Lindsay strappò il cavo dalla tavoletta. Aiutò il piccolo servo-robot dell’ufficio a raccogliere i frammenti di vetro.
Quando tornò a chiamare Morrissey, molto più tardi, l’uomo era esitante. — Ha finito completamente, signore? Mi è stato detto di cancellare la tavoletta.
— È stato gentile da parte sua portarla. — Lindsay indicò una poltrona. — Grazie per aver aspettato così a lungo.
Morrissey cancellò il ricordo del costrutto e mise la tavoletta nella sua valigetta. Studiò il volto di Lindsay. — Spero di non averle portato cattive notizie.
— È stupefacente — replicò Lindsay. — Forse dovremmo bere qualcosa per celebrare.
Un’ombra attraversò il volto di Morrissey.
— Mi perdoni — si corresse Lindsay. — Forse non ho dato una gran prova di tatto. — Mise via la bottiglia. Non ne restava molto.
— Ho sessant’anni — disse Morrissey. Si sedette, a disagio. — Così, mi hanno estromesso. Oh, sono stati molto gentili. — Ebbe un sorriso sofferente. — Un tempo ero un preservazionista. Avevo diciotto anni all’atto della prima rivoluzione. È ironico, non è vero? Adesso sono un cane solare.
Lindsay replicò, cauto: — Non sono senza potere, qui. E non sono senza fondi. Dembowska accoglie molti profughi. Posso trovarle una stanza.
— Lei è molto gentile. — Il volto di Morrissey si era irrigidito. — Ho lavorato come biologo, ai guai ecologici della nazione. Il dottor Constantine mi ha addestrato. Ma temo di essere parecchio indietro rispetto ai tempi.
— A questo si può rimediare.
— Ho portato un articolo per il suo Giornale.
— Ah. È interessato agli investitori, dottor Morrissey?
— Sì. Spero che il mio articolo sia all’altezza dei vostri standard.
Lindsay si costrinse a sorridere. — Ci lavoreremo sopra insieme.
Consiglio di Stato
della Skimmers Union
13-5-’75
Lo sentiva arrivare, sentiva che gli strisciava sulla nuca in una zona di tremolante tensione subepidermica. Una condizione simile a una fuga di Bach. La scena davanti a lui tremò leggermente. La folla sotto il palco privato divenne un fregio confuso di teste compatte sullo sfondo degli addobbi scuri, il palcoscenico incurvato con gli attori in costume, rosso scuro, vivido, un gesto. Rallentò… s’immobilizzò.
Paura… no, neppure quella, esattamente… una certa tristezza, adesso che il dado era stato lanciato. L’inferno era l’attesa… Aveva aspettato sessant’anni per riprendere i suoi vecchi contatti. I vecchi radicali testa-di-cavo della Repubblica… Adesso capi dei testa-di-cavo come lui, si erano fatti strada fino al potere nei mondi esterni. Sessant’anni non erano niente per una mente sui cavi… il tempo non significava niente… stati di fuga… Lo ricordavano ancora molto bene, il loro amico, Philip Khouri Constantine…
Era stato lui a scatenarli, epurando gli aristocratici di mezza età per finanziare la diserzione dei testa-di-cavo… I ricordi risalirono al passato; erano dati, questo era tutto, da qualche parte, altrettanto freschi sulle bobine quanto lo era il nemico. Margaret Juliano sul suo letto di ghiaccio cataclista… Perfino nel mezzo della fuga l’impeto della soddisfazione era abbastanza veloce e acuto da penetrargli nella coscienza dal cervello posteriore… Quella sensazione di calore assolutamente unica che proveniva soltanto dalla caduta di un rivale…
Adesso, trascinandosi pigramente dietro ai suoi galoppanti pensieri, il lento sbocciare d’un prurito di paura… Nora Everett, la moglie di Abelard Mavrides… L’aveva danneggiato diciassette anni prima con il colpo di stato nella Repubblica, malgrado lui fosse riuscito a invischiarla nelle accuse di tradimento… Adesso quella Repubblica di latta non lo riguardava più. I suoi cittadini bambini, ostinatamente ignoranti, facevano volare gli aquiloni e mangiavano mele sotto lo sguardo folle, da ciarlatano, del dottor Pongpianskul… Là non c’era nessun problema, il futuro li avrebbe ignorati, erano fossili viventi, di per sé innocui…
