Un ragno della foresta che da un po’ di tempo seguiva cautamente l’elfa, indietreggiò alla vista del lupo. Quella notte forse avrebbe guadagnato due pasti anziché uno.
Il lupo spiccò il balzo.
Symrustar Auglamyr non vide la stella di colore blu-bianco che comparve sopra le sue labbra socchiuse. Non udì il guaito di sorpresa quando essa si riversò nelle fauci del lupo, né la silenziosa disintegrazione dell’animale che seguì.
Pochi peli erano tutto ciò che rimase dell’animale, ed essi si posarono sulle cosce dell’elfa mentre qualcosa di invisibile esclamò: «Povera fiera creatura. La magia ti ha piegata, e la magia ti guarirà».
Un cerchio di stelle si sollevò vorticando dal terreno e avvolse Symrustar in un anello color blu-bianco. Il ragno si ritrasse dalla luce e attese. Luce significava fuoco, e il fuoco significava una morte sfrigolante.
Quando l’anello vorticante svanì e rimase solo la luce lunare, il ragno affamato scese di nuovo dall’albero zampettando rapidamente. La fame fu sopraffatta solo dalla rabbia quando, raggiunte le foglie appiattite dov’era rotolata la preda, si accorse che era svanita. Svanita senza lasciare traccia, e il lupo con lei. Il ragno furioso perlustrò la zona per qualche tempo e poi prese la strada del bosco, sospirando come avrebbe potuto fare un elfo smarrito o un umano.
Gli umani! Gli umani erano grassi, e pieni di sangue e di succhi. Vecchi ricordi si risvegliarono nel ragno, e la bestiola salì con zelo su un albero. Gli umani abitavano in quella direzione, un lungo viaggio e…
La testa del serpente gigante sbucò improvvisamente, le mascelle si chiusero rumorosamente, e il ragno scomparve, senza nemmeno il tempo di accorgersi di aver scelto l’albero sbagliato.
Per alcuni anni Elminster servì come apprendista l’elfo conosciuto solo col nome di «il Mascherato». Nonostante la crudele natura del grande mago e le catene magiche che imprigionavano l’umano, tra maestro e allievo nacque un grande rispetto. Un rispetto che ignorò le differenze tra loro e il tradimento e la battaglia che entrambi sapevano sarebbero giunti.
Antarn il Saggio Da
La grande storia della potenza degli arcimaghi faerûniani Pubblicato approssimativamente nell’Anno del Bastone
Un giorno di primavera, vent’anni dopo la prima stagione che Elminster trascorse al servizio del Mascherato, un simbolo luminoso e dorato emerse nella mente del principe di Athalantar, un simbolo che aveva quasi dimenticato. Tale fatto lo turbò. Mentre esso ruotava lentamente nella sua testa, altre memorie da tempo sepolte si risvegliarono. Mystra , udì pronunciare la sua voce, e uno sguardo si posò su di lui: lo sguardo della dea. El non la vedeva, ma riusciva a percepire il peso solenne della sua attenzione: profonda, calda e terribile, più potente dello sguardo più furioso del Maestro, e più amorevole di… di… Nacacia.
Guardò Nacacia da dove era sospeso nella grande rete incantata, luminosa, che avevano creato insieme quella mattina, e i loro sguardi s’incontrarono. Gli occhi della ragazza erano scuri, liquidi e molto grandi, e quando si posarono su di lui brillarono di desiderio. Senza emettere alcun suono, le sue labbra tremanti pronunciarono il nome di Elminster.
Fu tutto ciò che osò fare. El represse un impellente desiderio di aggredire il mago mascherato, che fluttuava di spalle poco lontano, elaborando incantesimi per conto suo, e le strizzò l’occhio prima di voltare rapidamente la testa. Il Maestro frugava troppo spesso nelle loro menti per potergli nascondere la loro stima reciproca, e spesso faceva sì che Nacacia schiaffeggiasse il suo apprendista umano, o altrimenti si tenesse alla larga da lui, e che se mai gli rivolgesse la parola, lo facesse con toni duri.
Raramente il misterioso mago elfo obbligava Elminster a fare qualcosa. Sembrava piuttosto osservarlo in attesa, e ogni suo atto di sfida veniva punito severamente. Ricordando alcune di quelle punizioni, El rabbrividì involontariamente.
