Constantine aprì il serbatoio. Girò il timer sulla fiala e la lasciò cadere nell’acqua, poi tornò a chiudere il serbatoio con un colpo secco. Si voltò e si allontanò. Quando raggiunse la porta, udì un improvviso frenetico sciacquio, nell’istante in cui la tossina colpì.
Repubblica Corporativa Popolare
di Czarina-Kluster
3-1-’84
La lunga linea brillante della saldatura incandescente era la cosa più pulita che avesse mai visto. Lindsay entrò galleggiando in una bolla di osservazione, fissando i robot da costruzione che strisciavano nel vuoto. Le macchine mechanist avevano lunghi musi aguzzi da curculionidi, le loro punte saldatrici d’un bianco incandescente proiettavano lunghe ombre sullo scafo annerito del palazzo di Czarina.
Stavano costruendo una replica in dimensioni naturali di una nave stellare degli investitori, una nave stellare senza motori, una carcassa che non si sarebbe mai mossa da sola. Era nera, senza nessuna traccia dei sontuosi arabeschi e degli intarsi di un genuino vascello degli investitori. Gli investitori avevano insistito su questo punto: avevano condannato la loro perversa regina a quella prigione buia e beffarda.
Dopo anni di ricerche, Lindsay aveva ricostruito la verità del crimine del comandante.
Le regine inserivano le loro uova in tasche simili a uteri dei loro maschi. I maschi fecondavano queste uova e le portavano a maturazione nelle tasche. I guardiamarina neutri controllavano l’ovulazione tramite una complessa pseudoovulazione ormonale.
La regina criminale aveva ucciso il suo guardiamarina in un parossismo di passione e aveva insediato un maschio comune al suo posto. Ma senza un vero guardiamarina, i cicli della sessualità si erano distorti. La prova di Lindsay la mostrava nell’atto di distruggere una delle sue uova malformate. Per un investitore, questa era la peggiore delle perversioni, peggiore ancora dell’assassinio: danneggiava gli affari.
Lindsay aveva presentato la sua prova in una maniera che penetrava fino al cuore dell’etica degli investitori. L’imbarazzo non era un’emozione originaria, presso gli investitori. Ma Lindsay era stato veloce con il suo rimedio: l’esilio. Dietro, c’era l’implicita minaccia di rendere nota quella prova a tutti, di palesare i dettagli dello scandalo ad ogni nave degli investitori e ad ogni fazione umana.
Era già abbastanza grave il fatto che un gruppo accuratamente selezionato di ricche regine e guardiamarina fosse stato informato di quella sconvolgente notizia. Era impensabile che i veri maschi, altamente impressionabili, venissero a saperlo. Avevano concluso un patto.
La regina non seppe mai cosa l’avesse tradita. L’approccio che Lindsay aveva adottato con lei era stato ancora più subdolo, impegnando al massimo le sue capacità. Un dono di gioielli, fatto al momento opportuno, aveva contribuito, distraendola da quella sopraffacente avidità che per gli investitori era l’alito stesso della vita. Gli affari erano stati scarsi sulla nave, con il suo equipaggio degradato, e il disgraziato guardiamarina eunuco.
Lindsay era arrivato armato di grafici fornitigli da Wells, statistiche relative alla ricchezza che si poteva strizzare ad una città-stato indipendente dalle fazioni. Le loro curve esponenziali arrivavano ad una quantità complessiva di ricchezze semplicemente mozzafiato. Lui le aveva detto di non saper niente della sua disgrazia; soltanto che la sua stessa specie era smaniosa di condannarla. Con un gruzzolo abbastanza sostanzioso, le aveva fatto capire, avrebbe potuto ritornare nelle loro buone grazie.
Con pazienza, con un linguaggio sciolto, l’aveva aiutata a capire che quella era la sua migliore possibilità. Cosa avrebbe potuto fare da sola, senza equipaggio, senza guardiamarina? Perché non accettare l’aiuto industrioso dei piccoli e cortesi stranieri? L’istinto sociale dei minuscoli mammiferi gregari li aveva spinti a considerarla la loro regina, in realtà, e loro stessi i suoi sudditi. Già un Comitato di Consiglieri, ognuno che riconosceva per suo padrone l’investitore, provvedeva a soddisfare i suoi capricci, pregandola di permetter loro di coprirla di ricchezze.
