Grenouille fece un cenno. Allora la felicità di Richis eruppe da tutti i pori, ed egli, rosso e sudato in volto, si chinò su Grenouille e lo baciò sulla bocca.
«Dormi, ora, mio caro figliolo!» disse rialzandosi. «Io veglierò accanto a te finché ti addormenterai.» E dopo averlo contemplato a lungo con muta beatitudine, aggiunse: «Tu mi rendi molto, molto felice».
Grenouille piegò lievemente gli angoli della bocca, come aveva imparato a fare osservando la gente che sorride. Poi chiuse gli occhi. Attese un momento per rendere il suo respiro più regolare e più profondo, come quello di chi dorme. Sentiva lo sguardo amorevole di Richis sul proprio viso. A un tratto sentì che Richis si chinava ancora una volta su di lui per baciarlo, e poi si tratteneva per timore di svegliarlo. Infine la candela fu spenta con un soffio, e Richis scivolò in punta di piedi fuori della stanza.
Grenouille rimase a letto finché non udì più alcun rumore né in casa né in città. Quando si alzò, era già l’alba. Si rivestì e si allontanò senza far rumore per il vestibolo, scese piano piano la scala e attraverso il salotto uscì sulla terrazza.
Da lì c’era una vista fin oltre le mura della città, oltre la conca del territorio di Grasse, e quando era limpido anche fino al mare. In quel momento una nebbia rada, quasi una foschia, era sospesa sui campi, e i profumi che arrivavano da quella parte, d’erba, di ginestre e di rose, erano come lavati, puri, elementari, semplici e confortanti.
Risalendo il Cours dovette farsi strada ancora una volta tra le esalazioni umane, prima di raggiungere l’aperta campagna. Tutta la piazza e i pendii circostanti sembravano un immenso accampamento militare devastato. Tutt’attorno erano stese a terra migliaia di persone ubriache, sfinite dagli eccessi della festa notturna, molte nude, molte seminude e semicoperte da vestiti, sotto i quali erano scivolate come sotto una coltre. C’era un puzzo di vino acido, di acquavite, di sudore e di orina, di escrementi di bambini e di carne alla brace. Qua e là fumavano ancora i resti dei fuochi sui quali avevano cucinato a attorno ai quali avevano bevuto e ballato. Di tanto in tanto, tra il russare continuo e generale, si sentiva gorgogliare un balbettio o uno scoppio di risa. Forse qualcuno era ancora sveglio, e si beveva il cervello con gli ultimi brandelli di coscienza. Ma nessuno vide Grenouille, che passava al di sopra dei corpi sparpagliati, cauto e veloce a un tempo, come attraverso una palude. Non emanava più odore. Il miracolo aveva avuto fine.
Giunto alla fine del Cours, non imboccò la strada di Grenoble né quella di Cabris, ma si diresse a ovest attraverso i campi, senza guardare indietro neppure una volta. Quando si levò il sole, grande e giallo e infuocato, Grenouille era sparito da tempo.
Gli abitanti di Grasse si svegliarono con un terribile mal di testa. Anche coloro che non avevano bevuto avevano la testa pesante come piombo e stavano malissimo di stomaco e di spirito. Sul Cours, in piena luce solare, onesti contadini cercavano gli abiti che avevano gettato lontano da sé negli eccessi dell’orgia, donne morigerate cercavano i loro mariti e figli, persone del tutto estranee fra loro si staccavano orripilate da abbracci più che intimi, conoscenti, vicini, coniugi d’un tratto si trovavano l’uno di fronte all’altro in una nudità estremamente penosa, davanti agli occhi di tutti.
Per molti quest’esperienza fu così atroce, così totalmente inspiegabile e inconciliabile con le loro vere concezioni morali, che nello stesso istante in cui ebbe luogo la cancellazione dalla memoria, e di conseguenza anche in seguito, non riuscirono davvero più a ricordarla. Altri, che non dominavano così sovranamente il loro apparato percettivo, tentavano di non guardare, di non ascoltare e di non pensare… cosa non del tutto semplice, perché la vergogna era stata troppo evidente e troppo generale. Chi aveva trovato i suoi averi e i suoi congiunti si allontanò il più rapidamente possibile senza dar nell’occhio. Verso mezzogiorno la piazza era vuota come se avessero spazzato via tutto.
