Il loro campionamento non poteva venir completato, l’oasi era troppo ricca per consentirlo. Ma il loro successo era comunque completo. Nessuna creatura nata nei mari della Terra avrebbe potuto vivere, inalterata, nelle acque aliene di Europa. Quello sarebbe stato il compito degli Angeli di Europa, i vitalateralisti, che avrebbero ereditato questo tesoro genetico. L’avrebbero setacciato, e avrebbero ricostruito nuove creature per le nuove condizioni. Qui gli esseri viventi sarebbero stati modelli, archetipi per una nuova creazione, in cui l’arte e le intenzioni avrebbero preso il posto di un miliardo di anni di evoluzione.
Mentre per l’ultima volta facevano rientrare il robot nella stiva e riportavano la nave in superficie, non videro nessun segno della Presenza. Ma Lindsay non aveva nessun dubbio che fosse con loro.
Mentre lentamente riemergevano, Lindsay cominciò a provare una sensazione di stanchezza. Assai più della sua plasmatrice favorita e del suo mechanist blindato, sentiva il fardello dell’orgoglio gravare su di lui. Chi era lui per aver fatto queste cose? La luce l’aveva attirato, e lui era cresciuto verso di essa come poteva crescere un albero, protendendo le proprie foglie cieche verso una radiosità sconosciuta. Adesso aveva realizzato lo scopo della sua vita, e ne era lieto. Ma un albero muore quando le radici vengono recise, e Lindsay sapeva che le sue radici erano l’umanità. Lui era una creatura di carne e di ossa, di vita e di morte, non una Volontà Immanente.
Un albero traeva la propria forza dalla luce, ma non era la luce stessa. E la vita era un processo di cambiamento, ma non era il cambiamento. Per questo c’era la morte.
Quando, giunti appena sotto la superficie, videro la luce del sole inondare l’oceano, Pilota lanciò un ululato elettronico di gioia e attivò i motori principali. Il vapore esplose fuori dall’acqua formando un cratere a forma di rosetta, mentre il mare si ritraeva tutt’intorno. In un secondo superarono Mach 1. Mentre l’accelerazione li schiacciava contro i loro seggiolini, Vera girò la testa con uno sforzo per guardare il suo videopannello, e urlò: — Il cielo! Il cielo azzurro! Un muro sopra il mondo! Pilota, dacci lo spazio!
Sotto di loro, l’oceano assorbì lo shock, come assorbiva ogni altra cosa. E lasciarono la Terra.
Repubblica Culturale Neotecnica
8-8-’86
La vita si muoveva in clade.
Kluster-Terraformante incombeva sopra Marte, infrangendo la rossa monotonia col bianco del vapore, il verde della vegetazione, l’azzurro dei mari nascenti.
Su Venere era stata spezzata la schiena alla morte, mentre oneste nubi merlettavano, ora, il cielo bruciante morso dall’acido.
Navi di ghiaccio con a bordo creature coniate di fresco dai laboratori si tuffavano dentro Europa, fondendo in profondità dentro abissi caldi come il sangue.
Su Giove la grande macchia rossa si stava sgretolando, liberando strane nubi in fiore di rosso krill, minuscole creature raccolte in banchi e mandrie più grandi della Terra.
Sulla Repubblica Culturale Neotecnica, Abelard Lindsay discese furtivo da una mostruosa nave spaziale.
Nella zona di caduta libera si muoveva con facilità, con la grazia inconsapevole dell’estrema età.
Ma mentre scendeva lungo il pendìo all’interno di quel mondo cilindrico, passando davanti agli alberghi e ai negozi per turisti a bassa gravità, si appoggiò con sempre maggior forza alla testa tozza del robot che lo accompagnava. I due raggiunsero infine il livello del suolo, una selva fertile, costellata di antiche file d’alberi solenni. Il robot infermiere a forma di tinozza prelevò rapidamente, alla chetichella, un campione di sangue dalla carne priva di nervi della gamba di Lindsay. Mentre avanzavano con passo strascicato lungo il sentiero cosparso di foglie, la macchina frazionava il suo sangue e borbottava i relativi dati.
