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Fred Hoyle: A come Andromeda

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Fred Hoyle A come Andromeda
  • Название:
    A come Andromeda
  • Автор:
  • Издательство:
    Giangiacomo Feltrinelli
  • Жанр:
  • Год:
    1965
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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Il campo di bowling era un cinema riadattato che spiccava in un lago di luce al neon e di riflettori nello sfondo buio della vecchia cittadina di provincia. Pareva che la clientela non provenisse da quelle strade acciottolate. Per lo più erano ragazzi. Portavano pantaloni di tela, giubbotti di cuoio, capelli a spazzola, maglioni con le iniziali. Era difficile immaginarli nell’intimità delle vecchie case che si allineavano lungo le squallide valli dello Yorkshire. Le loro intonazioni dialettali erano soffocate da un fiume di musica e dal frastuono e dal tramestìo delle bocce e dei birilli sui tavolati delle piste. Ce n’erano sei o sette: ognuna aveva a un’estremità dieci birilli e all’altra la rastrelliera per le bocce, un tavolino per segnare i punti, una panca e quattro giocatori. Quando una boccia colpiva il bersaglio segnando un punto, un rastrello automatico raccoglieva i birilli e faceva ritornare le bocce alla rastrelliera vicino al giocatore. Salvo che per il momento di atletica concentrazione in cui si gettava la boccia, i giocatori parevano disinteressarsi alla gara: se ne stavano lì attorno, a chiacchierare, a bere coca-cola a garganella. Era un ambiente più americano di quanto fosse stato il cinema: pareva che attraverso lo schermo l’atmosfera statunitense fosse esplosa e si fosse impossessata del pubblico. Ma era così, rifletteva Fleming, che le cose andavano, in quel modo dell’accidente.

Trovarono Bridger, un tipo sottile, segaligno, circa dell’età di Fleming, che giocava su una pista in compagnia di una ragazza tutta curve con un maglione rosso e pantaloni gialli molto aderenti. Petto e capelli erano tirati su al massimo, il viso truccato come quello di una ballerinetta, e camminava come una stellina di Hollywood; ma quando aprì bocca trapelò tutto il suo Yorkshire. Tirò una boccia con energia notevole e tornò indietro per appoggiarsi alla spalla di Bridger succhiandosi un dito.

«Uh!, mi è venuto via un pezzo di pelle.»

«Questa è Grace.» Pareva che Bridger si vergognasse un pochino della ragazza. Era prematuramente sciupato e nervoso, vestito con anonimi abiti sportivi, simile a un impiegato postale la domenica mattina. Strinse la mano a Judy con aria incerta, e quando lei disse: «Ho sentito parlare di lei,» le lanciò un’occhiata rapida e ansiosa.

«Miss Adamson,» presentò Fleming, versando del whisky nella coca-cola di Bridger. «È la nostra nuova addetta alle public relations.»

«Qual è il suo nome di battesimo, cara?» indagò la ragazza.

«Judy.»

«Non ha dell’ansaplasto?»

«Oh, chiedi alla cassa!» intervenne Bridger impaziente.

«Lavora con voi?» chiese Judy a Fleming.

«Genio locale. Proprietà di Dennis. Io non ho tempo.»

«Peccato,» commentò la ragazza. Ma Fleming non le badò. Dopo aver preso un altro sorso dalla fiaschetta, si diresse con passo incerto alla pista. Bridger si rivolse a Judy in tono confidenziale:

«Che le è stato detto di me?»

«Solo che ha lavorato con il dottor Fleming.»

«Non è la mia massima aspirazione.» Pareva deluso. Mosse il naso, come un coniglietto. «Nell’industria potrei prendere cinque volte quel che guadagno qui.»

«È questo che desidera?»

«Appena il complesso sulla collina entra in funzione, taglio la corda.» Lanciò un’occhiata di traverso a Fleming con aria d’intesa, poi si rivolse di nuovo a lei. «Il vecchio John è deciso a restare, ad aspettare l’età dell’oro, e, prima che ottenga qualcosa, sarà vecchio. Vecchio e rispettato. E povero.»

«E forse felice.»

«Non sarà mai felice. Ne manda giù troppe.»

«Chi ne manda giù troppe?» Fleming indietreggiò per il lancio e segnò il punto.

«Tu.»

«D’accordo, bevo troppo. Amico, bisogna pur avere qualcosa a cui tenersi attaccati.»

«Cosa c’è che non va nella strada che ti sei prescelto?» domandò Bridger arricciando il naso.

