Ursula Le Guin - L’isola del drago

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L’Arcipelago di Earthsea è una terra lontana dove la magia è ancora potente e capace di sottili e misteriosi incantesimi che legano (o separano) gli esseri umani e dove, talvolta, giungono i draghi per ricordare a tutti che, nella notte dei tempi, non c’era distinzione tra uomo e drago. E a Gont, una delle isole di Earthsea, vive Tenar, una donna che pur essendo stata l’allieva prediletta del potente Arcimago Ogion, ha sorprendentemente rinunciato ai Poteri della magia per condurre una vita tranquilla accanto all’uomo che ama. Ma quel destino che Tenar ha rifiutato non ha mai cessato di albergare nei ricordi, nei pensieri e nei gesti della donna, e ora ritorna a lei sotto forme diverse e inquietanti: una bambina martoriata nel corpo e nello spirito (ma dotata di immani capacità soprannaturali), un vecchio amico che ha smarrito i Poteri dopo un viaggio nella terra delle Tenebre, l’antico maestro che la chiama per confidarle un segreto che solo lei può comprendere. Tornare sul sentiero che pensava abbandonato per sempre non sarà facile per Tenar, eppure solo lei conosce quel luogo dove — fra streghe, draghi, premonizioni e sortilegi — si deciderà l’esito della lotta tra il giovane e coraggioso re di Gont e le forze delle Tenebre che hanno scagliato contro l’isola una maledizione letale…

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Tenar si avvolse sulle dita un po’ del filo che aveva filato, per provarne la resistenza. «Ogion mi chiese di istruirla. ‘Insegnale tutto’, mi disse, e poi: ‘Non Roke’. Ma non so che cosa intendesse dire.»

Faggio, invece, non ebbe difficoltà a capirlo. «Intendeva dire che gli insegnamenti di Roke, le Grandi Arti, non sono adatte a una ragazza», spiegò. «Tanto meno a una così menomata. Ma se ha detto di insegnarle tutto, tranne quello, è evidente che anche lui la vedeva bene nella professione di guaritrice.» Rifletté di nuovo, questa volta con più vivacità, perché aveva dalla sua il peso dell’opinione di Ogion. «Tra un anno o due, quando sarà sufficientemente robusta, e sarà cresciuta un po’ di più, potresti chiedere a Edera di insegnarle qualcosa. Non troppo, comunque, neanche di quel genere di conoscenze, finché non avrà il suo nome vero.»

Tenar, inspiegabilmente, provò subito una forte avversione per quel suggerimento. Non disse niente, ma Faggio non era privo di sensibilità per quelle cose. «Edera è piuttosto arcigna», disse, «ma quel che sa, lo fa onestamente. E questo non si può dire di tutte le streghe. Debole come la magia delle donne, perfido come la magia delle donne , come si dice. Ma ho conosciuto streghe con veri Poteri di guarigione. L’arte della guarigione si adatta bene a una donna. Le viene naturale. E la ragazzina potrebbe sentirsi attirata da quel lavoro, dopo quello che ha subito.»

Le sue premure, decise Tenar, erano innocenti.

Lo ringraziò e gli disse che avrebbe riflettuto sulle sue parole. E così fece.

Entro la fine del mese, gli abitanti dei villaggi della Valle di Mezzo si incontrarono alle Stalle Rotonde di Sodeva per nominare le loro guardie di polizia e i loro giudici di pace, e fissarono una tassa con cui pagare le guardie. Erano gli ordini del re, giunti ai sindaci e agli anziani di tutti i villaggi, e subito messi in pratica, perché sulle strade i vagabondi e i ladri erano più numerosi che mai, e contadini e abitanti dei villaggi erano ansiosi di riavere l’ordine e la sicurezza. Corsero varie voci sgradevoli, come quella che Lord Heno aveva costituito un suo Consiglio dei Malfattori e arruolava tutti i banditi della zona perché formassero squadracce che andavano in giro a spaccare la testa alle guardie del re; ma molta gente si limitò a commentare: «Hanno solo da provarci!» e, tornando a casa, diceva che finalmente un onest’uomo poteva dormire tranquillo, la notte, e che il re aveva cominciato a mettere a posto tutto quel che si era guastato negli anni precedenti, anche se le sue tasse erano assurde, e tutti si sarebbero ritrovati nell’indigenza, dopo averle pagate.

Tenar fu lieta di sentire da Lodola tutto questo, ma non le prestò molta attenzione. Lavorava duramente, e, da quando era ritornata a casa, aveva deciso, senza pensarci espressamente, di non farsi dominare, né di lasciar dominare la vita di Therru, dal timore di Faina o di gente della stessa risma. Non poteva tenere con sé la bambina ogni momento, ricordandole costantemente ciò che, con il suo ricordo, le avrebbe impedito di vivere. Per crescere bene, la bambina doveva essere libera, e sapere di esserlo.