Ma i cataclisti… adesso la paura stava prendendo forma, cominciava a fiorire, le prime forme vaghe d’inquietudine che si erano manifestate adesso assumevano una sostanza emotiva, srotolandosi attraverso la sua consapevolezza come una goccia d’inchiostro che fluisse dentro un bicchier d’acqua… Si sarebbe preoccupato delle sue emozioni più tardi, una volta che la fuga fosse finita; adesso lottava per chiudere gli occhi… aveva perso la messa a fuoco, la macchia confusa d’una lacrima rendeva indistinti gli attori immobilizzati; le sue palpebre si stavano chiudendo con una lentezza da incubo, gli impulsi nervosi venivano confusi dalla galoppante fuga della coscienza… I cataclisti, però… Loro lo consideravano tutto come un immenso scherzo, si divertivano a nascondersi nella Repubblica travestiti da plebei e contadini, l’immenso panorama interno di quel mondo cilindrico era bizzarro per loro come una dose residua della loro droga favorita, PDKL-95… La tipica mente di un assassino del ghiaccio, con il suo biglietto di sola andata per il futuro…
La fuga stava per interrompersi. Avvertì una strana sensazione di sconvolgimento fisico, come di qualcosa che s’incrinava, con la crosta mentale che cedeva davanti all’ondata. Negli ultimi microsecondi della fuga, un lampo eidetico s’impadronì di lui, fotografie della superficie di Titano fatte dai ricognitori, rosse piattaforme vulcaniche d’idrocarburi pesanti fratturate dalla lava di ammoniaca, che eruttavano dalle viscere del suolo… da Titano, molto al di sotto della loro orbita, la principale decorazione delle pareti della Skimmers Union.
Finito. Constantine si sporse in avanti sul sedile del suo palco, schiarendosi la gola. La paura ritardata lo investì; la spinse via, bruscamente, prese una leggera sniffata di acetaminofene per evitare l’emicrania. Lanciò un’occhiata al proprio orologio da polso attraverso le ciglia umide. Quattro secondi di fuga.
Si sfregò gli occhi, divenne conscio di sua moglie seduta accanto a lui, il suo volto da plasmatrice, finemente cesellato, era uno studio di espressione sorpresa. Era consapevole che lui era rimasto seduto, rapito, per quattro secondi, con gli occhi che mostravano soltanto un orlo di bianco. No. Pensava che fosse rimasto colpito dalla recita, ed era sorpresa di vedere quell’eccesso di emozione nel suo ferreo marito. Constatine la gratificò d’un sorriso. Il suo colorito si accentuò; si sporse in avanti sulla sedia, con le mani ingioiellate in grembo, mettendosi a studiare con attenzione la recita. Più tardi avrebbe cercato di discuterne con lui. Natalie Constantine era giovane e intelligente, la rampolla di una linea genetica militare. Si era abituata alle sue esigenze.
Non come la sua prima moglie, quella cagna traditrice… Aveva lasciato la vecchia aristocratica nella Repubblica, avendo nutrito con pazienza la sua viziosa tendenza, fino a quando il suo colpo di stato gli aveva permesso di rivolgerle contro i suoi pari. Adesso correva voce che fosse l’amante di Pongpianskul, conquistata dal fraudolento fascino plasmatore e dalla degradata intimità senile. Non aveva importanza, non aveva importanza. I lunghi anni trascorsi avevano smorzato il dolore; il colpo di stanotte, se ci fosse stato, era più importante di qualunque banchina circumlunare.
Vera, sua figlia di nove anni, si sporse dal suo sedile per bisbigliare qualcosa a Natalie. Constantine fissò la bambina da lui modellata. La metà dei suoi genetici erano di Vera Kelland, estratti da squame della pelle che lui le aveva prelevato prima che si suicidasse. Per anni aveva conservato quei geni rubati, e quando il tempo era stato maturo, li aveva fatti germogliare in quella bambina. Lei era la sua favorita, la prima della sua progenie. Quando pensava a come il proprio fallimento avrebbe potuto condannarla, avvertiva di nuovo la paura più forte di prima, poiché adesso non riguardava lui.
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