Эд Гринвуд - Elminster - la nascita di un mago
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- Название:Elminster: la nascita di un mago
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Elminster sorrise. «Assicurati che chi ti sentirà sappia a chi si riferisce il “loro”».
Helm ricambiò con una smorfia. «Questo è stato un problema di molti, nel corso degli anni».
La volpe che l’aveva seguito per un breve tratto gli diede un’occhiata finale, con gli occhi scuri e scintillanti, poi fuggì tra le felci gelate. El la osservò allontanarsi, chiedendosi se non fosse la spia di un mago, ma il suo istinto gli disse che non era così. Attese qualche istante, poi, più silenziosamente che poté, si avviò tra gli alberi e raggiunse il prato retrostante la locanda. «Cerca la botola vicino al fienile», gli aveva detto Helm, ed ecco il fieno contro il muro posteriore della scuderia, riparato da un tetto infossato, costruito su alcuni pilastri, che conoscevano a malapena il significato del termine «diritto». Tutto corrispondeva alla descrizione del cavaliere: l’ingresso posteriore della Locanda di Woodsedge.
Elminster si avvicinò, sperando che non ci fossero cani a dare l’allarme. Per il momento non ne vide. Ringraziò silenziosamente gli dei e scavalcò il cancello basso del praticello dalla parte della locanda, aggirò furtivamente il fienile e trovò la botola. Era tenuta chiusa soltanto dal suo peso; non dovette nemmeno posare la spada per aprirla e scendere all’interno.
Chiuse il portello dietro di sé e rimase immobile, la stalla era silenziosa, e più calda della notte. Un cavallo si mosse e scalciò pigramente contro una parete del recinto. Il ragazzo esaminò la stalla e notò un recinto pieno di badili, rastrelli, secchi e matasse di redini appese, e un recinto pieno di paglia. Rinfoderò la spada, prese una forca dai denti lunghi, e tastò cautamente il fieno, ma non sentì nulla di solido. Allora aprì il cancelletto ed entrò.
Un attimo dopo era già sepolto nella paglia, nascosto alla vista e protetto dal freddo da una spessa coltre di fieno. Cercò di rilassarsi, e si concentrò affinché la sua mente lo conducesse nel vuoto fluttuante dei sussurri… per sprofondare nel bagliore bianco, e dormire…
Il fieno frusciò e gli graffiò le mani. Elminster spalancò gli occhi: si stava sollevando dal suo giaciglio… stava volando! La sua testa sbatté duramente contro una trave del soffitto.
«Le mie scuse, Principe», esclamò una voce fredda e familiare. «Temo d’avervi svegliato». Elminster si sentì rivoltare in aria e a un tratto si ritrovò di fronte al mago che stava in piedi nel corridoio tra le stalle, un sorriso tenebroso sulle labbra. Il bagliore bluastro della magia pulsava intorno alle mani dell’uomo e avvolgeva il ciondolo che portava al collo.
El fu colto da una rabbia improvvisa quando cercò di afferrare la Spada del Leone, ma scoprì di non poter muovere le braccia. Era in balia del mago! Aprì la bocca e constatò che poteva parlare. «Chi siete?» domandò lentamente.
Il mago abbozzò un elaborato inchino e rispose affabilmente: «Caladar Thearyn, al tuo servizio». Il giovane si sentì trascinare in avanti e nel contempo vide un forcone dai lunghi denti scostarsi dal muro della stalla e dirigere una delle punte acuminate verso il suo occhio sinistro. Lentamente, sempre più vicino.
Elminster guardò il mago, oltre il forcone, soffocando la necessità di deglutire. «Il vostro modo di combattere non è leale, mago», esclamò con freddezza.
L’uomo scoppiò a ridere: «Quanti anni avete, mio principe… sedici? E vi aspettate ancora che il mondo sia un luogo leale? Bene, siete uno sciocco». Sogghignò. «Vi credete un guerriero e combattete con pezzi di metallo affilati… bene, allora: io sono un mago e combatto con gli incantesimi. Dove sta la slealtà in tutto questo?»
La luce bluastra della magia iniziò a pulsare violentemente attorno alle mani del mago e il forcone avanzò ulteriormente. La bocca del ragazzo era insopportabilmente asciutta ora, e il ragazzo deglutì suo malgrado.
