— Un rischio — commentò Fetzko. — È per questo che i giovani ci sopportano. Perché noi possiamo correre i rischi. Ed estirparli. I cattivi trattamenti. Con le nostre perdite.
— Avrebbe potuto andargli peggio — ribadì Ross. — Avrebbe potuto cader vittima di quei pasticci di virus cutanei. Adesso si squamerebbe come un serpente, ah!
Il giovane Paolo Mavrides attraversò il campo insonorizzante della porta. — Nora dice di andare a salutare Kleo e il signor Vetterling.
— Grazie, Paolo. — Margaret Juliano e il Reggente Vetterling si diressero verso la porta, scambiando quattro parole sui costi di costruzione. Fetzko li seguì con passo barcollante, le gambe che ronzavano udibilmente. Ross prese Lindsay per il braccio.
— Un momento, Abelard.
— Sì, Tenente-alle-Arti?
— Non riguarda la Sicurezza, Abelard. Non dirai a Margaret Juliano che sono stato io a proporlo a Pongpianskul?
— Il trattamento non provato, vuoi dire? No. È stato crudele, però.
Ross se ne uscì in una risatina sciocca e compiaciuta.
— Senti, qualche decennio fa sono stato sul punto di sposare Margaret, e a quanto Neville mi dice i miei giorni matrimoniali adesso potrebbero tornare da un momento all’altro… Ascolta, Mavrides. Non mi è sfuggito il tuo aspetto durante questi ultimi anni. A esser franco, sei in decadimento.
Lindsay si toccò i capelli ingrigiti. — Non sei il primo a dirlo.
— Non è un problema di soldi, vero?
— No. — Lindsay sospirò. — Non voglio che i miei genetici vengano esaminati. Ci sono troppi gruppi della Sicurezza che sorvegliano, e ad esser sincero non sono tutto quello che sembro…
— Ma chi diavolo non lo è a questa età? Ascolta, Mavrides: ho pensato che fosse qualcosa del genere, siccome sei eunico. Questo è il mio punto di vista: ho saputo qualcosa, molto tranquillo, molto confidenziale. Costa, ma non vengono fatte domande, non ci sono registrazioni: le operazioni hanno luogo in un ambiente molto privato. Fuori, in una delle città dei cani. — Scrollò lievemente le spalle. — Tu sai che non vado d’accordo con il resto della mia linea genetica. Non vogliono darmi la loro documentazione; devo portare avanti le mie ricerche da solo. Non potremmo combinare qualcosa noi?
— Forse. Mia moglie non ha segreti per me. Pensi che lei sappia?
— Sicuro, sicuro… Allora, lo farai?
— Ti farò sapere. — Lindsay appoggiò il braccio prostetico sulla spalla di Ross. Ross rabbrividì, solo un po’.
La coppia di sposi era arrivata fino a una nicchia dove erano rimasti bloccati in mezzo a una folla di beneauguranti genetici cadetti, che si scappellavano a tutto spiano. Lindsay abbracciò Kleo, e strinse il braccio di Fernand Vetterling con la sinistra.
— Ti prenderai cura della mia sorella germana, Fernand? Tu sai che è molto giovane.
Fernand incontrò i suoi occhi. — È la vita e il respiro per me, amico.
— Bravo, è questo lo spirito giusto. Rimanderemo per un po’ il nuovo lavoro. L’amore è più importante.
Nora baciò Fernand, guastandosi il trucco. Intanto, all’interno della dimora, i più giovani si stavano scatenando. La danza in mezzo ai cappi per i piedi sul soffitto era quasi degenerata in una rissa, dove i giovani plasmatori, ridendo e urlando, lottavano per spingersi fuori dall’affollata pista da ballo.
Parecchi erano già caduti e si tenevano aggrappati ad altri, penzolando sgraziati nella mezza gravità.
Sono su di giri, pensò Lindsay. Presto, molti di quelli si sarebbero ugualmente sposati, ma pochi avrebbero trovato una combinazione di amore e politica conveniente quanto quella che era capitata a Fernand. Erano pedine del gioco dinastico dei loro vecchi, in cui i soldi e la genetica stabilivano le regole.