In città la gente uscì di casa, se uscì, solo verso sera, per sbrigare le commissioni più urgenti. Tutti si salutavano appena, incontrandosi, parlavano soltanto di cose senza importanza. Non una sola parola fu detta sugli avvenimenti del giorno e della notte precedenti. Tanto erano apparsi disinibiti e vivaci il giorno prima, altrettato timidi erano adesso. E tutti erano così, perché tutti erano colpevoli. Mai ci fu accordo tra i cittadini di Grasse come in quel momento. Si viveva come nell’ovatta.
Naturalmente alcuni, a causa del proprio lavoro, dovettero occuparsi più direttamente di ciò che era accaduto. La continuità della vita pubblica, l’irremovibilità della giustizia e dell’ordine richiedevano rapide misure. Quel pomeriggio stesso si riunì il Consiglio municipale. I membri, tra i quali anche il secondo console, si abbracciarono in silenzio, come se con quel gesto da congiurati fosse possibile ricostituire il Consiglio. Quindi, una anima, senza neppure far menzione degli avvenimenti e meno che mai del nome di Grenouille, decisero di «far sgombrare senza indugio la tribuna e il patibolo dal Cours, e di far riportare all’ordine precedente la piazza e i campi circostanti devastati». A tale scopo furono stanziate centosessanta lire.
Contemporaneamente la corte si riunì nella Prévôté. Senza alcun dibattito, la magistratura convenne di considerare risolto il «caso G.», di chiudere la pratica e di archiviarla senza registrarla, aprendo un nuovo procedimento contro l’assassino, ancora sconosciuto, di venticinque vergini nel distretto di Grasse. Al tenente di polizia fu impartito l’ordine di riprendere subito le indagini.
L’assassino fu trovato già il giorno dopo. In base a indizi inequivocabili, arrestarono Dominique Druot, maître parfumeur in Rue de la Louve, nella cui capanna dopo tutto erano stati rinvenuti gli abiti e i capelli di tutte le vittime. I giudici non si lasciarono sviare dai suoi dinieghi iniziali. Dopo quattordici ore di tortura, Druot confessò tutto, e implorò addirittura di essere giustiziato il più presto possibile, cosa che gli fu accordata già il giorno seguente. Lo impicciarono alle prime luci dell’alba, senza scalpore, senza patibolo né tribune, unicamente alla presenza del boia, di alcuni membri della magistratura, di un medico e di un sacerdote. Quando subentrò la morte, dopo averla constatata e messa regolarmente a verbale, seppellirono subito il cadavere. Con ciò il caso fu risolto.
Comunque la città l’aveva già dimenticato, e così totalmente che i viaggiatori che giunsero nei giorni seguenti e s’informarono casualmente del famigerato assassino delle fanciulle di Grasse non trovarono una sola persona ragionevole che fosse in grado di dar loro informazioni. Solo alcuni ospiti della Charité, ben noti malati mentali, balbettarono ancora qualcosa a proposito di una grande festa sulla Place du Cours, a causa della quale erano stati costretti a sgombrare le camere.
E ben presto la vita si normalizzò del tutto. La gente lavorava con impegno e dormiva tranquilla e badava ai propri affari e si comportava bene. L’acqua traboccava come sempre dalle varie sorgenti e fontane e trascinava il fango per i vicoli. La città si ergeva sempre, logora e fiera, sulle alture al di sopra della fertile conca. Il sole splendeva caldo. Presto giunse maggio. Ci fu la raccolta delle rose.
Grenouille camminava di notte. Come all’inizio del suo viaggio, evitava le città, evitava le strade, si fermava a dormire sul far del giorno, si alzava la sera e proseguiva. Mangiava quello che trovava per via: erbe, funghi, fiori, uccelli morti, vermi. Attraversò la Provenza, passò dall’altra parte del Rodano su una barca rubata a sud di Orange, seguì il corso dell’Ardèche fin nel cuore delle Cevenne e poi l’Allier verso nord.
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