La scorta di Hrunkner dovette aprirsi la strada fra la folla assiepata all’ingresso della casa sulla collina. Anche all’interno del confine della proprietà privata c’erano giornalisti, con le loro piccole telecamere a quattro colori appese ai palloni ad elio. Non potevano sapere chi fosse lui, ma avevano visto le sue guardie, del corpo e la direzione in cui stava andando.
— Signore, può dirci…
— La Terra Meridionale ha minacciato un’azione militare preventiva? — disse un altro, tirando giù il suo pallone finché la telecamera ballò sopra gli occhi di Hrunkner.
Lui alzò le braccia anteriori in un elaborato gesto di indifferenza. — Come potrei saperlo? Io sono soltanto un vecchio sergente. — In effetti era un sergente, ma il suo grado non significava niente. Lui era uno di quegli artropodi che potevano far ballare la burocrazia militare alla loro musica. Da giovane ne aveva conosciuto alcuni. Gli erano parsi lontani come lo stesso Re. Oggi, invece… oggi era così occupato che anche per far visita a un amico doveva contare i minuti, lottando contro un programma giornaliero pieno di faccende che erano questione di vita o di morte.
La sua risposta fermò i giornalisti abbastanza per dare tempo alla sua squadra di salire la scalinata di ingresso. Ma avrebbe potuto dire qualcosa di più intelligente, rifletté, notando che dietro di lui i giornalisti si consultavano intensamente. Il giorno dopo sulla loro lista ci sarebbe stato anche il suo nome. Ah, come rimpiangeva i giorni in cui la casa sulla collina era considerata una specie di succursale dell’università. Con gli anni quella mascheratura era crollata. La stampa sapeva tutto di Sherkaner Underhill, ormai.
Oltre le porte di vetro corazzato non c’erano estranei. E faceva troppo caldo per gli abiti imbottiti. Mentre Hrunkner si toglieva la blusa e i gambali vide Underhill e il suo insetto-guida giusto dietro l’angolo dell’atrio, fuori dalla vista dei giornalisti. Ai vecchi tempi sarebbe uscito di persona ad accoglierlo. Anche all’apice della notorietà di quel suo programma radiofonico non avrebbe esitato ad affrontare la stampa. Ma ora regnavano sovrane le misure di sicurezza imposte da Victreia Smait.
— Salve, Sherk. Come vedi, sono qui. — Io vengo sempre, quando tu chiami. Per decenni ogni nuova idea gli era parsa più folle della precedente… e ogni nuova idea aveva cambiato il mondo. Ma poco o nulla era cambiato in Underhill, almeno fino al giorno in cui il generale gli aveva dato il primo avvertimento, a Calorica, cinque anni addietro. In seguito gli erano giunte delle voci. Underhill aveva del tutto abbandonato la ricerca attiva. Evidentemente il suo lavoro sull’antigravità non lo aveva portato a niente, e ora i Kindred stavano lanciando satelliti con quel materiale, per l’amor di Dio!
— Grazie, Hrunk. –Il sorriso di lui fu rapido, nervoso. — Viki mi ha detto che tu dovevi passare dalla capitale, e così…
— Victreia Seconda? È qui?
— Sì, è di sopra da qualche parte. Più tardi la vedrai. — Underhill precedette Hrunkner e le guardie attraverso l’atrio, parlando di Viki e degli altri, delle ricerche di Jirlib e dell’addestramento che stavano avendo i due figli più giovani. Hrunkner cercò di immaginare il loro aspetto. Erano trascorsi diciassette anni dal rapimento, e da allora non aveva più visto quei giovani ragni.
Il loro passaggio nell’atrio era una vera e propria carovana, con alla testa l’insetto-guida che si tirava dietro Underhill e alle sue spalle Hrunkner e la fila degli altri fino all’ultimo agente di servizio. L’andatura lenta di Underhill deviava a destra, ed era incessantemente corretta da Mobiy che tirava il guinzaglio. Come il suo tremito alla testa, lo sbandamento non era una malattia mentale ma solo un disordine dei nervi a livello muscolare. Quell’avventura nella Tenebra Profonda durante la Grande Guerra aveva richiesto il suo prezzo, e ora Underhill parlava e si muoveva come un vecchio rudere.
