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Joe Haldeman: Guerra eterna

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Joe Haldeman Guerra eterna

Guerra eterna: краткое содержание, описание и аннотация

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La guerra, ci insegna l’autore, non è mai una cosa piacevole. E in una guerra che dura 1200 anni, le probabilità di sopravvivenza sono prossime a zero. Iniziata nel 1997, la guerra contro la razza extraterrestre dei Taurani si trascina avanti pesantemente, un secolo dopo l’altro. I soldati che la combattono viaggiano tra le stelle a velocità prossime a quelle della luce, e invecchiano soltanto di pochi mesi ad ogni viaggio, mentre i secoli si susseguono rapidamente sulla Terra: una Terra che ad ogni licenza diventa sempre più irriconoscibile. Il soldato Mandella inizia come fuciliere: è di leva, non ama né la vita militare né il modo con cui gli alti comandi trattano lui, i suoi compagni e in sostanza anche il nemico. Ma, nonostante queste sue avversioni, il semplice espediente di non farsi uccidere in qualche scaramuccia o in qualche esercitazione (assai più pericolose che non i veri combattimenti) lo porta a diventare maggiore, a capo di qualche… secolo. E parallelamente all’inglorioso svolgersi della Guerra Eterna, vediamo i cambiamenti della società terrestre in 1200 anni: i mutamenti di abitudini e di prospettive culturali, estrapolati da Haldeman in modo quanto mai plausibile. Un grande romanzo, che ha giustamente meritato i massimi premi della fantascienza.

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— Prima voglio il soldato semplice Ornar Almizar. Voialtri potete andare in cerca delle vostre brande. Vi chiamerò con l’altoparlante.

— Ordine alfabetico, signore?

— Sì. Circa dieci minuti l’uno. Se il tuo nome comincia per Z, tanto vale che vada a letto.

Quella era la Rogers. Probabilmente stava proprio pensando al letto.

5

Il sole era un aspro punto bianco, direttamente sulla verticale. Era molto più luminoso di quanto mi aspettassi: poiché eravamo a ottanta unità astronomiche di distanza, era luminoso solo la seimilaquattrocentesima parte di quanto lo era visto dalla Terra. Comunque, irradiava ancora all’incirca la luce di un potente lampione.

— La luce è considerevolmente più forte di quella che avrete su un pianeta portale. — La voce del capitano Stott crepitò nel nostro orecchio collettivo. — Rallegratevi, perché così potrete vedere dove mettete i piedi.

Eravamo schierati in fila indiana sul marciapiedi di permaplastica che collegava la camerata con la baracca delle provviste. Per tutta la mattina ci eravamo esercitati a camminare al coperto, e questo non era molto diverso, a parte lo scenario esotico. Sebbene la luce fosse abbastanza fioca, potevi vedere chiaramente fino all’orizzonte, poiché non c’era di mezzo un’atmosfera. Un precipizio nero che pareva troppo regolare per essere naturale si stendeva da un orizzonte all’altro, e passava a circa un chilometro da noi. Il suolo era nero come l’ossidiana, cosparso di chiazze di ghiaccio bianco o azzurrognolo. Accanto alla baracca delle provviste c’era una montagnola di neve in un bidone con la scritta OSSIGENO.

Lo scafandro era abbastanza comodo, ma ti dava la sensazione strana di essere contemporaneamente una marionetta e il burattinaio. Tu eserciti l’impulso di muovere la gamba, e lo scafandro lo raccoglie e lo ingrandisce, e ci pensi lui, a muoverti la gamba.

— Oggi ci limiteremo a camminare intorno all’area della compagnia, che nessuno lascerà. — Il capitano non portava la sua pistola calibro 45, a meno che non la tenesse come portafortuna dentro allo scafandro, ma aveva un dito laser, come tutti noi. E il suo probabilmente era collegato.

Tenendoci a un intervallo di circa due metri l’uno dall’altro, scendemmo dalla permaplastica e seguimmo il capitano sulla roccia liscia. Camminammo prudentemente per circa un’ora, allontanandoci a spirale, e finalmente ci fermammo, dopo essere arrivati al limite esterno del perimetro.

— Ora fate molta attenzione, tutti quanti. Andrò fino a quella lastra di ghiaccio azzurro. — Era un lastrone molto grande, a una ventina di metri di distanza. — E vi mostrerò qualcosa che farete bene a imparare, se ci tenete a restare vivi.

Il capitano si incamminò con una dozzina di passi sicuri. — Per prima cosa devo scaldare una roccia… giù i filtri. — Io premetti il pulsante sotto l’ascella e il filtro scivolò al suo posto, sopra il mio trasformatore d’immagini. Il capitano puntò il dito verso una roccia nera grande più o meno come una palla da pallacanestro, e lanciò contro di essa una breve raffica. Il bagliore fece rotolare sopra di noi e più oltre un’ombra lunghissima del capitano. La roccia si schiantò in un mucchio di schegge nebulose.

