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Charles Grant: La carezza della paura

Здесь есть возможность читать онлайн «Charles Grant: La carezza della paura» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 1988, ISBN: 88-200-0762-2, издательство: Sperling & Kupfer, категория: Ужасы и Мистика / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Charles Grant La carezza della paura

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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Ormai stava diventando una storia vecchia e risaputa.

Perfetto, pensò entrando in camera. Non sono più un figlio, sono un mezzo. Un asso nella manica. Se sbaglio, non è colpa mia, sono gli insegnanti che si comportano in modo imparziale; se prendo un bel voto, non è merito mio, sono gli insegnanti che gli leccano il culo. Splendido. Splendido davvero.

Sbatté la porta, accese la luce e salutò i suoi animali prendendo a calci il letto.


«Non capisco», disse Joyce Boyd, seduta sul divano, quando udì sbattere la porta. «È un ragazzo perfettamente normale e lo sappiamo con certezza, ma non va quasi più da nessuna parte. Se stasera non avessimo insistito, sarebbe rimasto in casa a giocare con i suoi dannati beniamini, di sopra.»

«Ma certo che esce», ribatté Norm, accendendosi una sigaretta e accavallando le gambe. «Ma con tutte le tue iniziative sociali e quel Circolo dell’Arte — per non parlare della roba per la Festa di Ashford — non stai abbastanza in casa per vederlo uscire.»

Lei strinse gli occhi. «Questa è un’accusa.»

«Sì, e allora?»

«Pensavo che fossimo d’accordo di non accusarci più.»

Lui osservò la punta della sigaretta, poi le ginocchia accavallate, e tolse della cenere che gli si era depositata sul petto. Il caffè era sul tavolo di fronte e si stava raffreddando. «Immagino che fossimo d’accordo.»

«Immagino che fossimo d’accordo», lo scimmiottò lei, accoccolandosi sulle gambe. Stancamente, si passò una mano sugli occhi. «Dannazione, Norm», disse con tono stanco, «faccio tutto quello che posso.»

«Certo», rispose lui senza troppa convinzione. «Quando ci sei.»

«Bene, e tu allora?» Le labbra, già sottili, scomparvero, quando le strinse. «Quando è stata l’ultima volta che hai passato una serata con lui, eh? Credo che quel povero figliolo non ti abbia visto per più di un paio d’ore nelle ultime due settimane.»

«Quest’anno scolastico è molto duro», le ricordò il marito in tono piatto. «E poi c’è la possibilità di uno sciopero. Oltretutto, mi vede tutti i giorni a scuola.»

«Non è esattamente la stessa cosa, Norm, e lo sai bene. Là tu non sei suo padre, non nel vero senso della parola.»

Lui sprofondò ancora di più nella poltrona, stirandosi le gambe. «Piantala Joyce, va bene? Sono stanco e il ragazzo è in grado di cavarsela da solo.»

«Se è per questo, anch’io sono stanca», rispose lei seccamente, «ma io devo giustificarmi e tu no, vero?»

«Giustificare che cosa?»

Chiuse gli occhi per un attimo. «Niente», disse con leggero fastidio, prendendo un pacco di opuscoli e facendo scorrere le pagine senza nemmeno guardarle, per poi gettarle da parte. Raccolse poi un foglietto, il programma per la Festa di Ashford. Era una delle responsabili per il coordinamento dei festeggiamenti nei due licei della città. Fece cadere anche quello e strinse la camicia. «Sono anche preoccupata per tutto quel correre che fa.»

Lui ne fu sorpreso e non fece nulla per nasconderlo.

«Intendo dire», aggiunse in fretta, «non è che si limiti al jogging. Non gli interessa mantenersi in forma, oppure entrare nella squadra di atletica o di corsa. Lui si limita a … correre.»

«Be’, che cosa c’è di male? Gli fa bene.»

«Ma è sempre solo», ribatté lei, guardandolo come se dovesse capire. «E non ha nemmeno orari fissi, niente del genere. Corre quando gli gira. E non qui vicino, dietro l’isolato — va sempre nella pista della scuola.»

«Joyce, questo non ha senso. Perché mai dovrebbe correre su un terreno tutto accidentato, rischiando di rompersi una gamba o di slogarsi una caviglia, quando ha una pista a sua disposizione?»

«È solo … non so bene. Solo che mi sembra che ci sia qualcosa che non quadra.»

