Come marionette la cui carica a molla qualcuno avesse bruscamente rimesso in moto, i quattro finirono di caricare l’aria-neve e proseguirono. Sopra di loro lo strano spettacolo continuò, e sebbene non ci fosse più nulla di così abbagliante e incantevole come lo sbocciare dei quattro soli, gli effetti luminosi furono più belli di qualsiasi aurora atmosferica. Due stelle mobili si rincorsero veloci per tutto il firmamento, e la vaga scia che si lasciavano dietro si allungò verso l’orizzonte. Ma prima di arrivarci fiammeggiarono incandescenti, come versioni in miniatura di quella di prima, e mentre svanivano emisero molte zampe ricurve che alla fine si piegarono in basso verso il suolo.
Dopo questo, i fenomeni celesti più spettacolari parvero terminati, ma il movimento delle piccole luci non s’interruppe. Se la cosa si svolgeva a molti chilometri d’altezza, come l’aurora atmosferica, lassù doveva esserci un’immensa fonte di energia. Se invece accadeva a poca distanza sopra le loro teste, forse era qualcosa di simile ai temporali elettrici di mezza estate. A ogni modo, valeva la pena di rischiare la vita per essere lì e assistere a quello spettacolo.
Alla fine giunsero alla recinzione della base militare dei Tiefer. La strana aurora era sempre visibile quando scesero lungo la rampa d’ingresso.
Non c’erano state molte discussioni sulla scelta dell’obbiettivo. Era quello che Underhill aveva immaginato fin dal principio, quello che Victreia Smait aveva proposto nella prima riunione a Comando Territoriale. Se quattro soldati fossero riusciti a operare con una sufficiente quantità di esplosivi nel mezzo della Profonda Tenebra, avrebbero potuto apportare danni decisivi al maggiore deposito di armi e veicoli nemici, presso le profondità che ospitavano le truppe e l’alto comando di Tiefstadt. In realtà neppure questo risultato avrebbe giustificato la forte spesa che le ricerche dirette da Underhill avevano richiesto alla Corona.
Senonché c’era un punto ovvio a chiunque conoscesse un minimo di strategia. Così come un esercito moderno segnava un punto a suo favore restando attivo più a lungo del nemico dopo l’inizio della Tenebra, al Nuovo Sole quello che fosse stato in grado di cominciare prima le operazioni sul campo avrebbe avuto un vantaggio enorme.
Entrambe le parti avevano messo insieme una grossa macchina bellica pronta a scattare per quel momento, con una strategia assai diversa da quella usata negli anni del Sole Calante. Da quanto la scienza ne sapeva, il Nuovo Sole nasceva a bruciante velocità nello spazio di pochi giorni, forse poche ore. Poi per alcuni giorni era un mostro rovente, cento volte più caldo che negli Anni di Mezzo. Era quell’esplosione di luce e di calore — non il gelo della Tenebra — a distruggere tutto fuorché le opere più robuste edificate da ogni generazione.
Quella rampa conduceva al più irraggiungibile deposito di veicoli e armi dei Tiefer. Ce n’erano altri lungo il fronte, ma quello era il principale e da lì dipendevano tutte le loro operazioni militari. Senza di esso, le migliori truppe di Tiefstadt non avrebbero potuto entrare in combattimento. Le fortificazioni più avanzate dei Tiefer, al momento dell’attacco della Corona, non sarebbero state sostenute da alcun rinforzo. Il Comando Territoriale ipotizzava che sarebbe bastata la distruzione di quel deposito per costringere i Tiefer a scegliere fra un armistizio a loro sfavorevole e una serie di vittorie facili delle forze della Corona. Quattro soldati e un po’ di esplosivo potevano essere l’arma decisiva.
… Se non fossero congelati mentre scendevano quella rampa. C’erano mucchi di aria-neve sugli scalini, e ogni tanto i resti di cespugli cresciuti fra le lastre, ma nessun altro ostacolo. Ora, quando la Squadra si fermava era per distribuire attorno palate di fango organico dalla slitta che Nizhnimor e Unnerbai spingevano. Il buio si chiuse intorno a loro, illuminato solo dal lucore degli esotermi. I rapporti del Servizio Informazioni dicevano che la rampa era lunga duecento metri, e sfociava in un’ampia vallata…
Più avanti c’era un ovale più chiaro. La fine del tunnel.
