Se era pomeriggio. Mina aveva perso la cognizione del tempo, ed era una cosa in più di cui preoccuparsi. Non voleva essere sorpresa da sola con Krell sul Bastione della Tempesta al calar della notte. Aprendo la porta di uno spiraglio, sbirciò fuori.
La piazza d’armi, lastricata di ciottoli, era vuota. Era vasta e Mina la riconobbe dalla mappa. La piazza d’armi si trovava all’ombra di un’alta torre, e adesso Mina sapeva esattamente dove si trovava. A giudicare dalla forma e dall’ubicazione, doveva essere la Torre Centrale, una struttura massiccia che ospitava le principali sale riunioni, le sale da pranzo, gli alloggi dei servitori. Lord Ariakan aveva le sue stanze in quella Torre. Si riteneva vi fosse anche una camera che conduceva direttamente al piano di esistenza in cui dimorava un tempo Takhisis. Non lontano da questa vi era la Torre del Giglio, dove era di stanza il reparto di élite dei Cavalieri del Giglio, e all’estremità opposta della fortezza si ergeva la Torre del Teschio, sede dell’ala arcana dei Cavalieri delle Tenebre. Sparsi fra le tre torri vi erano numerosi fabbricati annessi.
La planimetria bidimensionale che Mina aveva esaminato nella biblioteca di Palanthas non trasmetteva l’immensità della fortezza. Mina non si era resa conto, alla partenza, quanto fosse grande la struttura né quanto terreno occupasse. E non aveva idea di quale edificio abitasse Krell. Scrutando la distesa spazzata dal vento della piazza d’armi, Mina incominciò a domandarsi se fosse stata buona la sua idea di entrare di soppiatto nella fortezza.
«Potrei trascorrere giorni a vagare in questo posto alla ricerca di Krell», si rese conto. «Niente cibo e niente acqua. Senza osare dormire per paura che lui mi uccida.»
Tutto sommato, sarebbe stato meglio per lei sfidare la sorte e affrontare Krell sulla scalinata.
Mina scrollò il capo, si scrollò via i dubbi. «Chemosh mi ha portata qui. Lui non mi abbandonerà.»
Con rinnovata fiducia, Mina diede una spinta alla porta e fece per uscire e attraversare la piazza d’armi.
E lì c’era Krell, che usciva da dietro un muro, proveniente dalla direzione dei dirupi su cui lei l’aveva visto per l’ultima volta.
Mina si immobilizzò, non osando muoversi né respirare.
Krell la oltrepassò, ad appena due metri di distanza. Se lei fosse uscita dal nascondiglio un istante prima, avrebbe commesso il madornale errore di imbattersi in lui. Il cavaliere della morte era ripugnante a vedersi. Il tormento ardente della sua vita maledetta fiammeggiava di rosso nelle ombre delle fessure per gli occhi del suo elmo a cranio d’ariete. Mina sapeva che se lui si fosse tolto l’elmo sarebbe stato ancora più ripugnante, poiché al di sotto non vi era nulla. Nulla tranne il buco ricavato nell’esistenza in cui vi era stata la sua vita, e quel buco era più nero dell’oscurità dentro una tomba sepolta in una cripta dimenticata.
La sua armatura snodata e sfaccettata, decorata col teschio e col giglio, era macchiata del sangue che Zeboim gli aveva prosciugato nell’arco di molti giorni di tortura. Il sangue luccicava di rosso, fresco come nel giorno in cui l’aveva versato fra urla di dolore. La pioggia sferzante non lavava mai via il sangue. Camminando Krell lasciava impronte insanguinate.
Portava una spada che gli sferragliava al fianco, ma la sua arma più potente era la paura. Avrebbe usato la paura per ridurre lo spirito di Mina a una poltiglia tremante, così come avrebbe usato i pugni per ridurle in poltiglia la carne e le ossa.
La paura che emanava da lui a ondate colpì Mina, che si sgomentò e si fece piccola per il timore. Quando aveva affrontato l’altro cavaliere della morte, Lord Soth, era armata della potenza dell’Unico Dio. Portava in mano l’arma dell’Unico Dio. Soth non aveva potere su di lei. Era stato sepolto sotto le macerie della sua fortezza.
