Quanto a stabilire chi dovesse vivere e chi morire, Zeboim era un po’ capricciosa in proposito. Poteva anche annegare il proprietario di navi che aveva pagato la costruzione del suo nuovo tempio e tenere in vita invece il mozzo che aveva dato in offerta una monetina piegata e soltanto perché costretto dalla madre. Annegava anche i propri sacerdoti, giusto per tenere tutti in allerta.
Riguardo a Mina, la giovane donna affascinava la dea. Certo, Zeboim l’aveva denigrata durante le loro conversazioni. Ma questa era apparenza; Zeboim non dava mai potere a un mortale sembrando favorirne uno rispetto a un altro.
Sebbene Zeboim disprezzasse Takhisis, doveva ammettere che sua madre aveva talento per trovare bravi servitori, e questa Mina era audace e intelligente, coraggiosa e fedele, chiaramente un gioiello fra i mortali. Zeboim voleva che Mina la adorasse, e mentre osservava la barca giungere a un approdo sicuro e Mina allontanarsene, stringendo il fagotto in cui aveva avvolto l’elmo del cavaliere della morte, la dea si trastullò con vari progetti per cercare di conquistarla.
Sembrò che Zeboim avesse avuto un inizio favorevole. Il tempio della Dea del Mare fu il primo luogo in cui Mina andò dopo essere sbarcata, a rendere grazie per il viaggio sicuro. La preghiera di Mina fu cortese e adeguatamente rispettosa, e Zeboim, anche se avrebbe preferito una maggiore umiliazione e magari pure qualche lacrima sentita rimase soddisfatta. Si avvolse di nubi temporalesche e non avendo nulla di più interessante da fare ritornò al Bastione della Tempesta per trascinare via l’anima di Krell dal piano di esistenza immortale, qualunque fosse, in cui si trovava (forse lui immaginava ingenuamente di poterle sfuggire) e ricondurlo nella sua prigione.
Una folata di vento e un lampo annunciarono il suo arrivo nella Torre del Giglio. Zeboim incrociò le braccia sul petto e guardò giù con un sorriso maligno verso l’armatura vuota.
«Senza dubbio la tua anima miserabile sta girando attorno in circolo, cercando una via d’uscita da questa esistenza maledetta, Krell. Forse pensi di sfuggirmi questa volta. Non sarai tanto fortunato. Le mie mani arrivano lontano.» Zeboim fece seguire l’azione alle parole. Stendendo il braccio, infilò la mano nell’armatura.
«Mi basta afferrarti per i peli e trascinarti di nuovo...»
Zeboim ritrasse la mano, la scrutò, aspettandosi di vedere l’anima di Krell, piccola per la paura e gemente, a dimenarsi nel pugno.
Aveva la mano vuota.
Zeboim guardò nel piano di esistenza immortale, alla ricerca dell’anima di Krell.
Il piano era vuoto.
Zeboim diede un colpo con la mano all’armatura metallica, che si disintegrò in frammenti di metallo non più grandi di un granello di polvere. Febbrilmente la dea agitò i frammenti.
L’armatura era vuota. Niente appostato al suo interno che cercasse di sottrarsi all’ira di lei.
Rapida come venti di uragano, Zeboim girò per tutto il Bastione, perlustrando ogni fessura e ogni crepa. Fu tentata di svellere la fortezza, pietra su pietra, ma avrebbe soltanto perso tempo. Capì la verità. L’aveva intuita nel momento in cui aveva toccato quell’armatura vuota. Le ripugnava ammetterlo.
Krell non c’era più. Le era sfuggito.
Zeboim vide Mina in ginocchio, udì le sue parole.
La mia devozione e la mia fede vanno a chi è morto.
«Ah, piccola vacca astuta.» Zeboim imprecò selvaggiamente. «Piccola vacca astuta, cospiratrice, ladra. "La mia fede va a chi è morto". Non intendevi mia madre. Intendevi Chemosh!»
Pronunciò il nome in un empito di furia che fece ribollire e schiumare i mari. I venti di tempesta infuriarono, i fiumi strariparono. L’ira di Zeboim scosse le fondamenta stesse dell’Abisso, dove Chemosh percepì la furia della dea e sorrise.