— Queste qui non impiegano molto tempo a raffreddarsi. — Si fermò e ne raccolse un pezzo. — Questa probabilmente è venti o venticinque gradi. State a vedere. — Gettò la roccia "calda" sul lastrone di ghiaccio. Quella slittò, pattinò in giro in un ghirigoro pazzesco e schizzò via lateralmente. Il capitano gettò un’altra scheggia, che si comportò allo stesso modo.

— Come sapete, voi non siete perfettamente isolati. Queste rocce hanno più o meno la temperatura delle suole dei vostri stivali. Se cercherete di stare in piedi su una lastra d’idrogeno, vi capiterà la stessa cosa. Solo che la roccia è già morta.

"La ragione di questo comportamento è che la roccia crea un contatto liscio con il ghiaccio, una minuscola pozzanghera d’idrogeno liquido, e scivola a un’altezza di poche molecole sopra il liquido, su un cuscino di vapore d’idrogeno. Di conseguenza, in rapporto al ghiaccio, la roccia e voi diventate come un cuscinetto a sfere senza attrito, e non è possibile stare in piedi, senza un attrito sotto agli stivali.

"Dopo che avrete vissuto nello scafandro per un mese o più, dovreste essere in grado di sopravvivere a una caduta, ma per ora non ne sapete abbastanza. State a vedere."

Il capitano si fletté e balzò sul lastrone. I piedi slittarono via, e lui si contorse e si girò su se stesso a mezz’aria, atterrando sulle mani e sulle ginocchia. Sdrucciolò via e si fermò in piedi sul terreno gelato.

— L’importante è impedire che le pinne di scarico entrino in contatto con il gas gelato. In confronto al ghiaccio sono calde come una fornace, e un contatto provocato da un peso qualsiasi produce un’esplosione.

Dopo la dimostrazione, camminammo in giro per un’altra ora o giù di lì e ritornammo agli alloggiamenti. Superato il vano stagno, dovemmo continuare a camminare in giro per un po’, in modo che gli scafandri arrivassero alla temperatura ambiente. Qualcuno si avvicinò e accostò l’elmo al mio.

— William? — Aveva il nome MCCOY stampigliato sulla visiera.

— Ciao, Sean. Qualcosa di speciale?

— Mi stavo giusto chiedendo se avevi qualcuno con cui dormire stanotte.

Giusto: me ne ero dimenticato. Lì non c’era l’assegnazione delle brande. Ciascuno si sceglieva il compagno. — Sicuro, voglio dire, uh, no… no, non l’ho ancora chiesto a nessuno. Sicuro, se vuoi…

— Grazie, William, ci vediamo dopo. — La guardai allontanarsi e pensai che, se qualcuno era capace di dare un’aria sexy a uno scafandro da combattimento, quella doveva essere Sean. Ma per la verità, non ci riusciva neanche lei.

Cortez decise che ci eravamo scaldati abbastanza, e ci accompagnò nella sala scafandri, dove, camminando a ritroso, li infilammo ai loro posti e li agganciammo alle piastre di ricarica. (Ogni scafandro aveva un pezzettino di plutonio capace di fornirgli energia per parecchi anni, ma eravamo tenuti a farli funzionare il più possibile con le batterie a carburante.) Dopo un po’ di trambusto, tutti riuscimmo ad agganciare, e ricevemmo il permesso di uscirne fuori: novantasette pulcini nudi che sgusciavano da uova color verde vivo. Era freddo - tutto, l’aria, il pavimento e specialmente gli scafandri — e ci precipitammo piuttosto disordinatamente verso gli armadietti.

Infilai tunica, calzoni e sandali e continuai ad aver freddo. Presi la gavetta e mi misi in fila per la soia. Tutti quanti saltellavano per scaldarsi.

— C-che f-freddo, non ti pare, M-Mandella? — Questa era la McCoy.

— Non voglio neanche pensarci. — Smisi di saltellare e mi massaggiai il più energicamente possibile, mentre tenevo la gavetta con una mano. — È freddo almeno quanto lo era il Missouri.

— Ugh… vorrei… che avessero messo… qualche fottuto riscaldamento… in questo posto. — A risentirne gli effetti più degli altri sono sempre le donne piccole. La McCoy era la più minuta della compagnia, una bambola dal vitino di vespa che arriva appena a un metro e mezzo.

— Hanno attaccato il condizionatore d’aria. Ormai non ci vorrà molto.

— Vorrei… essere… un pezzo d’uomo… grande e grosso… come te.

Ma io ero contento che non lo fosse.

6

Subimmo la prima perdita il terzo giorno, mentre imparavamo a scavare le buche.

Con un simile quantitativo di energia accumulato nelle armi di un soldato, non sarebbe molto pratico scavare una buca nel suolo gelato con piccone e badile. Comunque, si potrebbero lanciare bombe a mano per tutto il giorno senza ottenere altro che depressioni poco profonde… perciò il metodo abituale consiste nel praticare un foro nel terreno con il laser a mano, buttarci dentro una carica a orologeria dopo che si è raffreddato e, idealmente, riempire la buca con qualcosa. Naturalmente, non ci sono molti pezzi di roccia a disposizione, su Caronte, a meno che tu non abbia già scavato una buca, con l’esplosivo, nei pressi.

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