Mormorio, mormorio.
«Questo è, ehm, altamente irregolare. Benissimo, andremo direttamente alla, ehm, Recitazione del Lignaggio.»
Mormorio, mormorio.
L’Alto Sacerdote guardò Bentagliato con atteggiamento truce, o almeno nel punto in cui credeva si trovasse Bentagliato.
«Oh, d’accordo. Ehm, prepara l’incenso e le fragranze odorose per l’Assoluzione del Sentiero-Avvolto-Quattro-Volte.»
Mormorio, mormorio.
Il volto dell’Alto Sacerdote si rabbuiò.
«Suppongo che… ehm… una breve preghiera, ehm, sia completamente fuori discussione» disse in tono acido.
«Se certa gente non si sbrigherà» intervenne Keli in modo contegnoso «ci saranno dei bei guai.»
Mormorio.
«Non so se ho capito bene» replicò l’Alto Sacerdote. «Determinate persone potrebbero non avere alcun interesse nella cerimonia religiosa in sé. Andate a prendere quel dannato elefante, allora.»
Il novizio gettò a Bentagliato uno sguardo frenetico e fece un cenno alle guardie. Mentre esse spingevano in avanti il loro affidato che ondeggiava delicatamente, pungolandolo con lance e bastoni appuntiti, il giovane sacerdote si avvicinò a Bentagliato e gli infilò qualcosa in mano.
Egli abbassò lo sguardo. Era un cappello impermeabile.
«È necessario?»
«Lui è molto devoto» disse il novizio. «Potremmo avere bisogno di un respiratore.»
L’elefante raggiunse l’altare e venne costretto, senza eccessiva difficoltà, ad inginocchiarsi. Aveva il singhiozzo.
«Bene, dov’è, allora?» domandò seccamente l’Alto Sacerdote. «Vediamo di portare a termine questa farsa !»
Il novizio gli mormorò qualcosa. L’Alto Sacerdote lo stette ad ascoltare, annuì gravemente, prese il coltello sacrificale dalla bianca impugnatura e lo sollevò a due mani al di sopra della propria testa. L’intera sala lo guardava, trattenendo il respiro. Quindi egli lo abbassò di nuovo.
«Davanti a me dove ?»
Mormorio.
«Non ho certo bisogno del tuo aiuto, ragazzo mio! Ho sacrificato uomini e bambini… e, ehm, donne e animali… per settant’anni e se non so usare il, ehm, il coltello, puoi mettermi a letto con una pala!»
Abbassò la lama con una selvaggia sferzata che, per pura fortuna, provocò all’elefante una leggera ferita superficiale sulla proboscide.
La creatura si risvegliò dal suo gradevole e riflessivo instupidimento e barrì. Il novizio si voltò in preda al terrore per guardare due piccoli occhi iniettati di sangue che lo fissavano passando per tutta la lunghezza della proboscide oltraggiata e superò l’altare con un balzo a piè pari.
L’elefante era furioso. Vaghe e confuse rimembranze di fuochi e di grida di uomini con reti, di gabbie e lance, e dei troppi anni in cui aveva trascinato pesanti tronchi d’albero gli fluivano nella testa indolenzita. Abbassò la proboscide sull’altare di pietra e, anche con sua grande sorpresa, lo spezzò in due, sollevando in aria le due parti con le zanne; cercò di sradicare un pilastro senza successo e poi, sentendo l’improvviso bisogno di una boccata di aria fresca, cominciò a caricare, in maniera un po’ artritica, lungo tutta la sala.
Colpì la porta a capofitto, col sangue che gli pulsava per il richiamo della foresta e lo stimolo dell’alcool, e la strappò via dai cardini. Portandosene ancora lo stipite sulle spalle, sbandò attraversando il cortile, abbatté i cancelli esterni, ruttò, tuonò attraverso la città dormiente e stava ancora leggermente accelerando quando annusò il distante continente nero di Klatch nella brezza notturna e, a coda sollevata, seguì l’antico richiamo di casa.
Intanto, nella sala, regnavano grida, polvere e gran confusione. Bentagliato sollevò il cappello dagli occhi e si alzò mettendosi carponi.