Il mago rise. «Adesso non siamo più tanto coraggiosi, vero? Ditemi Principe di Athalantar, quanto siete disposto a fare per me se vi lascio vivere?»
«Vivere? Perché non uccidermi, mago? So che volete farlo», esclamò El ostentando più spavalderia di quanta ne provasse.
«Altri maghi», citò l’uomo beffardamente, «hanno progetti propri». Scoppiò in una risata crudele. «Quale Principe di Athalantar avete un grande valore. Se accade qualcosa a Belaur – o se sarà necessario farlo accadere – mi farebbe comodo avere un asso nella manica… nel caso dovessero nascere dei dissapori». Il forcone si avvicinò ancora di più. «Naturalmente, la cecità non ti sarà d’ostacolo quando ti trasformerò in… una tartaruga magari, o in una lumaca. O meglio, un verme! Potrai nutrirti col sangue dei tuoi amici, i briganti, quando li uccideremo. Se non riusciremo a prenderli, naturalmente, morirai di fame…»
La voce sarcastica del mago si trasformò in una fredda risata. Elminster iniziò improvvisamente a sudare, mentre una paura gelida gli saliva lentamente dalla gola. Era sospeso in aria, tremante e indifeso, e chiuse gli occhi.
Un istante più tardi la forza dell’incantesimo lo costrinse a riaprirli e a guardare il mago fisso negli occhi. Scoprì di non poter più parlare, né emettere alcun suono, all’infuori del sibilo del respiro.
«Niente grida, adesso», esclamò gentilmente il mago. «Non voglio svegliare la brava gente della locanda – ma voglio vedere la tua faccia quando il forcone affonderà i suoi denti». Elminster poté solo fissare con orrore il forcone che avanzava minaccioso, sempre più vicino…
Dietro il mago, una porta laterale si aprì silenziosamente e un uomo robusto con dei baffi arricciati si affacciò alla stalla, tenendo una pesante ascia sollevata sopra la testa. La fece ricadere con forza. Si udì un tonfo sordo, e la testa del mago, divisa in due, ciondolò metà da una parte e metà dall’altra. Vi fu un violento fiotto di sangue, ed Elminster e il forcone caddero improvvisamente sul pavimento.
In un istante si rialzò, afferrò la Spada del Leone e si precipitò…
« Indietro , mio Principe!» urlò l’uomo, trattenendolo con una mano enorme. «La sua morte potrebbe essere collegata a qualche incantesimo!»
L’uomo indietreggiò di un passo e osservò attentamente il corpo, con l’ascia insanguinata pronta sulla spalla. Anche Elminster rimase a guardare, e vide i deboli bagliori bluastri scemare da ogni cosa, tranne che dal ciondolo. Poi, lentamente uscì dal recinto. «Quel ciondolo è magico», affermò tranquillamente, «ma non riesco a vedere nient’altro. Vi ringrazio».
L’uomo si inchinò. «È un onore, se sei colui che ha detto il mago».
«Lo sono», rispose il giovane. «Sono Elminster, figlio di Elthryn, ora defunto. Helm Spadadipietra ha detto che potevo fidarmi di voi… se siete Broarn».
L’uomo si inchinò ancora. «Sono io. Siate il benvenuto nella mia locanda, ma devo avvertirvi, signore, che sei soldati dormono sotto questo tetto stanotte e almeno un mercante che riferisce ai maghi tutto ciò che vede».
«Questa stalla è sufficiente», rispose Elminster con un sorriso. «Sono fuggito dai maghi e dai soldati attraverso le Colline del Corno, fino a qui… e cominciavo a domandarmi se esistesse un luogo libero da quelle carogne».
«Non esiste alcun luogo dove nascondersi dalla magia potente», ribatté Broarn con tono serio. «Perché queste terre non appartengono più agli elfi, bensì agli uomini».
«Credevo che la loro magia fosse più potente di quella degli umani», esclamò stupito El.
«Sì, se unissero le loro forze, ma gli elfi non amano la guerra e trascorrono gran parte del tempo a litigare fra loro. Molti, inoltre, sono… un po’ poltroni, come diremmo noi; pensano di più a divertirsi e meno a lavorare». Il locandiere uscì dalla porta dalla quale era entrato, e tornò con una coperta in mano.
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