Эд Гринвуд - Elminster - il viaggio

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Elminster: il viaggio: краткое содержание, описание и аннотация

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Era il tempo in cui il magnifico regno elfo di Cormanthor era dominato dai barbari, draghi malefici governavano i cieli e gli abitanti non nutrivano più fiducia in nessuno. Maghi e guerrieri minacciavano i regni poiché mossi dalla loro arrogante e rozza ignoranza anelavano alla gloria. Accadde in quel tempo che, dopo un interminabile viaggio, Elminster giungesse a Cormanthor, alle Torri del Canto, regno di Eltargrim. In quel luogo Elminster visse per più di dodici estati, dedicandosi allo studio della magia, imparando, grazie all'aiuto di una congrega di maghi sapienti, ad avvertire dentro di sé la forza della magia e a farvi ricorso per dominare il male...

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Aveva una chioma castana dai riflessi ramati che le ricadeva in una folta cascata fino all’incavo delle ginocchia, e schiena e spalle sorprendentemente muscolose; dal punto in cui si trovava in quel momento, El poteva ammirare la linea profonda e curva della sua colonna vertebrale. I grandi occhi, il sorriso e gli zigomi mostravano la bellezza classica del sangue elfo, e la sua vita era tanto sottile da sembrare finta.

Il Maestro le permetteva di indossare pantaloni e gilè neri da ladro e di tenere i capelli lunghi. Le aveva persino insegnato sortilegi per animarli in modo da farsi accarezzare quando la portava nella sua stanza, e lasciava fuori Elminster, a fluttuare furioso.

La ragazza non gli raccontava mai ciò che accadeva nella stanza del mago, eccetto che il loro Maestro non si toglieva mai la maschera. Una volta, svegliandosi da un incubo, Nacacia farfugliò qualcosa su «tentacoli morbidi e terribili».

Il Mascherato non solo non si toglieva mai la maschera, ma neanche mai dormiva. Per quanto aveva potuto notare El, il Maestro non aveva né amici né parenti, e nessun cormanthoniano si rivolgeva a lui. Trascorreva le sue giornate a elaborare e inventare magie e a insegnare incantesimi ai suoi due apprendisti. Talora li trattava quasi come amici, pur non rivelando mai nulla di sé, talaltra non mancava di far notare loro che erano suoi schiavi, e gran parte delle volte li faceva lavorare come bestie da soma. Effettivamente sembrava che si divertisse a tentare i due apprendisti con la compagnia reciproca, costringendoli, seminudi, a fare lavori sudici e scivolosi di pulizia, o di riordino; ma ogni volta che lui e Nacacia si toccavano, per prestarsi un aiuto innocente o per consolarsi, egli li colpiva con una punizione.

I castighi erano numerosi e vari, ma quello favorito dal Maestro consisteva nel paralizzare il corpo degli apprendisti con incantesimi e porvi sopra sanguisughe acide. Mentre scivolavano sulla pelle, o vi penetravano quasi pigramente, le creature lente e scintillanti secernevano una bava bruciante. Il Mascherato rimediava sempre in tempo ai danni apportati, affinché i suoi schiavetti rimanessero in vita, ma Elminster poté constatare che a Faerûn esistevano poche cose tanto dolorose quanto quella sorta di lumache che si facevano lentamente strada nei polmoni, nello stomaco, o nelle viscere.

In quei venti lunghi anni di apprendimento di complicate magie elfe, El aveva, tuttavia, imparato a rispettare il Maestro. Questi era un meticoloso inventore d’incantesimi, non lasciava mai nulla al caso, prevedeva tutto e non sembrava mai sorpreso; possedeva un istinto naturale per la magia, e riusciva a modificare, a combinare o a improvvisare incantesimi con il minimo sforzo e senza esitazioni. Non dimenticava mai dove metteva le cose, anche le più banali, e manteneva costantemente un controllo ferreo su se stesso, senza mai mostrare stanchezza, solitudine, o il bisogno di confidarsi con qualcuno. Persino le sue sfuriate sembravano calcolate.

Inoltre, anche dopo vent’anni di stretto contatto, Elminster non sapeva chi fosse. Un membro di qualche antica e fiera casata, senza dubbio, e – a giudicare dalle sue vedute – nemmeno tanto vecchio. Il Mascherato proiettava spesso una falsa copia di se stesso, in modo da poter sbrigare faccende altrove e contemporaneamente istruire il suo apprendista.

