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Donald Wandrei: I giganti di pietra

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Donald Wandrei I giganti di pietra

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Quale segreto legame stringe in una sola terrificante identità il misterioso tempio preistorico di Stonehenge, in Inghilterra, al punto piú solitario dei globo, l’isola di Pasqua, sperduta con le sue enigmatiche statue antichissime nell’immensa distesa equorea del Pacifico meridionale? Perché una catena di tremende sciagure è connessa alla indescrivibile statuetta verdastra, vibrante, antica di milioni di anni, dalle origini cosmiche, trovata da un archeologo in un cimitero abbandonato? E che cosa si cela nell’intrico dell’immensa rete di gallerie sotterranee, che sembrano collegare tra loro le misteriose sedi di entità e vicende che si direbbero incomprensibili all’uomo, antitetiche al suo destino e alla sua natura? Con Giganti di Pietra, Donald Wandrei segna una tappa fulgida nella letteratura dell’orrore e del mistero cosmico, aprendo nuove prospettive alla letteratura d’anticipazione e di fantasia, e rinnovando la tradizionale materia del romanzo “gotico” con le risorse piú recenti della narrativa fantascientifica. I Giganti di Pietra è un romanzo che non si dimentica facilmente!

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Ore e ore, sempre marciando in una regione ricca solo di perfide frane e di acquitrini vischiosi. Il lezzo delle acque stagnanti lo stordiva. Più volte fu tentato di abbandonare il pesante coltello che gli pendeva dal fianco e che gli impicciava il passo, ma se ne astenne sempre per prudenza. Poteva ancora servirgli.

Doveva aver percorso chilometri e chilometri, quando improvvisamente uscì dalla palude, e il terreno tornò solido sotto i suoi passi. La foresta era finita. Si stese a terra rimanendo così qualche minuto a riposare.

Si voltò un attimo a guardare la vasta distesa paludosa che aveva appena superato, e in quell’attimo udì risuonare un grido orribile, inumano, e vide una colossale forma sorgere dall’abisso fangoso e drizzarsi dondolando. Al culmine della gigantesca figura, una testa mostruosa ciondolava da un lato all’altro fissandolo con lo sguardo spento di un unico occhio enorme.

Graham balzò in piedi e fuggì lontano dal mostro e dalla palude che scomparvero nelle tenebre.

Il terreno adesso non presentava rilievi, ed era ricoperto da un’erba alta che frusciava dolcemente. Un debole vento giocava tra l’erba con un sussurro scherzoso. Una musica triste nasceva dall’oscurità ricamando un motivo lamentoso: sembrava il piantorassegnato di un’anima in pena, e presto l’armonia mesta gli mosse incontro da ogni parte, bassa ed evanescente, con la ritmica cadenza di una litania funebre. La pianura intera sembrava piangere e gemere al passaggio dell’uomo, spingendolo ad allontanarsi più in fretta per sfuggire a quella disperazione. E la distesa infinita fu tutta un sentimento di morte e di solitudine.

Il sentiero che Graham percorreva, dopo un poco divenne tortuoso, e la piana si interruppe ai piedi di una catena collinosa. Cominciò a salire, e l’oscurità si dissipò un poco. Varcate le colline, l’uomo scorse una luna immensa e pallida che attraversava il cielo come una povera vecchia cosa imputridita, spandendo intorno la sua luce malata, tingendo gli alberi di un chiarore livido, e lui, Graham, si rese conto che anche la sua faccia e le sue mani dovevano sembrare la faccia e le mani di un morto. Ripreso da una paura senza nome, affrettò il passo per raggiungere le montagne che sovrastavano le colline con le loro cime massicce. Tutto silenzio in quei luoghi desolati. Unica compagnia all’uomo, lo scalpiccio ritmico dei suoi passi che gli risuonava alle orecchie da una eternità.

L’uomo affrontò un sentiero serpeggiante nel fianco di una montagna. Le rocce e gli alberi mescolati in modo indescrivibile parevano spostarsi, cambiare di posizione quasi per contrastargli il passaggio. Graham toccò una pietra e trasalì: la pietra ansimava come un grosso ranocchio. Preso da un impeto di furore, afferrò il coltello e lo abbatté sulla roccia con tutte le sue forze. Il sasso si aprì in due emettendo un urlo disumano e lasciando sfuggire una nuvola di vermi. Tutte le rocce si mossero allora convergendo su di lui, masse rampanti e deliquescenti. Trattenendo il respiro, Graham prese a vibrar colpi a destra e a sinistra, ma non venne a capo di nulla. Strane cose fredde e umide gli si attorcigliavano alle caviglie e si arrampicavano lungo le gambe, mostri ripugnanti gli accarezzavano la pelle…

Fuggì urlando, e sbucò su un altopiano al cui centro sorgeva una città morta. Non c’era alcun motivo che la aggirasse, dal momento che la strada lastricata sulla quale stava camminando la attraversava proprio nel mezzo. Muovendosi come un automa, continuò ad avanzare. Era una città stupefacente, composta per la maggior parte da monoliti, obelischi, cenotafi, tutti assolutamente sprovvisti di porte e di finestre. Sembrava che gli abitanti della città fossero morti misteriosamente lasciando che dietro di loro quei monumenti funerari crollassero e si dissolvessero.