Chemosh percorreva a grandi passi il mondo, attendendo che Mina tornasse da lui. Cercò di interessarsi a ciò che avveniva nel mondo, poiché si stavano svolgendo eventi che avrebbero avuto un effetto sui suoi progetti e sulle sue ambizioni. Osservò con preoccupazione il concentramento di truppe dei minotauri a Silvanesti. Sargonnas si stava preparando ad assumere il comando del pantheon delle Tenebre e non sembrava esserci molto che potesse fermarlo adesso. Chemosh aveva qualche idea in proposito, ma non era ancora pronto a metterla in pratica. Pazienza. Questa era la soluzione. La fretta è cattiva consigliera.
Passò a dare un’occhiata a Mishakal, poiché di recente l’aveva aggiunta all’elenco di dèi che minacciavano la sua ambizione. Non riusciva a crederci, ma quella dea, che un tempo era stata nota per i suoi modi gentili e senza pretese, ultimamente era divenuta piuttosto militante. Incominciava a infastidire seriamente Chemosh, poiché i suoi chierici non si limitavano a sedersi al capezzale dei malati ma molestavano i chierici di lui, abbattendone i templi e uccidendone gli zombie. Certo, a Chemosh non piacevano molto gli zombie, ma erano suoi e ucciderli era un affronto a lui stesso. Presto avrebbe sistemato anche questa cosa. Avrebbe presentato a Mishakal e a quei pietisti dei suoi chierici un mistero tenebroso che avrebbero avuto difficoltà a risolvere, purché Mina dimostrasse di essere tutto quanto lui riteneva e sperava che fosse.
Gli altri dèi non costituivano una grossa minaccia. Kiri-Jolith era concentrato sul ristabilimento del suo culto fra i Cavalieri di Solamnia e altri individui bellicosi. Chislev danzava con gli unicorni nella sua foresta, contenta di avere di nuovo con sé gli alberi. Majere osservava una coccinella arrampicarsi sullo stelo di un dente di leone e si meravigliava per la perfezione dell’insetto e della pianta. Gli dèi della magia erano coinvolti nella loro politica e nei bisticci su che fare riguardo al flagello della stregoneria che aveva risollevato la testa giocosa nel loro mondo ben ordinato. Gli dèi della neutralità se ne andavano qua e là rimanendo saldamente neutrali e non vincolati a niente, per timore che anche un semplice starnuto sconvolgesse il delicato equilibrio in favore di una parte o dell’altra.
Qualcosa l’avrebbe sconvolto e non sarebbe stato uno starnuto. Mina era il peso d’oro in mano al Signore della Morte, il peso d’oro che sarebbe caduto sul piatto della bilancia e l’avrebbe rovesciata completamente.
Chemosh non era stato per nulla certo che Mina riuscisse nell’impresa da lui assegnatale. Sapeva che lei era una mortale straordinaria, ma era mortale e per giunta era umana, una combinazione spesso insoddisfacente. Lui era rimasto piacevolmente sorpreso quando Mina era scesa dalla piccola barca a vela, portando fra le braccia il fagotto con l’elmo. Più che sorpreso, era ammirato. Erano trascorsi millenni dall’ultima volta in cui aveva guardato un mortale con qualcosa di simile all’ammirazione.
Il loro luogo di appuntamento concordato era un antico tempio dedicato al suo culto a una certa distanza dalla costa di Solamnia. Lui l’aspettava lì, attento a mantenersi fuori della visuale, poiché Zeboim avrebbe osservato Mina fintanto che avesse navigato sul mare e forse anche dopo lo sbarco. Pertanto aveva istruito Mina a mantenere Zeboim con la guardia abbassata facendo visita al suo tempio.
Il tempio in cui dovevano incontrarsi era stato un mausoleo, progettato e costruito da una nobile signora addolorata per il suo nobile marito. Il nome della famiglia, scolpito sul lato anteriore del mausoleo, si era eroso, così come il blasone. L’atrio era caduto in rovina. Non ne rimaneva niente tranne le fondamenta, poiché i materiali usati per la costruzione erano stati portati via dagli abitanti del luogo per essere riutilizzati nella ricostruzione di case danneggiate nel Primo Cataclisma. Il mausoleo rimaneva però intatto e in condizioni relativamente buone. Nessuno osava toccarlo, poiché secondo la leggenda si poteva ancora udire il piagnucolio addolorato della vedova in lutto e vedere la sua figura spettrale piangere sulle scale di marmo.
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