Dapprima, l’ultimo principe di Athalantar era rimasto sbalordito dai sortilegi potenti che l’anonimo mago elfo gli permetteva di imparare, ma in fin dei conti, perché mai questi avrebbe dovuto preoccuparsi se poteva, con un solo gesto, ridurre all’obbedienza il corpo che aveva dato all’apprendista umano? Elminster sospettava che lui e Nacacia fossero tra i pochi apprendisti di Cormanthor a non lasciare mai la dimora del maestro, e probabilmente gli unici a non avere puro sangue elfo nelle vene; per giunta, non era mai stato insegnato loro come creare il proprio mantello difensivo.

Talora El pensava ai primi giorni tumultuosi trascorsi nel regno, e si domandava se la Srinshee e il Coronal lo credessero morto, o se pensassero mai a lui. Si chiedeva spesso che era stato della giovane Symrustar, che aveva abbandonato nei boschi, impossibilitato a difenderla e a chiamare aiuto. E che fine aveva fatto Mythanthar, col suo sogno di un mythal? Il Maestro li avrebbe certamente informati se tale mantello spettacolare fosse stato già creato, e se la città fosse stata aperta ad altre razze. Ma perché mai avrebbe dovuto riferire notizie del mondo esterno a due apprendisti che teneva praticamente prigionieri?

Recentemente era cessato persino l’attento insegnamento della magia. Il Mascherato si assentava sempre più spesso dalla torre, oppure si rinchiudeva in stanze impenetrabili a scrutare eventi che accadevano altrove. Giorno dopo giorno di quell’ultimo inverno lasciava soli gli apprendisti a sbrigare liste infinite di compiti che apparivano scritte a caratteri infuocati su un muro: lavori di fatica, e la messa a punto di piccoli incantesimi per tener pulita e in ordine la torre del maestro. E tuttavia li controllava: esplorazioni non autorizzate del luogo o un’intimità eccessiva fra loro, scatenavano dal nulla rapidi incantesimi di punizione. Solo una decina di giorni prima Nacacia aveva sfiorato la spalla di Elminster con un bacio mentre passava, e una frusta invisibile l’aveva colpita sulle labbra e sulla faccia, malgrado i tentativi frenetici del principe di scacciarla mentre la ragazza indietreggiava gridando. Il mattino seguente si era svegliata completamente guarita, ma con una fila di spine pungenti attorno alla bocca, che avrebbero impedito qualsiasi bacio, e che scomparvero solo dopo una settimana.

In quei giorni, quando il Mago Mascherato faceva una delle sue rare apparizioni nelle stanze dei due apprendisti, era per un aiuto magico; solitamente si trattava di impiegare parte delle loro energie vitali per un incantesimo arcano che l’elfo stava sperimentando, o per creare una rete magica.

Una rete come quella a cui stavano lavorando in quel momento. Erano costruzioni incredibili, costituite da linee di forza luminose, sulle quali si poteva camminare come su un’ampia trave di legno, anche capovolti o fortemente inclinati. Nel tessuto di tali reti o gabbie potevano essere inclusi molti incantesimi, in punti particolari e per ragioni specifiche, cosicché il collasso della struttura avrebbe scatenato un incantesimo dopo l’altro, in un ordine ben preciso.

Il Maestro rivelava raramente tutte le magie disposte in una rete prima che il suo innesco ne rivelasse la vera natura, e non aveva mai insegnato agli apprendisti come iniziarne una. El e Nacacia non conoscevano nemmeno lo scopo primario, o il bersaglio, della maggior parte delle reti a cui lavoravano, e il principe sospettava che il Mascherato si avvalesse dell’aiuto dei due apprendisti ignoranti semplicemente per rimanere nascosto, cosicché gli incantesimi che colpivano un rivale distante non avrebbero recato tracce dell’autore.

In quel momento l’elfo si voltò, gli occhi fiammeggianti dietro la maschera che non abbandonava mai. «Elminster, vieni qui», gli ordinò freddo, indicando con un dito un punto particolare della rete. «Dobbiamo tessere insieme un incantesimo mortale».

18.

Nella rete

Arriva sempre il giorno in cui, persino il più paziente ed esigente dei traditori diventa impaziente e svela il suo tradimento. Da allora in avanti deve affrontare il mondo com’è in realtà, con le sue reazioni, non come lo vede o desidera che sia nelle sue trame e nei suoi sogni. È a questo punto che molti tradimenti falliscono.

Il mago noto come il Mascherato non era, tuttavia, un traditore ordinario, se mai si riesca a concepire un «traditore ordinario». Lo storico di Cormanthor vi è riuscito, e, andando indietro nel tempo, ha identificato molti tradimenti ordinari, dei quali però quello in questione non fa parte, essendo degno di una triste ballata di morte.

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