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Эд Гринвуд: Elminster: il viaggio

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Эд Гринвуд Elminster: il viaggio

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Era il tempo in cui il magnifico regno elfo di Cormanthor era dominato dai barbari, draghi malefici governavano i cieli e gli abitanti non nutrivano più fiducia in nessuno. Maghi e guerrieri minacciavano i regni poiché mossi dalla loro arrogante e rozza ignoranza anelavano alla gloria. Accadde in quel tempo che, dopo un interminabile viaggio, Elminster giungesse a Cormanthor, alle Torri del Canto, regno di Eltargrim. In quel luogo Elminster visse per più di dodici estati, dedicandosi allo studio della magia, imparando, grazie all'aiuto di una congrega di maghi sapienti, ad avvertire dentro di sé la forza della magia e a farvi ricorso per dominare il male...

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«Al Coronal?», Elminster si sentì eccitato quasi quanto avesse lasciato intendere il tono della sua voce. Effettivamente sarebbe stato bello rivedere Lord Eltargrim. Ciò, tuttavia, non dissipò la strana sensazione che aveva riguardo l’intera faccenda. Chi avrebbe ucciso in realtà?

Il Mascherato vide il disgusto sul volto di El. «Nella casa che colpirai vive un mago, un mago molto potente», aggiunse lentamente. «Tuttavia spero che i miei assistenti affrontino i veri nemici con la stessa efficienza con cui trasformiamo funghi velenosi ed evochiamo la luce nei luoghi oscuri. Il vero mago non si permette mai di essere intimorito dalla magia quando la usa».

Il mago saggio, pensò tra sé Elminster, ricordando le parole di Mystra, finge di non sapere nulla della magia.

E quando raggiungerà la vera saggezza, saprà che non stava fingendo, completò ironicamente «Sei pronto, Elminster?», gli domandò pacato il Maestro. «Sei finalmente pronto a intraprendere una missione importante?»

Mystra? Domandò El silenziosamente. Una visione apparve subito nella sua mente: il Mascherato aveva il dito puntato verso di lui, proprio com’era accaduto un attimo prima, e nella visione El sorrideva e annuiva entusiasta. Era tutto chiaro.

«Sono pronto», esclamò El, sorridendo e annuendo in maniera entusiasta.

La maschera non nascose il lento sorriso che segnò il volto del mago.

L’elfo sollevò le mani e mormorò: «Allora andiamo». Fece un singolo gesto in direzione del principe, e il mondo scomparve in un fumo vorticante.

Quando il fumo si dissipò rendendo nuovamente visibili l’umano e il mago, essi erano in una valle boscosa, situata da qualche parte a Cormanthor, a giudicare dall’aspetto degli alberi e dal sole sopra di loro. Erano in piedi su una collinetta, accanto a un pozzo e, oltre un piccolo avvallamento che racchiudeva un giardino, si ergeva una casa bassa e tortuosa, fatta di alberi uniti da stanze di legno dal tetto spiovente. Se non fosse stato per le finestre ovali visibili nei tronchi d’albero, avrebbe potuto benissimo essere una casa abitata da uomini.

«Colpisci rapidamente», mormorò il mago all’orecchio di Elminster, dopodiché svanì, e al suo posto comparve un orco in pesanti catene. La bestia lo fissava, scongiurandolo con gli occhi, come se tentasse freneticamente di dire qualcosa attraverso lo spesso bavaglio che gli avvolgeva bocca e zanne. Ma tutto ciò che riuscì a emettere fu un debole ma acuto piagnucolio.

Un divoratore di bambini e un saccheggiatore, eh? El serrò le labbra, disgustato da ciò che doveva fare, e toccò l’orco senza esitazione. Il Mascherato lo stava sicuramente osservando.

Sferrò l’incantesimo, e si voltò per stendere la mano verso la casa, e disseminare l’antimagia in ogni sua parte, guidandola con la mente nella cantina più profonda, per interdire anche i sortilegi più potenti.

Il lamento dell’orco divenne un gemito disperato; la luce nei suoi occhi scintillò e si spense, e la bestia piegò le ginocchia e si accasciò pesantemente a terra; El dovette farsi rapidamente da parte per non essere sepolto dalla massa incatenata.

Nelle vicinanze l’aria vibrò, e il principe di Athalantar sollevò lo sguardo in tempo per vedere guerrieri elfi in armatura scintillante, dal collare alto, uscire di corsa da uno squarcio nel vuoto. Nessuno di loro portava elmi, ma tutti agitavano spade sguainate, spade incantate che baluginavano di magia saccheggiatrice. Senza guardare né lui né l’ambiente circostante, si precipitarono sulla casa scardinando finestre e porte. Quando le spade violarono tali barriere e gli elfi fecero irruzione all’interno, il bagliore su armi e armature si spense, e iniziarono a udirsi grida soffocate e tintinnii di spade.