Arrischiò un’altra occhiata a Nacacia, e scoprì che anche la ragazza stava facendo lo stesso. I loro sguardi si incontrarono quasi colpevoli, ed entrambi voltarono gli occhi frettolosamente. El strinse i denti e cominciò a scalare la rete incantata per allontanarsi da lei: qualsiasi cosa pur di muoversi e fare qualcosa.
Mystra, pensò silenziosamente, cercando di scacciare l’immagine vivida del volto sorridente di Nacacia. Oh, Mystra, ho bisogno della tua guida: tutti questi anni di schiavitù sono parte del tuo piano?
Il mondo intorno a lui sembrò scintillare, ed egli si ritrovò improvvisamente su un pascolo roccioso. Era quello sovrastante Heldon, sul quale da ragazzo portava le pecore!
Soffiava la brezza, faceva freddo e – combinazione – era anche nudo.
Sollevando il capo vide la sua maestra di tanti anni prima: Myrjala, conosciuta anche come «Occhi Scuri». Quei grandi occhi sembravano più profondi e più affascinanti che mai mentre, sdraiata nell’aria sopra l’erba verde, lo guardava. Il vento non spostava di un soffio la sua tunica di raso scura.
Myrjala era Mystra. Elminster allungò un braccio verso di lei.
«Grande Signora», sussurrò, «sei davvero tu… dopo tutti questi anni?»
«Naturalmente», rispose la dea, gli occhi due pozzi scuri di promesse. «Perché hai dubitato di me?»
El rabbrividì per la vergogna improvvisa, si inginocchiò, e abbassò gli occhi. «Io… ho sbagliato e… be’, è passato tanto tempo e…»
«Non molto per un elfo», ribatté Mystra dolcemente. «Stai finalmente imparando a pazientare, o sei davvero disperato?»
Elminster la guardò con occhi lucidi, sull’orlo delle lacrime. «No!», gridò. «Tutto ciò di cui avevo bisogno era questo, vederti, e sapere che sto facendo la tua volontà. Io… io ho ancora bisogno della tua guida».
La dea gli sorrise. «Almeno sei consapevole di averne bisogno. Alcuni non lo sono, e si gettano nella vita, devastando tutto ciò che possono raggiungere su Faerûn, ne siano essi consapevoli o no». Sollevò una mano, e il suo sorriso mutò.
«Tuttavia rifletti su ciò che ti dirò, mio carissimo Eletto: molti individui di Faerûn non hanno tale guida, eppure imparano a camminare con le proprie gambe, seguendo le proprie idee nel fiume della vita, e commettendo i propri errori. Tu sei certamente padrone di quest’ultima arte».
Il principe distolse lo sguardo, soffocando di nuovo le lacrime, ma Mystra rise e gli toccò la guancia. Un fuoco incandescente sembrò pervadere il suo corpo.
«Non affliggerti», lo consolò, come una madre col figlio piangente, «poiché stai imparando la pazienza, e la tua vergogna è infondata. Malgrado la paura di esserti dimenticato di me e allontanato dalla tua missione, io mi compiaccio con te».
Heldon si fece scuro e sfumò attorno al volto della donna, che mutò, e divenne quello di Nacacia.
Elminster batté le palpebre, mentre la ragazza gli sorrideva. Era di nuovo nella tela magica. Fece un respiro profondo e tremulo, le sorrise, e continuò a salire. Ma qualsiasi cosa facesse, i suoi pensieri rimanevano fissi sulla collega apprendista, il suo volto sempre chiaro nella mente. Talora si domandava quanto il Maestro potesse vedere di tali scene mentali e che cosa pensasse realmente di loro.
Nacacia. Ah, abbandona i miei pensieri per un attimo, lasciami in pace! Ma no…
La ragazza dagli occhi brillanti era un’orfana mezzo sangue, che una notte aveva fatto la sua entrata nella torre rannicchiata fra le braccia del Mascherato. El sospettò che egli avesse saccheggiato il villaggio in cui viveva.
Un carattere spumeggiante, una natura birichina che il mago cercava di spegnere con incantesimi o trasformazioni in animali più o meno ripugnanti, e un’allegria che permaneva qualsiasi punizione si inventasse l’elfo, Nacacia si era rapidamente trasformata in un’autentica bellezza.
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