La cupidigia l’avrebbe spinta soltanto fino a un certo punto. Era stata la paura a farla cedere alla sua volontà: la paura del piccolo alieno dalla pelle morbida con la plastica scura sopra gli occhi polposi, e le risposte che aveva per ogni cosa. Quell’alieno pareva conoscere la sua gente meglio di quanto la conoscesse lei.
L’annuncio era giunto una settimana dopo, e con esso un’improvvisa emorragia di capitale verso il luogo dell’esilio sorto da zero. Avevano chiamato la regina “Czarina”, un soprannome datole da Ryumin. E la sua città era la Repubblica Popolare Corporativa di Czarina-Kluster: in quattro mesi era già diventata una città in rapida espansione, crescendo dal nulla sul bordo interno della Cintura. La Repubblica Popolare Corporativa di Czarina-Kluster era balzata a un’improvvisa esistenza concreta sorgendo da un potenziale grezzo, con quello che Wells definiva un “Balzo Prigoginico”, una “fusione a un superiore livello di complessità”. Adesso il Comitato dei Consiglieri era inondato dagli affari, le linee di comunicazione erano in frenetica attività a causa dei potenziali disertori che manovravano per assicurarsi un asilo sicuro e un nuovo inizio. La presenza di un investitore proiettava un’ombra enorme, una muraglia di prestigio che nessun mechanist o plasmatore osava sfidare.
Improvvisate abitazioni abusive affollavano il rozzo Palazzo della Regina: reti di robusti sobborghi a bolla dei Plasmatori, i “sobolli”; sudici vascelli pirata copulavano formando una sorta d’immensa corolla floreale, con gallerie a fisarmonica, ad aggancio automatico; masse di ferro-nichel soffiate e crivellate, rimorchiate ai loro posti in una sorta di immenso favo, i cui fori fungevano da abitazione; capanne prefabbricate che si avvinghiavano come l’edera alle travi scheletriche di un complesso urbano che aveva appena lasciato il tavolo dei progettisti. Quella città sarebbe stata una metropoli, un porto franco circumsolare, la suprema, ultima zona per i cani solari. Lui l’aveva creata. Ma non era per lui.
— Uno spettacolo da far bollire il sangue, amico. — Lindsay guardò alla sua destra: l’uomo un tempo chiamato Wells era arrivato nella bolla da osservazione. Durante le settimane dei preparativi, Wells era svanito in una falsa identità accuratamente preparata. Adesso era Wellspring, duecento anni di età, nato sulla Terra, un uomo misterioso, un manovratore per eccellenza, un visionario… addirittura un profeta. Niente di meno sarebbe andato bene. Un colpo di quelle dimensioni esigeva una leggenda. Esigeva una frode.
Lindsay annuì: — Le cose progrediscono.
— È qui che comincia il vero lavoro. Non sono troppo felice con quel Comitato di Consiglieri. Sembrano un po’ troppo rigidi, troppo mechanist. Alcuni di loro hanno ambizioni. Bisognerà sorvegliarli.
— Naturalmente.
— Non è che vorresti prendere in considerazione il lavoro? Il posto di coordinatore è aperto per te. Tu sei l’uomo adatto.
— Mi piacciono le ombre, Wellspring. Un ruolo della grandezza del tuo è troppo vicino alle luci della ribalta per me.
Wellspring esitò. — Ho già abbastanza problemi con la filosofia. Il mito potrebbe essere troppo per me. Ho bisogno di te e delle tue ombre.
Lindsay guardò altrove, osservando due robot costruttori che eseguivano una giuntura facendo incontrare in un bacio bianco-incandescente i rispettivi becchi saldatori, — Mia moglie è morta — disse.
— Alexandrina? Mi dispiace. È uno shock.
Lindsay ebbe un sussulto. — No — replicò. — Non lei. Nora. Nora Mavrides. Nora Everett.
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