«Forse lo aiuta a pensare. Ci sono ragazzi che fanno sollevamento pesi, altri che danno pugni a un pallone e Donald corre. E allora?»

«Se ha dei problemi», disse lei in tono serio, «non dovrebbe … non dovrebbe fuggire. Dovrebbe venire da noi.»

«Perché?» chiese freddamente il marito. «Considerando come sei stata ultimamente, perché dovrebbe farlo?»

«Io?»

Quello sguardo lo faceva sentire a disagio.

«D’accordo, noi.» E rimase con gli occhi chiusi.

Dopo qualche istante: «Norman, pensi che abbia dimenticato quella storia dell’ospedale per gli animali?»

«Credo di sì. È dal mese scorso che non ne parla più. Almeno non con me.»

«E nemmeno con me.»

Lui riaprì gli occhi, fissando il camino vuoto, poi si passò distrattamente un dito lungo il naso adunco. «A pensarci bene, credo che non abbiamo affrontato la questione nel modo giusto. Avremmo potuto mostrare un po’ più di entusiasmo.»

«Sono d’accordo.» Lei si sfregò le ginocchia.

Norman assunse un’aria furtiva. «Forse», disse, gettando un’occhiata verso sua moglie, «dovremmo fare come quella coppia di cui parlava il Times. Quelli che affermavano di aver risolto i problemi di sesso del loro figlio portandolo in un bordello». Ridacchiò sotto i baffi. «Forse è vero. Forse dovremmo metterlo in posizione orizzontale.» Rise ad alta voce, scuotendo la testa e cercando di immaginare suo figlio — non certo un attore del cinema, ma nemmeno un mostro — che scopava con una donna. Non ci riusciva. Per quanto ne sapeva, Donald era quasi completamente asessuato.

«Mio Dio», mormorò lei.

«Cristo, stavo solo scherzando.»

«Mio Dio.» Fece un gesto come se volesse afferrare qualcosa sul tavolo, poi ci rinunciò e si alzò in piedi. «Vado a letto. Domani ho lezione.»

Lui aspettò che se ne fosse andata, poi si alzò e la seguì.

«Non è necessario che venga anche tu.»

«Lo so», rispose, «ma domani devo essere in forma.»

Sul pianerottolo lei si girò a guardarlo. «Finiremo con il divorziare, vero?»

Lui afferrò la balaustra con forza e scosse la testa. «Mio Dio, Joyce, possibile che ogni volta che discutiamo finisci parlando di divorzio? C’è un sacco di gente che litiga forte, ma non finiscono mica tutti davanti a un avvocato.»

La seguì lungo il corridoio, oltre la stanza di Don, fino alla loro. Lei accese la lampada sul cassettone e aprì la porta del bagno. Si sbottonò la camicia mentre lui si chinava per togliersi le scarpe. In piedi, sulla porta, con la pallida luce proveniente dalle piastrelle e dal pavimento del bagno, lasciò cadere la camicia e le diede un calcio. Non indossava il reggiseno ma, senza nemmeno vederla in faccia, lui capì che non si trattava di un invito.

«Io so perché», disse lei, armeggiando con la fibbia dei pantaloni.

«Perché, che cosa?»

«Perché non mi ami più.»

«Oh, per l’amor del cielo!» Si era tolto la camicia e stava cercando il pigiama sotto il cuscino.

«No, davvero, lo so. Tu credi che fra me e Harry ci sia qualcosa. È per questo che sei così duro con lui. È per questo che ti rendi ridicolo quando gli parli come stasera.»

«Stai davvero esagerando», disse lui senza troppa convinzione. Si infilò la giacca del pigiama e slacciò la cintura, lasciando cadere i pantaloni. «Spero che tu abbia gusti migliori.»

Lei si voltò verso il lavandino, facendo scorrere l’acqua calda che annebbiò lo specchio. «Non devi fingere, Norman. Lo so, lo so.»

Non aveva nient’altro oltre le mutandine. Aveva i seni ancora piccoli e sodi e una pancia piatta per essere una donna che aveva avuto due figli e non faceva ginnastica. Le sue gambe erano talmente lunghe da sembrare interminabili. La osservò mentre si piegava in avanti per spremere il dentifricio sullo spazzolino, la osservò mentre si guardava allo specchio, girandosi leggermente a destra e a sinistra. La osservò, rattristato, perché non gliene importava più nulla.

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