Mina non indossava più un’armatura sacra. Chemosh le aveva chiesto di gettare via l’armatura come prova di fede. Doveva affrontare quel formidabile cavaliere della morte indossando una camicia di lana inzuppata di pioggia che le aderiva umida al corpo snello, sembrando sottolineare il fatto che lei era fatta di carne morbida e tremante e lui era fatto di acciaio e di morte.
La paura la paralizzava. Non riusciva a muoversi, ma rimaneva accovacciata sulla soglia, con lo stomaco che le si stringeva, i muscoli delle gambe che le si contorcevano in spasmi dolorosi. Se Krell avesse voltato la testa, l’avrebbe vista tremante sulla soglia, pusillanime come un nano di fosso. Sarebbe arrivato con furia su di lei e Mina si sarebbe fatta piccola e inerme davanti a lui.
Mina chiuse gli occhi, distolse lo sguardo. La tentazione di fuggire la sopraffaceva, e lei si sforzò di controbatterla.
«Ho percorso da sola la valle maledetta di Neraka», disse digrignando i denti. «Ho sopportato le prove della Regina delle Tenebre. Takhisis mi teneva in pugno, e la sua gloria mi inaridiva la carne, eppure adesso io tremo davanti a questo pezzo di escremento. Io sono forse audace soltanto quando gli dèi mi tengono per mano? È questo il modo per dimostrare a Chemosh di che cosa sono capace?»
Mina aprì gli occhi. Si costrinse a guardare Krell, lo fissò intensamente. Smise di tremare. Gli spasmi muscolari le si alleviarono. Inspirò profondamente due volte e si rilassò.
Krell non l’aveva né vista né udita. Passò oltre, imprecando ad alta voce per avere perduto la preda e agitando il pugno con rabbia impotente. Qualunque tormento avesse predisposto per lei, Krell era dolorosamente deluso per avere perduto questa occasione.
Mentre Krell avanzava a grandi passi per la piazza d’armi, il suo tormento lo colpiva e lo lacerava. Il vento della collera della dea lo sferzava. Krell aveva difficoltà a camminare contro quel vento furioso, pur essendo di costituzione forte e poderosa. Nubi nere ribollivano e si addensavano in alto. Fulmini si abbattevano ai suoi piedi, scagliando all’insù pezzi di roccia e in un’occasione facendo cadere Krell in ginocchio. Il rimbombo del tuono quasi continuo faceva tremare il suolo.
Rimettendosi in piedi barcollando, Krell agitò il pugno verso i cieli. Non stuzzicò però ulteriormente la dea, ma corse verso la Torre del Giglio con un trotterellare goffo, ostacolato dall’armatura.
Mina attese che lui fosse a metà della piazza d’armi, quindi lo seguì. Aveva sperato che la dea si acquietasse alla sua comparsa, che la tempesta si placasse per lei. Le fu presto tolta ogni illusione in proposito. Nel momento in cui mise piede sulla piazza d’armi, una folata di vento la colpì, spingendola giù a quattro zampe. La pioggia lancinante la picchiettava con forza pungente e accecante.
Zeboim, a quanto pareva, non faceva favoritismi.
Per lo meno Krell non fu incline a fermarsi nel mezzo del ciclone per guardarsi alle spalle e vedere se fosse seguito. Stava dirigendosi verso la torre quanto più velocemente potessero condurlo i suoi passi pesanti.
Sollevandosi in piedi, Mina combatté contro la tempesta e lo seguì.
Krell era di malumore. Il cavaliere della morte non era mai realmente di buonumore, ma certi giorni per Krell erano migliori di altri. Certi giorni era fortunato ad avere i vivi attorno a intrattenerlo. Certi giorni, se Zeboim era impegnata altrove, lui poteva percorrere la piazza d’armi e ricevere solo una lieve spruzzata. Proprio oggi, però, la Strega del Mare doveva essersi piazzata direttamente lì sopra.
Adirato e gocciolante, Krell entrò a grandi passi nella biblioteca in cui aveva predisposto tutto in previsione della sua visitatrice, il cui corpo spezzato e sanguinante stava ora offrendo cibo agli squali.
Krell lasciò cadere su una sedia il proprio corpo munito di armatura e fissò imbronciato il tabellone per il gioco e la sedia vuota dall’altra parte. Krell era stufo di giocare a khas contro se stesso.
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