Restò fermo per un attimo davanti a una scultura luminosa, fingendo di ammirare le spirali nere e grigio perla che s’intrecciavano fra loro; in realtà, la scultura era solo un pretesto per raccogliere le idee. La sua mente galoppava. Con uno sforzo, abbassò l’afflusso di adrenalina. Quando tornò a essere calmo, cercò di valutare la situazione.
Qualcuno aveva installato un microfono nella sua stanza. Lo era andato a trovare un terrestre, e una ragazza siriana aveva fatto in modo di cenare con lui. Il numero degli incidenti continuava a salire, ed erano sempre più bizzarri, tanto che gli riusciva difficile inquadrarli in uno schema coerente. Si trovava sulla Terra da meno di quindici ore: certo che lì le cose andavano in fretta.
Su Corwin gli avevano insegnato la teoria della sintesi; era un eccellente estrapolatore. Con la fronte coperta di sudore, si sforzò di trarre dai confusi fatti di quella giornata un tessuto connettivo logico.
Trascorsero i minuti. Terrestri nelle fogge più strane gli passarono accanto a gruppetti di due o di tre, commentando sottovoce le opere esposte nel locale. Ewing, impegnandosi al massimo, riordinò gli avvenimenti. Alla fine, prese forma un quadro generale basato solo su congetture, ma che comunque poteva essergli di aiuto in futuro.
I siriani non avevano intenzioni benevole nei confronti della Terra. Con ogni probabilità volevano fare del pianeta madre un dominio siriano. Partendo da quel presupposto, era ovvio che l’arrivo imprevisto di un colono dallo spazio potesse rappresentare una minaccia ai loro piani.
Ewing capì che nuove ombre oscuravano l’orizzonte. Forse Firnik sospettava che lui volesse cospirare contro i siriani a fianco degli Accademici.
L’invito di Myreck, senza dubbio, aveva lo scopo di trovare in lui un alleato.
In quel caso…
«Il signor Ewing?», disse una voce dolce.
Si girò. Aveva di fronte un robot, alto quanto un uomo, privo di braccia, con un foglio di vetroplastica al posto del viso.
Gli rispose:
«Sì, sono Ewing. Cosa vuoi?».
«Parlo a nome del governatore generale Mellis, capo del governo terrestre. Il governatore generale Mellis richiede la sua presenza a Capitale non appena le sia possibile».
«E come ci arrivo?».
«Se vuole, l’accompagno io», ronzò il robot.
«Certo che voglio. Partiamo subito».
Davanti all’hotel li attendeva una jetauto. Per quanto di linea snella ed elegantissima, a Ewing sembrò un modello antiquato. Il robot aprì la portiera posteriore e lui salì.
Con sua sorpresa, il robot non si accomodò con lui sul veicolo. Si limitò a chiudere la portiera e a ritirarsi fra le tenebre della sera. Ewing fece una smorfia, si voltò a guardare il robot dal finestrino posteriore. Provò a toccare la maniglia e scoprì di essere chiuso nell’auto.
Una tranquilla voce di robot disse: «La sua destinazione, per favore?».
Ewing esitò. «Ah… Portami dal governatore generale Mellis».
L’unica risposta fu il rombo dei turbogeneratori; poi la macchina sobbalzò dolcemente e partì. Sembrava che corresse su uno strato d’olio. Ewing non avvertì la minima sensazione di movimento, però alle sue spalle lo spazioporto e la forma enorme dell’hotel divennero minuscoli. Ben presto emersero su una grande superautostrada al dodicesimo livello, una trentina di metri sopra il livello del suolo.
Ewing guardò fuori dal finestrino, nervoso. «Dove si trova esattamente il governatore generale?», chiese, voltandosi a fissare il cruscotto. Sulla jetauto non c’era posto per l’autista, e non c’erano nemmeno comandi manuali. Era manovrata esclusivamente a distanza, da un computer.
«La residenza del governatore generale Mellis si trova a Capitale», fu la risposta precisa, misurata. «Capitale è situata esattamente trecentodieci chilometri a nord della città di Valloin. Arriveremo in quarantun minuti».