Entrò in un ascensore che Hrunkner non ricordava di aver visto nelle precedenti visite. — Ora guarda, Hrunk… spingi il nove, Mobiy. — L’insetto alzò una delle sue pelose zampe anteriori. L’estremità ondeggiò incerta per un momento, poi s’infilò nella fessura 9 della cabina.
— Dicono che gli insetti non possono imparare i numeri. Ma Mobiy e io ci stiamo lavorando.
Underhill aveva accennato alla scorta di non entrare nell’ascensore. Quando la cabina partì parve rilassarsi e il suo tremito diminuì. Diede una pacca sul guscio di Mobiy. — Voglio parlarti in privato, sergente.
Unnerbai lo scrutò incuriosito. — Le mie guardie del corpo hanno accesso ai massimi livelli di sicurezza, Sherk. Hanno già visto tutto quello che…
Underhill alzò una mano. Nei suoi occhi brillava una scintilla del vecchio genio. — Questo è diverso. Si tratta di qualcosa che volevo mostrarti da tempo, e ora che la situazione si sta facendo così grave…
La cabina si fermò e la porta scivolò di lato. Hrunkner vide che l’amico lo aveva portato verso la cima della costruzione. — Il mio ufficio è qui, adesso. Una volta qui ci stava Viki, ma ormai ha altro da fare e ha ceduto la stanza a me. — Era un locale molto vasto. Hrunkner ricordava che un tempo era aperto su due lati e sovrastava come una terrazza il piccolo parco meridionale. Adesso era stato chiuso da pareti di vetro, così robuste da reggere all’assenza di pressione quando l’atmosfera si sarebbe congelata.
Ci fu il ronzio di un motore elettrico e un divisorio si aprì, lasciandoli passare nell’angolo della sala dove una larga finestra dava sulla città. Sulla destra c’era un trespolo per Mobiy, ma il resto dello spazio era occupato da apparecchi elettronici e schermi ad alta definizione. Uno era acceso, e mostrava il panorama di Monte Reale con colori più vivaci di quanto Hrunkner li avesse mai visti dal vero. Le radure e le foreste erano blu e viola, e gli iceberg che galleggiavano nella baia avevano tonalità rosse… A suo giudizio era una grafica fasulla, vani esercizi di videomanzia. Indicò i colori con aria perplessa. — Tecnicamente sembra roba molto evoluta, Sherk, ma non è ben calibrata. Fa male agli occhi.
— Oh, è perfettamente calibrata, te lo assicuro. Il significato dei colori va interpretato. — Underhill sedette su un trespolo e guardò lo schermo acceso. — Sì, i colori non hanno sfumature. Ma dopo un po’ non ci fai più caso. Hrunkner… hai mai riflettuto che i nostri attuali problemi sono più gravi di quel che dovrebbero?
— Cosa ne so di quel che dovrebbero essere? Tutto succede per la prima volta, qui. — Hrunkner sedette. — Sì, le cose precipitano in modo infernale. Mai avrei immaginato che nella Terra Meridionale ci sarebbe stato il caos di oggi. Quei bastardi hanno almeno duecento testate nucleari, e i vettori per spedircele addosso. Hanno mandato in rovina la loro economia per acquistare armi e mettersi alla pari delle nazioni più ricche.
— Sono andati in rovina solo perché vogliono cancellarci dalla faccia del mondo?
Trentacinque anni addietro Underhill aveva previsto le conseguenze del nucleare e situazioni del genere. — No. O almeno, non è per questo che la cosa è cominciata — rispose, come se gli stesse facendo lezione. — Loro hanno cercato di costruire un’economia agricola e industriale che potesse restare attiva durante la Tenebra. E hanno fallito. Possono mantenere attive solo due città, e un paio di divisioni del loro esercito. Data la sua latitudine, oggi la Terra Meridionale è cinque anni più avanti nella Tenebra del resto del mondo. Intorno al polo sud si scatenano terribili tempeste di ghiaccio. — La Terra Meridionale era un posto a malapena abitabile anche nei tempi migliori della Luce, e c’era poca terra fertile. In compenso esistevano giacimenti minerari d’ogni sorta sfruttabili a basso costo. Nell’ultima generazione era andato al potere un governo sospettoso verso le mire economiche delle nazioni settentrionali e molto timoroso di quel che esse avrebbero fatto nella prossima Tenebra. — Hanno speso troppo per la loro centrale nucleare, e ora hanno energia elettrica per il riscaldamento, ma scorte di cibo del tutto insufficienti per le loro profondità.
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