Therru aveva gradualmente perso i timori e aveva ripreso a muoversi da sola nella fattoria, nelle strade vicine, e anche nel villaggio, e Tenar non le diceva più di fare attenzione, anche quando le costava un vero sforzo non farlo. Nella fattoria, la bambina era al sicuro, e anche al villaggio, dove nessuno le avrebbe fatto del male: questo doveva essere un punto fermo, e in effetti Tenar non lo mise quasi mai in discussione. Con lei, Prunella e Rivochiaro nella fattoria, Sis e Tiff nella dipendenza, e con la famiglia di Lodola nel villaggio, nel dolce autunno della Valle di Mezzo, che pencoli potevano esserci per la bambina?

Avrebbe anche preso un cane, non appena ne avesse trovato uno della razza da lei voluta: uno dei cani da pastore di Gont, grossi e grigi, con la testa ricciuta e lo sguardo intelligente.

Di tanto in tanto pensava, come a Re Albi: «Devo cominciare a istruire la bambina! Ogion me l’ha ordinato». Ma, chissà come, la bambina finiva per imparare unicamente i lavori agricoli, e le storie, la sera, quando i giorni si accorciarono e tutti presero l’abitudine di sedere davanti al fuoco, dopo cena, prima di andare a dormire. Forse Faggio aveva ragione, e Therru doveva essere mandata da una strega per imparare le conoscenze delle streghe. Sempre meglio che mandarla come apprendista da un tessitore, cosa che Tenar aveva pensato di fare. Ma non molto meglio. E Therru non era ancora cresciuta; ed era molto ignorante per la sua età, perché non le avevano insegnato niente, prima del suo arrivo alla Fattoria delle Querce. Allora, era come un piccolo animale: conosceva a malapena la lingua degli uomini e non sapeva svolgere alcuna attività. Imparava in fretta ed era assai più obbediente e diligente delle figlie di Lodola, che non avevano alcun ritegno, nonché dei suoi figli, ridanciani e scansafatiche. Sapeva servire in tavola, pulire e filare, conosceva un po’ di cucina e di cucito, era in grado di badare alle galline, di dare da mangiare alle mucche ed era brava a fare il burro e il formaggio. Una perfetta massaia di campagna, la definiva il vecchio Tiff, nei momenti di bassa adulazione, ma Tenar l’aveva visto fare di nascosto gli scongiuri, quando Therru gli passava davanti. Come tanta gente, Tiff credeva che una persona fosse quello che le succedeva. I ricchi e i forti possedevano delle virtù; una persona, invece, cui era stato fatto un torto doveva essere cattiva, e poteva giustamente essere punita.

Perciò, non sarebbe servito a molto che Therru diventasse la più abile massaia dell’intera Isola di Gont: neppure la prosperità poteva nascondere il marchio di quel che le era stato fatto. Così, Faggio aveva pensato che potesse fare la strega: professione che le avrebbe permesso di accettare e di sfruttare quel marchio. Era questo, ciò che Ogion aveva voluto farle capire, quando aveva detto: «Impareranno a temerla»? Niente di più?

Un giorno, quando il caso, da lei aiutato, le portò a incontrarsi nella strada del villaggio, Tenar disse a Edera: «Posso farvi una domanda, signora Edera? Una cosa che riguarda la vostra professione».

La strega la guardò. Aveva uno sguardo raggelante.

«La mia professione?»

Tenar annui, gravemente.

«Venite, allora», disse la strega alzando le spalle e avviandosi verso la sua casetta.

Non era un nido d’infamia e di galline, come quella di Muschio, ma era pur sempre la casa di una strega, con le erbe appese a seccare alle travi del soffitto, il fuoco coperto dalla cenere grigia, con un unico, minuscolo carbone che ammiccava come un occhio rosso, un gatto piccolo e obeso, nero con una macchia bianca sul muso, che dormiva acciambellato su uno scaffale, e dappertutto una confusione di scatolette, vasi, brocche, piatti e bottigliette ben tappate, tutte con odori aromatici, pungenti, o dolci, o strani.

«Che cosa posso fare per voi, signora Goha?» chiese Edera, in tono molto secco, quando furono all’interno.

«Ditemi, sempre che non abbiate niente in contrario, se vi pare che la mia protetta, Therru, abbia il dono della vostra arte… se ha qualche Potere.»

«La bambina? Naturalmente, sì!» esclamò la strega.

Tenar rimase un po’ confusa dalla risposta pronta e sprezzante della strega. «Bene», osservò. «Mi sembra che anche Faggio fosse della stessa opinione.»

«Lo vedrebbe anche un pipistrello cieco in una caverna», disse Edera. «C’è altro?»

«Sì. Vorrei un consiglio da voi. Quando avrò fatto la domanda, mi direte il prezzo della risposta. D’accordo?»

«D’accordo.»

«Dovrò mandare Therru da una strega come apprendista, quando sarà più grande?»

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