Lindsay osservò la folla con l’intima capacità di giudizio che trent’anni di pubblico di Plasmatori gli avevano insegnato. Alcuni erano nascosti dagli alberi del giardino, un rettangolo centrale di verde lussureggiante circondato dai pavimenti a mosaico del patio. Quattro bambini Mavrides stavano tormentando uno dei robot di servizio, che non voleva versare le sue bevande malgrado lo tirassero e gli facessero gli sgambetti. Lindsay balzò verso l’alto nella mezza gravità per guardare al di là del giardino. Una discussione stava maturando sull’altro lato: una mezza dozzina di plasmatori avevano circondato un uomo in tuta nera. Guai in vista. Lindsay raggiunse il vialetto sul tetto del giardino e balzò sul soffitto. Si tirò su di traverso al viottolo con una facilità frutto di un’antica abitudine, tenendosi aggrappato con destrezza alle sporgenze e alle nicchie per i piedi. Fu costretto a fermarsi un attimo quando un gruppetto di tre bambini lo oltrepassò di corsa passandogli sopra la testa, ridacchiando tutti eccitati. I lacci della sua manica tornarono a sciogliersi.
Lindsay si lasciò cadere sul pavimento dall’altra parte.
— Mi si brucino le maniche — borbottò. A quel punto tutti avevano un’aria un po’ disfatta. Si diresse verso il capannello degli altercanti.
Il giovane mechanist era bloccato al centro del cerchio. Indossava un completo di raso dal taglio impeccabile con alamari neri e un accenno di merletto alla plasmatore intorno alla gola. Lindsay lo riconobbe per un discepolo di Ryumin, arrivato con l’ultima tournèe della Kabuki Intrasolar. Si faceva chiamare Wells.
Wells aveva l’aspetto impertinente dei cani solari: capelli corti e opacizzati, occhi scaltri, una sciolta posizione del corpo, da caduta libera. Aveva la sigla del Kabuki, la maschera, sulla spalla del suo completo. Pareva ubriaco.
— È un caso aperto e chiuso — insisteva Wells a voce alta. — Quando hanno usato gli investitori come pretesto per far cessare la guerra, quella era una cosa. Ma quelli di noi che hanno conosciuto gli alieni da quando eravamo bambini, sanno riconoscere la verità. Non sono santi. Ci hanno manipolati per ricavarne profitto.
Il gruppo non si era ancora accorto della presenza di Lindsay. Lui si era tenuto indietro, valutando le loro reazioni muscolari. La faccenda era spiacevole, greve: i plasmatori erano Afriel, Besetzny, Wardan, Parr e Leng, la sua classe di laureati in linguistica aliena. Ascoltavano il mechanist con cortese disprezzo, non si erano premurati di dirgli chi erano malgrado i loro sovrapanciotti predottorali indicassero con chiarezza il loro rango.
— Non ti sembra che meritino qualche credito per la distensione? — Era stato Simon Afriel a parlare, un freddo ed esperto giovane militante, che si stava già distinguendo nel complesso accademico militare dei Plasmatori. Una volta aveva confessato a Lindsay di aver messo l’occhio su un incarico diplomatico presso gli alieni. Così avevano fatto loro tutti: certamente fra diciannove razze aliene ce ne doveva essere una con cui i Plasmatori avrebbero potuto stabilire un concreto rapporto. E il diplomatico che fosse tornato sano di mente da quella missione avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi.
— Sono un ardente detentista — ammise Wells. — Voglio soltanto che l’umanità ne condivida il profitto. Per trent’anni gli investitori ci hanno comperato e venduto. Possediamo i loro segreti? Il loro motore stellare? Conosciamo la loro storia? No. Invece loro ci rifilano giocattoli e costosi voli di puro divertimento fino alle stelle. Questi artisti dell’imbroglio coperti di scaglie hanno approfittato delle debolezze e delle divisioni umane. Non sono il solo a pensarlo. C’è una nuova generazione di neocartelli oggigiorno, che…
— A che serve? — era stata Besetzny a parlare, una giovane donna benestante che già parlava otto lingue oltre all’investitore. Era l’immagine vivente del fascino d’una giovane plasmatrice, con le sue maniche aperte e senza lacci e l’alato copricapo di velluto. — Nei cartelli sei soverchiato dal numero dei tuoi vecchi. Loro ci tratteranno come hanno sempre fatto: è la loro routine. Senza gli investitori a farci da scudo…
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