La jetauto fu puntualissima. Quarantun minuti dopo essere partita dalla piazza antistante il Grand Valloin Hotel, abbandonò la superautostrada per immettersi su una strada più piccola che scendeva in basso con una forte inclinazione. Ewing vide davanti a sé una città, una città composta di edifici spaziosi, lontani l’uno dall’altro, che si distendevano a spirale dalla torre argentea di un enorme palazzo.
Qualche minuto dopo la macchina si fermò di colpo, facendo sobbalzare Ewing.
La voce del robot disse: «Siamo al palazzo del governatore generale. La portiera sulla sua sinistra è aperta. Scenda dall’auto. L’accompagneranno dal governatore generale».
Ewing spalancò la portiera con un tocco della mano, scese. L’aria della sera era fresca, dolce; la strada emanava una luminosità soffusa. Le batterie di accumulatori installate sotto il piano stradale emettevano la luce che durante il giorno il sole aveva scaricato su di loro.
«Per di qui, prego», disse un altro robot.
Il robot, veloce ed efficiente, lo fece entrare attraverso la porta girevole del palazzo. Salirono parecchi piani in ascensore. Emersero in un corridoio drappeggiato di velluti. Dopo una serie di pareti disposte l’una accanto all’altra a fisarmonica, il corridoio sfociava in una grande stanza dai mobili austeri.
Al centro della stanza, solo, un uomo non molto alto, coi capelli grigi ma senza l’ombra di una ruga. Il suo corpo non recava tracce delle malformazioni chirurgiche tanto comuni fra i terrestri. L’uomo gli rivolse un sorriso cortese.
«Sono il governatore generale Mellis», disse. La sua voce era forte e flessibile, un ottimo veicolo per discorsi in pubblico. «Vuole entrare?».
«Grazie», rispose Ewing. Entrò. La porta si chiuse immediatamente alle sue spalle.
Mellis, che arrivava appena a metà del petto di Ewing, si fece avanti e gli porse un bicchiere. Ewing lo accettò. Conteneva un liquido rossiccio, leggermente addizionato di anidride carbonica. Ewing sedette nella comoda poltrona che Mellis gli aveva indicato, poi alzò gli occhi a guardare l’altro, che restava in piedi.
«Non ha perso tempo. Mi ha mandato a chiamare subito», notò Ewing.
Il governatore generale scrollò le spalle con grazia. «Ho saputo del suo arrivo stamattina. Non succede spesso che l’ambasciatore di una colonia giunga sulla Terra. A dire il vero…» Parve sospirare. «…Lei è il primo in più di trecento anni. Sa che ha scatenato una curiosità notevole?».
«Lo so benissimo». Ewing bevve un po’ di liquore con aria distratta. Un caldo piacevole gli scese in gola. «Avevo intenzione di mettermi in contatto con lei domani, o magari domani l’altro. Ma mi è stato risparmiato il fastidio».
«La mia curiosità ha avuto la meglio», ammise Mellis con un sorriso. «Capisce, a livello di incontri ufficiali ho ben poco da fare».
«Per accorciare i tempi di questa visita, comincerò subito dall’inizio. Sono qui a chiedere l’aiuto della Terra per il mondo libero di Corwin, a nome del mio pianeta».
«Aiuto?». Il governatore generale parve allarmarsi.
«Ci troviamo di fronte a un’invasione di alieni da un’altra galassia», disse Ewing. Raccontò per sommi capi le distruzioni già operate dai Klodni, aggiungendo: «E abbiamo inviato diversi messaggi alla Terra per informarvi della situazione. Presumiamo che questi messaggi non siano mai giunti. Quindi, eccomi qui di persona a chiedere l’aiuto della Terra».
Mellis, prima di rispondere, si aggirò per la stanza a scatti, come un uccello impaziente. Poi si voltò all’improvviso, si calmò, e disse: «I messaggi non si sono persi per strada, signor Ewing».
«No?».
«Li abbiamo ricevuti e sono stati trasmessi al mio ufficio. Li ho letti».
«E non ha risposto», lo interruppe Ewing, in tono d’accusa. «Li ha volutamente ignorati. Perché?».
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