Sentendosi improvvisamente male, El guardò di nuovo l’orco e rimase a bocca aperta, inorridito.

Si gettò in ginocchio e allungò una mano per toccare e accertarsi, e d’un tratto ebbe la sensazione che si aprisse una voragine scura intorno a lui. Le catene si erano afflosciate intorno a una forma esile e slanciata., Una forma fin troppo familiare, penzolante fra le sue braccia. Gli occhi di Nacacia, ancora spalancati nella loro supplica triste e vana, lo fissavano, scuri e vuoti. Ora sarebbero rimasti tali per sempre.

El toccò tremante il bavaglio crudele che le chiudeva ancora la bocca delicata, e non poté trattenere un secondo di più le lacrime. Non vide mai il fumo turbinante impossessarsi nuovamente di lui.

19.

Rabbia a corte

Nei racconti e nelle favole degli uomini la Corte di Cormanthor è descritta come una sala enorme, scintillante di meraviglie incantate, nella quale elfi riccamente vestiti, dalle maniere altezzose e dignitose, fluttuavano tranquillamente avanti e indietro. Ciò accadeva per gran parte del tempo, ma un particolare giorno dell’Anno delle Stelle Eccelse costituì una singolare eccezione.

Antarn il Saggio Da La grande storia della potenza degli arcimaghi faerûniani Pubblicata approssimativamente nell’Anno del Bastone

«Fermi!», urlò il Mascherato, coprendo il mormorio di voci scioccate. «Consegno un criminale alla giustizia!»

«Veramente», affermò qualcuno con tono severo, «se c’è un…»

«Calma, Lady Aelieyeeva» s’intromise una voce grave ma austera che El ben conosceva. «Riprenderemo i nostri affari più tardi. È l’umano che ho nominato armathor del regno; la questione richiede il mio giudizio».

El guardò il trono del Coronal, fluttuante sopra la luminosa Piscina della Rimembranza. Lord Eltargrim si protese, il volto interessato, ed elfi con splendide tuniche si affrettarono a farsi da parte per sgomberare il pavimento liscio come il vetro fra El e il governatore di Cormanthor.

«Riconoscete l’umano, Onorato Signore?», domandò il Mascherato, e la sua voce fredda echeggiò in ogni angolo della vasta Camera della Corte, piombata nel frattempo in un improvviso silenzio.

«Lo riconosco», rispose il Coronal lentamente con una traccia di tristezza nella voce, poi spostò lo sguardo da Elminster all’elfo mascherato, e aggiunse, «ma non riconosco voi».

Il mago si portò una mano alla faccia, lentamente, e rimosse la maschera, come fosse una seconda pelle. El poté finalmente vedere, dopo vent’anni, quel volto di fredda bellezza: un volto che aveva visto già una volta.

«Sono Llombaerth Starym, Portavoce della mia casata», esclamò l’elfo. «Io accuso quest’uomo – il mio apprendista, Elminster Aumar, nominato da voi armathor del regno in questa stanza, vent’anni orsono – di omicidio e tradimento».

«Perché?»

«Onorato Signore, pensai di insegnargli l’incantesimo spegnivita, per metterlo in condizione di difendere Cormanthor e affinché potesse esservi presentato come mago del regno a pieno titolo. Imparatolo, non ha esitato a usarlo per uccidere l’altro mio apprendista – la mezzo sangue che giace ora accanto a lui, ancora nelle catene in cui l’ha imprigionata – e uno dei maggiori maghi del regno: Mythanthar. Ha avvolto la sua abitazione in un’antimagia, cosicché il nostro saggio e vecchio mago non ha potuto evitare le spade dei drow, alleati con l’umano».

« Drow? », esclamarono terrorizzati i cortigiani allineati lungo la sala.

Llombaerth Starym annuì con aria triste. «Gli elfi delle tenebre temono che la creazione di un mythal possa sovvertire i loro piani. Attaccheranno alla fine dell’estate, presumo».

Vi fu un momento di silenzio, poi si levarono in ogni dove voci eccitate; fra le lacrime che stava cercando di trattenere, El vide il Coronal percorrere la sala con lo sguardo e fare alcuni gesti.

Si udì un suono acuto, come di molte code d’arpa toccate all’unisono, e la voce insistente, magicamente amplificata della Messaggera di Corte rotolò nella lunga stanza aperta. «Calma e ordine, signori e signore. Chiedo nuovamente il vostro silenzio».

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