— Intende attaccare gli investitori? — chiese Wells.
— E che altro, sciocco? Che scelta abbiamo?
Una voce di donna scaturì dalla base della lampada: — Abelard Mavrides, sei in arresto.
La cabina dell’ascensore si chiuse con un sibilo alle loro spalle. La falsa gravità li colpì quando accelerarono verso l’alto. — Metti le mani contro la parete, per favore — disse Greta, in tono cortese. — Sposta i piedi all’indietro.
Lindsay eseguì senza dir nulla. L’ascensore all’antica schioccò rumorosamente lungo i binari disposti sulla parete verticale del Crepaccio di Dembowska. Scivolarono via due chilometri. Greta sospirò. — Devi aver commesso qualcosa di drastico.
— Non è cosa che debba preoccupare te — rispose Lindsay.
— Stando al regolamento, dovrei tagliare i cavi del tuo braccio di ferro. Ma lascerò perdere. Credo che questa sia anche colpa mia. Se ti avessi fatto sentire più a tuo agio, non saresti stato così fanatico.
— Non ci sono armi nel mio braccio — ribatté Lindsay. — Certamente l’hai esaminato mentre dormivo.
— Non capisco questi tuoi acidi sospetti, Bela. Ti ho forse maltrattato in qualche modo?
— Parlami di Zen Serotonina, Greta.
Lei si raddrizzò leggermente. — Non mi vergogno di appartenere al Nonmovimento. Te l’avrei detto, ma noi non facciamo proseliti. Li conquistiamo con l’esempio.
— Molto lodevole. Ne sono sicuro.
Lei corrugò la fronte. — Nel tuo caso avrei dovuto fare eccezione. Mi spiace per il tuo dolore. Ho conosciuto il dolore, un tempo. — Lindsay non replicò. — Sono nata su Themis — proseguì Greta. — Là ho conosciuto dei cataclisti, una delle fazioni mechanist. Erano assassini del ghiaccio. I militari scoprirono una delle loro criocellule, dove stavano corrompendo uno dei miei insegnanti con un biglietto di sola andata per il futuro. Non ho aspettato l’arresto. Sono fuggita su Dembowska.
“Quando arrivai qui, l’Harem mi arruolò. Scoprii che dovevo prostituirmi a Carnassus. Non mi piacque. Ma poi scoprii Zen Serotonina.”
— La serotonina è una sostanza chimica del cervello — disse Lindsay.
— È una filosofia — lo corresse lei. — I Plasmatori, i Mechanist… quelle non sono certo filosofie, sono tecnologie trasformate in politica. Le tecnologie ne sono sempre il nucleo. La scienza ha ridotto a pezzi la razza umana. Quando l’anarchia ha colpito, la gente ha lottato per formare delle comunità. Gli uomini politici hanno scelto dei nemici così da poter legare a sé i loro seguaci con l’odio e il terrore. La comunità non è sufficiente quando mille nuovi modi di vita ammiccano da ogni circuito e provetta. Senza odio non ci sarebbe il Consiglio dell’Anello, né l’Unione dei Cartelli. Nessun conformismo senza la frusta.
— La vita si muove in clade — mormorò Lindsay.
— Quello è Wells con il suo guazzabuglio di fisica e di etica. Quello che ci serve è il nonmovimento, la calma, la chiarezza. — Greta stese il braccio sinistro. — Questo monitor funziona a impulsi energetici discreti dentro il mio braccio. La paura non significa niente per me. Con questo, non c’è niente che io non possa fronteggiare o analizzare. Con lo Zen Serotonina si vede la vita alla luce della ragione. La gente si rivolge a noi, specialmente nei momenti di crisi. Ogni giorno il Nonmovimento conquista nuovi aderenti.
Lindsay pensò alle onde cerebrali che aveva visto sopra il letto della sua casa-sicura.
— Allora ti trovi in permanenza in uno stato alfa?
— Naturalmente.
— Sogni mai?
— Abbiamo la nostra visione. Possiamo vedere le nuove tecnologie che sconvolgono la vita umana. Ci lanciamo in quelle correnti. Forse ciascuno di noi non è altro che una particella. Ma insieme noi formiamo un sedimento che rallenta il flusso. Molti innovatori sono profondamente infelici. Dopo Zen Serotonina perdono il loro stimolo a intromettersi.
