloranti, e mostravano chiaramente dipinti i segni della tremenda fatica della notte precedente.

In un’altra stanza la confusione era, se possibile, anche maggiore. Molte Guardie erano sedute a semicerchio attorno ad un tavolo, e mangiavano un frettoloso rancio di pane e formaggio mentre affilavano le spade o rammendavano le uniformi.

Il Falcone di Ghiaccio, con i capelli bianchi sciolti sulle spalle come una fluente cascata di platino, osservava impaziente una ciotola d’acqua bollente.

La gente intorno esultava e salutava tutti, felice e rumorosa, e Rudy ricambiò quei saluti con tutto lo scarso entusiasmo che riuscì a recuperare.

Quel posto puzzava di sudiciume, grasso rancido e fumo.

Come diavolo sarà tra un anno? , si chiese il giovane. O due? O venti?

Quel pensiero lo nauseò.

Una tenda sudicia nascondeva una sorta di ripostiglio dove le Guardie avevano ammassato le loro provviste in un caotico disordine. Attraversando il divisorio sudicio, Rudy ammiccò. L’illuminazione della lampada a olio riusciva a malapena a penetrare nell’oscurità della stanza: gli sembrò di scorgere sacchi ammucchiati, barilotti logori, ed un pavimento cosparso di fango e fieno secco. Dappertutto regnava un afrore opprimente di formaggio ammuffito e cipolle.

Nell’angolo più lontano di quella stretta cella, qualcuno aveva ricavato un giaciglio improvvisato con un mucchio di sacchi vuoti. Su quel letto, simile ad un cadavere, giaceva Ingold.

«Sei pazzo, lo sai?», gli sussurrò Rudy.

Gli occhi blu si aprirono e lo fissarono opachi e gonfi per la fatica. Poi, il familiare sorriso gli illuminò i lineamenti, allontanando i segni dell’età e facendolo sembrare uno scolaro birichino.

«Avresti potuto lasciarci la pelle!»

«Sei bravissimo a dire cose ovvie», esordì lentamente il vecchio Mago. Il suo tono però era scherzoso, ed era ovviamente felice di rivedere Gil e Rudy vivi ed in buona salute. Le sue mani erano bendate ed il volto sfregiato e bruciato dal ghiaccio ma, come pensò Rudy, non se l’era certo cavata male.

«Comunque, grazie per il vostro interessamento,» continuò Ingold. «Il pericolo però non era così terribile come sembrava. Ero certo di riuscire a tenere a bada i Guerrieri del Buio fino a che non fossi riuscito a richiamare indietro la tempesta. Avrei potuto facilmente fuggire nel momento in cui la tormenta li avesse colpiti.»

«Sì?», chiese Rudy seduto ai piedi del letto. «E come contavi di sfuggire alla tempesta?»

«Sei diventato cavilloso.» Ingold evitò di rispondere. «Sta ancora nevicando?»

«Un po’ meno,» rispose Gil tirandosi sulle ginocchia come una cavalletta e sistemandosi a capo del letto. «Ma il vento non si è fermato. Tomec Tirkenson dice che questo è il più freddo che abbia dovuto affrontare da quarant’anni a questa parte. Anche il Falcone di Ghiaccio ha detto di non aver mai visto la neve così alta nelle gole, d’inverno. Ti toccherà un viaggio lungo, freddo e faticoso, se deciderai di affrontare il Passo.»

Appena visibile nell’oscurità, il volto della ragazza appariva scarno e spaurito, ma lei era tranquilla.

«Aspetterò fino a che avrà smesso di nevicare,» rispose Ingold, sistemandosi comodamente e stringendo le mani fasciate intorno al copriletto di lana rosicchiato dalle tarme. Sembrava pallido e malato, e a Rudy non piacque la debolezza della sua voce, né il modo in cui giaceva immobile, appoggiato sui sacchi di grano. Sembrava attratto da qualche lontano e intimo richiamo…

«Non posso rimandare più a lungo,» continuò il Mago. «Sono accadute delle cose che mi impongono di partire al più presto per parlare con Lohiro. A parte il fatto che Alwir, da quanto ho capito, intende ancora riunire qui il suo esercito per attaccare i Nidi del Buio.»

Prima che avesse finito di parlare però, le voci in sordina divennero un borbottìo veloce che si trasformò in una violenta baruffa tra molte persone che cercavano contemporaneamente di alzarsi in uno spazio ristretto. La tenda cenciosa fu spostata bruscamente, ed un’ombra massiccia si profilò sull’entrata.

Alwir, ultimo Lord del Torrione di Dare, si fece avanti.

Accanto a lui, scura ed esile come un giovane melo, c’era Lady Minalde.

Il Cancelliere rimase in piedi in silenzio mentre guardava con solennità il vecchio che giaceva su quel letto improvvisato. Quando parlò, la sua voce era calma.

«Mi avevano detto che eri morto.»

«C’è chi tende sempre ad esagerare,» rispose Ingold tranquillo. «E spesso sbagliano, come vedi.»

«Avresti potuto esserlo», replicò Alwir. «Senza di te però, anche tutti noi avremmo potuto morire là vicino al fiume… Sono venuto…» Le parole sembrarono bloccarglisi in gola come pane secco.

«Sono venuto a dirti che ho sbagliato a pensare male di te, e ti offro la mano in segno di amicizia.»

Stese il braccio, e i gioielli dei suoi anelli brillarono nell’ombra.

Ingold stese la sua mano bendata per ricambiare quella stretta. Era il gesto di un Re al cospetto di un altro.

«L’ho fatto soltanto perché promisi a Eldor di farlo,» disse. «Ho preso suo figlio e l’ho portato in salvo. La mia promessa è stata rispettata. Appena il tempo me lo permetterà, partirò alla ricerca della Città Nascosta di Quo.»

«Pensi di riuscire a trovarla?»

Il cipiglio di Alwir era quello di una persona preoccupata, ma i suoi occhi erano freddi e calcolatori.

«Non posso saperlo finché non sarò partito ed avrò cominciato la ricerca. Ma l’aiuto del Consiglio dei Maghi è indispensabile: per la tua carica, per il Torrione, per tutto il genere umano! Il silenzio di Lohiro mi preoccupa. È da più di un mese che non ho notizie sue e degli altri membri del Consiglio. Inoltre, è impossibile che non sappiano quanto è successo…»

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