Continuò a marciare per ore e ore. Il sentiero saliva sempre più in alto sulle altissime montagne che si rizzavano da ogni lato. Buio ovunque, tranne sul sentiero che restava visibile. Quando giunse a una certa altezza, le tenebre si fecero meno fitte. Davanti a lui si stendeva un cerchio a forma di coppa, circondato da massi giganteschi sui quali stava sospesa una fosforescenza leggera e impalpabile che ne illuminava la grandezza maestosa. Lentamente, seguendo il viottolo che varcava l’orlo della coppa, l’uomo discese nel circo.Icorpuscoli luminosi che formavano la fosforescenza palpitavano, e l’aria era percorsa da fremiti.

Si sarebbe detto che l’arrivo di Graham fosse atteso.

Quando giunse al centro geometrico del circo, Graham si fermò, proprio sull’orlo di un abisso. Allora le particelle luminose si raggrupparono a formare un cerchio di fiamme turbinanti. Prima che lui potesse muoversi, un solido muro di fredde radiazioni si alzò con un’immensa ondata.

E tutta la luce divenne fiamma. E tutte le fiamme divennero oro. Un gemito lontano si levò, crebbe, ingigantì. E tutta la luce divenne fiamma, e la fiamma era verde. L’aria sembrava vivere animata da una forza titanica, e uno scroscio, simile a quello di una cascata nella quale si fossero riunite tutte le acque della terra, annullò ogni altro rumore.

E tutta la luce divenne fiamma, e la fiamma era nera. Urlavano le tempeste scatenate negli abissi, e un tunnel saliva oltre gli spazi sconfinati dell’Universo. Sconvolto, stordito da tutte quelle forze incontrollabili, in balìa della loro furia selvaggia, l’uomo tentò di gridare, ma nessun suono gli usci dalla gola contratta.

E la fiamma si ammassò, si proiettò verso lozenith,trasformata in un’enorme e solida colonna di fuoco al sommo della quale si raggruppò una incandescenza ancora più viva. Graham cercò di muoversi, ma ormai era allo stremo. Improvvisamente al centro dell’uragano la colonna si immobilizzò come… come se essi aspettassero…

Riuscì finalmente a muoversi vacillando. Si diresse verso il pozzo, sballottato, flagellato dal vento. Tentò di afferrarsi a qualcosa per non essere trascinato via, scivolò, e infine poté urlare. Ma troppo tardi, troppo tardi… Gli giunse soltanto la risposta del vento turbinante intorno alla colonna di fuoco.

A una distanza incalcolabile, incredibile, vide l’infuocato flusso vivente lanciarsi come un razzo nelle profondità dello spazio.

Gridò ancora e ancora. Gli rispose un gemito inumano, il respiro del mare senza confini, l’eco di una voce cosmica che si allontanava nel nulla. E Graham sprofondò nell’abisso.

Ebbe l’impressione di precipitare da una grande altezza entro una voragine senza fine. Poi si ritrovò immerso nell’acqua fredda, e aprendo gli occhi si accorse di dibattersi in un mare quasi tranquillo. Nel cielo, un punto ingrandiva a vista d’occhio scendendo verso di lui. Lo seguì con lo sguardo, ma non provò alcuna gioia al pensiero di essere tratto in salvo. La grande stanchezza che era in lui gli impedì perfino di stupirsi del fatto che lì intorno non ci fosse traccia dell’Isola di Pasqua. Non sapeva se era vivo o morto, e se quello che vedeva fosse il segreto dell’Eternità.

L’oggetto si fermò rimanendo perfettamente immobile a un centinaio di metri sopra la sua testa. Stava così sospeso nell’aria senza alcun sostegno. Graham non capiva dove fosse situato il motore di quell’eccezionale aereo, indubbiamente assai più grande di qualsiasi apparecchio mai visto. La sua forma faceva pensare a un enorme gettone posato su una carta da gioco. Il rivestimento era di una sostanza opaca e sottile, dai riflessi ambrati.

Un portello si aprì in un fianco dell’apparecchio, e un uomo ne uscì dirigendosi verso Graham. L’archeologo osservava stupefatto la straordinaria scena, e ne fu così sbalordito da dimenticarsi di essere in mare, cosa questa che gli procurò una solenne bevuta di acqua salata, seguita da un attacco di tosse. L’uomo uscito dall’aereo scendeva nell’aria come se seguisse il tracciato di una scala invisibile. Aveva un aspetto grottesco: la testa troppo grossa sopra il corpo minuscolo e gracile, le membra lunghe e sottili come le zampe di un ragno, e immensi occhi profondi.

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