La Repubblica era diventata un luogo torreggiante e cupo, il silenzio era interrotto dai richiami degli uccelli, un baldacchino di foglie spezzava la luce del sole riflessa dagli specchi in tanti frammenti screziati. Dei neotecnici locali, abbigliati con antichi paramenti volutamente studiati, oziavano sulle panche di pietra erose dai licheni, mentre i loro venerandi pupilli, plasmatori senili e mech obsoleti, camminavano con passo malfermo e lo sguardo colmo di meraviglia in mezzo al bosco.
Lindsay si fermò ansimando, mentre la corazza gli pompava il torace sotto la giubba azzurro scuro. Le gambe a sacco dei suoi calzoni e le sue robuste scarpe ortopediche nascondevano il telaio prostetico fissato con cinghie alle sue gambe distrutte. In alto, nel cuore del mondo, un apparecchio ultraleggero vomitava una lunga scia di cenere grigia, seminandola sopra le rigogliose cime verdi degli alberi.
Nessuno si avvicinò a lui. I calamari e la rana pescatrice ricamati sulle maniche della sua giacca lo identificavano per un circumeuropide… ma era venuto in incognito.
Riprendendo fiato, Lindsay proseguì verso il palazzo dei Tyler per il suo incontro con Constantine.
La dimora era stata ampliata. Al di là delle sue pareti ricoperte di edera, erano sorte altre proprietà, un complesso d’istituti di ricovero e di pensionati. Nel corso degli anni, malgrado i preservazionisti, il mondo esterno era filtrato dentro in maniera irresistibile. Le industrie più importanti della Repubblica erano gli ospedali e i funerali; la riabilitazione per quelli che potevano farcela, un tranquillo decesso per quelli che non ce la facevano.
Lindsay attraversò il cortile del primo ospedale. Un gruppo di Bagnanti del Sangue si crogiolava al sole, aspettando con pazienza animale che la pelle gli ricrescesse. Al di là di questa proprietà, ce n’era una seconda in cui un gruppo di giovani modellisti erano circondati dalle guardie. Stavano raschiando il terreno con dei ramoscelli, le loro teste sbilenche quasi si toccavano. Uno di loro sollevò lo sguardo per un attimo. Lindsay colse lo sguardo: gli occhi gelidi del ragazzo avevano la fredda logica della paranoia totale.
Degli inservienti neotecnici impeccabilmente abbigliati fecero passare Lindsay attraverso l’ingresso della proprietà dei Tyler. Margaret Juliano era morta da anni. Lindsay riconobbe nel nuovo direttore uno dei suoi studenti superintelligenti. Il superintelligente gli venne incontro sul prato. Il volto dell’uomo irradiava il tranquillo autopossesso dello zen serotonista. — Ho ottenuto l’autorizzazione per la sua visita dal Custode Pongpianskul — l’informò.
— È stato molto previdente — commentò Lindsay. Neville Pongpianskul era morto, ma non era cortese far riferimento a quel fatto. Seguendo il rituale del Consiglio dell’Anello, Pongpianskul si era “dissolto”, lasciandosi alle spalle una rete programmata di discorsi, annunci, apparizioni registrate e telefonate casuali. I neotecnici non si erano mai preoccupati di sostituirlo con qualcun altro nella carica di Custode. Ciò risparmiava un sacco di fastidi a tutti.
— Posso farle visitare il museo, signore? — gli chiese il superintelligente. — Il nostro defunto Curatore, Alexandrina Tyler, ci ha lasciato un’impareggiabile collezione lindsaiana.
— Più tardi, forse… Il cancelliere-generale Constantine riceve visite?
Constantine si trovava nel giardino delle rose, disteso su una sdraio accanto a un alveare e intento a fissare il sole con i suoi piatti occhi di plastica. Malgrado le migliori cure, gli anni non erano stati indulgenti con lui. Il molto tempo trascorso in condizioni di gravità naturale aveva ridotto il suo corpo a un groviglio nodoso di muscoli, strani bitorzoli e gonfiori sopra le ossa sottili.
Non c’era nessun ultravioletto nella luce del sole riflessa dagli specchi della Repubblica, tuttavia Constantine si era abbronzato, la sua antica pelle nuda era segnata da voglie azzurre e porpora screziate. Aveva perso la maggior parte dei capelli, e c’erano increspature callose nei punti strategici del suo cranio. Le cure erano state complete ed esaurienti. E alla fine avevano avuto successo.
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