«Grazie tante» disse Keli che era rimasta schiacciata sotto di lui. «Perché mai mi saresti balzato addosso?»
«Il mio primo istinto è stato quello di proteggerti, Maestà.»
«Sì, di istinto può anche essersi trattato ma…» Lei stava per cominciare a dire che forse l’elefante sarebbe stato meno pesante ma la vista del grosso, serio e alquanto rosso volto di lui glielo impedì.
«Di questo parleremo più tardi» disse la ragazza, sollevandosi a sedere e spazzolandosi via la polvere di dosso. «Nel frattempo, penso che faremo a meno del sacrificio. Non sono ancora vostra Maestà, soltanto sua Altezza e se qualcuno volesse andare a prendere la corona…»
Si udì lo scatto di una sicura dietro di loro.
«Il mago metterà le mani dove io possa vederle bene» disse il duca.
Bentagliato si alzò lentamente e si voltò. Il duca era spalleggiato da una mezza dozzina di uomini estremamente grossi e seri, del tipo di quelli la cui unica funzione nella vita è di apparire dietro le spalle di persone come il duca. Avevano una dozzina di balestre grosse e serie, il cui scopo principale era quello di sembrare sul punto di scattare.
La principessa balzò in piedi e si lanciò verso suo zio ma Bentagliato la fermò.
«No» disse lui pacatamente. «Questo non è il genere di uomo che ti lega in una cella lasciando il tempo necessario ai topi per rosicchiare le corde prima che si alzi la marea. Questo è il tipo d’uomo che ti ammazza su due piedi.»
Il duca fece un inchino.
«Penso che possa venire asserito con certezza che abbiano parlato gli dei» disse. «È chiaro che la principessa è stata tragicamente travolta dal rude elefante. Il popolo rimarrà sconvolto. Io per primo proclamerò una settimana di lutto cittadino.»
«Non puoi farlo, tutti gli ospiti hanno visto…!» cominciò a dire la principessa sul punto di scoppiare a piangere.
Bentagliato scosse la testa. Poteva vedere le guardie avanzare attraverso una folla di ospiti sconcertati.
«Non hanno visto niente» riprese lui. «Rimarresti sconvolta nel sapere tutto quello che non hanno mai visto. Soprattutto quando scopriranno quanto può essere contagioso venire tragicamente travolti a morte da un rude elefante. Puoi morirne perfino nel tuo letto.»
Il duca rise con atteggiamento compiaciuto.
«Sei davvero abbastanza intelligente per essere un mago» disse. «Adesso, sto soltanto proponendo un esilio…»
«Non riuscirai a farla franca» disse Bentagliato. Ci ripensò per un istante, quindi aggiunse: «Be’, forse la farai anche franca, ma ti arrecherà gravi dolori sul letto di morte e desidererai aver…»
Smise di parlare. Rimase a bocca aperta.
Il duca si voltò parzialmente per seguire il suo sguardo.
«Ebbene, mago? Che cosa hai visto?»
«Non riuscirai a farla franca» disse Bentagliato in tono isterico. «Non sarai nemmeno qui. Tutto questo non sarà mai accaduto, capisci?»
«Guardate le sue mani» disse il duca. «Se muove anche solo un dito, colpiteli entrambi.»
Si voltò ancora, sconcertato. Il mago era sembrato sincero. Era vero che si diceva che i maghi potevano vedere cose che non c’erano…
«Non importerà nemmeno se mi ucciderai» aggiunse Bentagliato «perché tanto domani mattina mi alzerò nel mio letto e questo non sarà mai successo comunque. Sta arrivando attraverso la parete!»
La notte rotolava in avanti percorrendo il Disco. Era sempre lì, ovviamente, nascosta nelle ombre, nelle tane e nelle cantine, ma quando la lenta luce del giorno veniva trascinata via dal sole, le pozze ed i laghi di notte si diffondevano, si incontravano e si amalgamavano.
La luce del Mondo Disco si muove lentamente a causa dell’imponente campo magico. La luce del Mondo Disco non è come la luce degli altri posti. È un po’ invecchiata, è stata in giro per tanto tempo, non sente il bisogno di correre sempre da ogni parte. Sa che per quanto velocemente si sposti, l’oscurità arriva sempre prima e così se la prende comoda.
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