«Senti,» Fleming si abbandonò sulla panca accanto a loro. «Hai tutte le intenzioni di camminare per una strada; poi cambi passo e non ti ritrovi più. Parlavamo di Galileo… perché? Perché lui era il Rinascimento. Lui e Copernico e Leonardo da Vinci. Ed è stato allora che hanno fatto il grande salto, abbattendo tutte le barriere, e han dovuto starsene in piedi per conto loro in mezzo a un universo grande, enorme, sconfinato.»

Si alzò, prese dalla rastrelliera un’altra pesante boccia, e la sua voce si alzò sopra l’assordante frastuono della musica e del giuoco.

«Abbiamo posto nuove barriere, molto più oltre; ma questo è un secondo Rinascimento. Un bel giorno, mentre noi non ce ne accorgiamo, tutti presi a parlare di politica, di calcio e di quattrini, allora d’improvviso tutte le barriere che conosciamo verranno abbattute, via!, come questa!»

Diede un gran colpo con la boccia facendo cadere dal tavolo segnapunti le bottiglie di coca-cola.

«Ehi, sta’ attento, animale!» Bridger si chinò a raccogliere le bottigliette e asciugò con un fazzoletto il liquido sparso. «Mi spiace, Miss Adamson.»

Fleming buttò il capo all’indietro, ridendo.

«Judy, si chiama Judy.»

Bridger, piegato sulle ginocchia, cercava di togliere la macchia dalla gonna di Judy.

«Temo proprio che rimarrà la macchia.»

«Non importa.» Judy non gli badava. Fissava Fleming, interdetta e affascinata. Poi il momento passò.

«Dottor Fleming, al telefono.»

Dopo un minuto Fleming tornò, scuotendo la testa come per schiarirsi le idee. Tirò in piedi Bridger.

«Andiamo, Dennis. Vogliono noi.»

Harvey era solo nella sala di controllo: sedeva al banco e regolava la sintonia del ricevitore. La finestra di fronte a lui era nera come una lavagna e la stanza era silenziosa: si sentiva solo, dall’altoparlante, un suono crepitante, basso e continuo. All’esterno, silenzio; poi il rumore dell’auto di Fleming.

Fleming e Bridger entrarono dalla porta girevole, e si fermarono, battendo le palpebre, nel cerchio di luce. Fleming, turbato, fissò Harvey.

«Che c’è?»

«State a sentire.» Harvey alzò una mano e loro si fermarono, in ascolto.

In mezzo alle scariche, ai sibili e ai fischi che venivano dall’altoparlante, giungeva un’unica nota, debole e spezzata, che però si ripeteva continuamente.

«Alfabeto Morse,» affermò Bridger.

«Non è a gruppi.»

Ascoltarono ancora.

«Breve e lunga,» aggiunse Bridger, «ecco cos’è.»

«Da dove proviene?» chiese Fleming.

«Da qualche parte di Andromeda. Ne stavamo esplorando la zona…»

«Da quanto dura?»

«Da un’ora circa. Siamo sul massimo, ora.»

«Puoi muovere il riflettore?»

«Penso di sì.»

«Non dovremmo farlo,» intervenne Bridger. «Non dovremmo cominciare subito a fare esperimenti.»

Fleming lo ignorò.

«Il servo-apparecchio è già in azione?» chiese.

«Sì, dottor Fleming.»

«Bene, cerchi di captarlo.»

«No, John, ascolta.» Bridger tese vanamente una mano per toccare il braccio di Fleming.

«Può essere uno Sputnik, o qualcosa del genere,» disse Harvey.

«C’è qualcosa di nuovo in orbita?» Fleming si liberò dalla stretta di Bridger.

«Nulla, che si sappia.»

«Qualcuno potrebbe avere lanciato in orbita qualcosa di nuovo…» cominciò Bridger, ma Fleming lo interruppe.

«Dennis.» Cercava di pensare con lucidità. «Vai a mettere in funzione un registratore, da bravo. E anche uno stampatore.»

«Non sarebbe meglio controllare?»

«Dopo, controlliamo.»

Fleming uscì lentamente nel vestibolo, si chinò sul distributore d’acqua e si sciacquò a lungo il viso. Quando tornò, fresco, lucido e notevolmente sobrio, trovò Bridger già al lavoro nella sala apparecchi, e Harvey che telefonava all’ingegnere di turno. Quando i motori elettrici entrarono in funzione, le luci si abbassarono un istante. Il riflettore metallico, in alto là fuori, si mosse in silenzio, impercettibilmente. Il suo movimento compensava il moto terrestre. Dall’altoparlante il suono giunse un poco più alto.

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