La Squadra lasciò la rampa e avanzò su un terreno che una volta era stato del tutto aperto, ma che adesso era occupato da un tendone vasto alcuni chilometri quadrati. Era sorretto da una foresta di pali alti una dozzina di metri. Qua e là il peso dell’aria-neve aveva prodotto qualche cedimento nel flessibile tessuto argenteo studiato per riflettere il calore del sole, ma era robustissimo e ancora praticamente intatto. Nella penombra Sherkaner e i compagni poterono vedere file di locomotive a vapore, posatori di traversine, carri armati e autoblinde. All’accensione del Nuovo Sole quelle armi e quei veicoli sarebbero stati lì pronti all’uso. Quando i ghiacci si fossero sciolti, alimentando i fossati di drenaggio che irretivano quel fondovalle, i soldati Tiefer avrebbero lasciato le loro profondità per correre ai loro veicoli. Le acque sarebbero state deviate in canali scolmatori non appena raffreddato il terreno. Ci sarebbero state ore frenetiche per il controllo dei macchinari, altre ore per le riparazioni dei danni di due secoli di Tenebra e di pochi giorni di terribile surriscaldamento. Poi le armate sarebbero partite sui percorsi già studiati dai loro generali per un immediato e rapido assalto in grande stile. Quello era il culmine di generazioni di ricerche scientifiche sulla natura della Tenebra e del Nuovo Sole. Il Servizio Informazioni era del parere che in molti campi Tiefstadt fosse più avanzato dell’Alleanza.
Hrunkner Unnerbai li lasciò riposare qualche momento. — Scommetto che manderanno qui fuori un corpo di guardia poche ore dopo la Prima Accensione, ma ora il posto appartiene soltanto a noi… Bene, ora ci suddivideremo il materiale e procederemo a disporlo secondo il piano. Gil, sei a posto?
Gil Havon era sceso lungo la rampa come un ubriaco coi piedi fratturati. A Sherkaner parve che il danno alla tuta si fosse esteso anche a tre o quattro piedi. Ma alle parole di Unnerbai s’era raddrizzato, e la sua voce suonò quasi normale. — Sergente, non sono venuto fin qui per mettermi a sedere e guardare voialtri ragnacci al lavoro. Posso fare la mia parte.
E così erano giunti al momento dell’azione. Staccarono i loro tubi fonici, e ciascuno si caricò degli esplosivi e della vernice nera. Avevano già studiato ogni mossa. Se avessero rispettato i tempi su ogni obiettivo, se non si fossero rotti le gambe cadendo in qualche canale di drenaggio, se le mappe che avevano mandato a memoria erano precise, ci sarebbe stato il tempo di fare tutto senza congelare. Si allontanarono in quattro direzioni diverse. Gli esplosivi che distribuirono fra i pali erano poco più grossi di granate a mano; produssero un lampo silenzioso quando esplosero nel vuoto, e l’immenso tendone argentato collassò. I proiettori di vernice fecero il resto, apparentemente innocui nel loro effetto ma funzionando proprio come i tecnici dell’Ufficio Ricerche e Attrezzature avevano calcolato. Il vasto deposito fu completamente coperto di vernice nera, in attesa del crudele bacio del Nuovo Sole.
Tre ore più tardi erano a circa un chilometro a nord del deposito. Unnerbai li aveva incitati a non perdere tempo, e continuava a incoraggiarli perché sopravvivessero fino al raggiungimento del luogo dove avrebbero concluso quell’avventura.
Ce l’avevano quasi fatta. Quasi. Gil Havon era in delirio dopo aver finito il lavoro al deposito di veicoli, e farneticava strane cose. Aveva cercato di allontanarsi da solo. — Devo trovare un posto per scavare una profondità — disse per l’ennesima volta, lottando contro Nizhnimor e Unnerbai che cercavano di farlo camminare accanto alla slitta.
— È là che stiamo andando, Gil. Resisti. — Unnerbai lasciò Havon a Nizhnimor, e per un poco lui e Sherkaner comunicarono in privato.
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