Lindsay sorrise truce. — Non è una coincidenza che ti abbiano assegnato al mio caso.
— Tu sei un uomo profondamente infelice. Ti ho causato questo guaio. Il Nonmovimento ha una forte voce nell’Harem. Unisciti a noi. Possiamo salvarti.
— Io ho conosciuto la felicità una volta, Greta. Tu non la conoscerai mai.
— Le emozioni violente non sono il nostro forte, Bela. Noi stiamo cercando di salvare la razza umana.
— Buona fortuna — disse Lindsay. Avevano raggiunto la fine del percorso.
Il vecchio acromegalico fece un passo indietro per ammirare la propria opera. — La cinghia va bene, cane solare? Puoi respirare?
Lindsay annuì.
La morsa-assassina scavava dolorosamente nella base del suo cranio.
— Legge il retrocervello — spiegò il gigante. Gli ormoni della crescita avevano distorto la sua mascella. Aveva un volto da bulldog e la sua voce era impastata. — Ricordati di strisciare i piedi. Niente movimenti improvvisi. Non tentare di muoverti in fretta, e la tua testa rimarrà intera.
— Da quanto tempo fai questo lavoro? — gli chiese Lindsay.
— Quel che basta.
— Fai parte dell’Harem?
Il gigante lo fissò. — Sicuro. — La sua enorme mano avvolse in una stretta l’intero viso di Lindsay. — Hai mai visto uno dei tuoi bulbi oculari? Forse te ne tiro fuori uno. Il Capo potrà fartene innestare un altro.
Lindsay sussultò. Il gigante sogghignò, rivelando dei denti irregolarmente distanziati. — Ho visto altre volte il tuo tipo. Sei un antibiotico plasmatore. Una volta i tipi come te mi hanno imbrogliato. Forse pensi di poter imbrogliare la morsa? Forse pensi di poter uccidere il Capo senza muoverti? Tienti bene a mente che devi passare davanti a me prima di uscire. — Strinse la sommità della testa di Lindsay e lo sollevò staccandolo dal velcro. — O forse pensi che io sia stupido?
Lindsay rispose in giapponese commerciale: — Risparmialo per le puttane, yazuka. O forse a Sua Eccellenza piacerebbe togliermi questa morsa e venire con me mano nella mano.
Il gigante rise, sorpreso, e mise giù Lindsay con cautela. — Mi spiace, amico. Non sapevo che eri uno dei nostri.
Lindsay entrò nella camera di equilibrio. All’interno l’aria aveva il calore del sangue. Sapeva di sudore profumato e dell’odore delle violette. L’incostante gemere d’un sintetizzatore s’interruppe all’improvviso.
La stanza era piena di carne. Era fatta di carne, carne abbronzata e satinata, interrotta qua e là da tappeti di lucidi capelli neri e lampi malva di membrane delle mucose. Ogni cosa era involuta, curva: poltrone da soggiorno, una massa arrotondata simile a un letto di carne, costellata di fori color malva. Il sangue pulsava attraverso un’arteria grossa come un tubo, sotto i suoi piedi.
Un altro congegno incappucciato a forma di lampada si alzò ruotando su un cardine a gomito, dalla pelle liscia. Degli occhi scuri lo osservavano. Una bocca si aprì sulla groppa morbida di uno sgabello accanto a lui. — Togliti quegli stivali di velcro, tesoro: mi fanno il solletico.
Lindsay si sedette. — Sei tu, Kitsune?
— Lo sapevi, quando hai visto i miei occhi nell’ufficio di Wells. — La voce sinuosa usciva dalla parete.
— Non fino a quando non ho visto la tua guardia del corpo, a dire il vero. È passato molto tempo. Mi spiace per gli stivali. — Si sedette e se li tolse, facendo attenzione, nascondendo il suo brivido al sensuale calore della poltrona di carne. — Dove sei?
— Tutt’intorno a te. Ho occhi e orecchi dappertutto.
— Dov’è il tuo corpo?
— L’ho fatto eliminare.
Lindsay sudava. Dopo quattro settimane al freddo di Dembowska, quell’aria riscaldata era soffocante. — Sapevi che ero io?
— Sei il solo che mi abbia lasciato e che m’interessava tenere, tesoro. Era molto improbabile che me ne dimenticassi.
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