Morty sollevò la testa gocciolante e guardò verso l’orizzonte al tramonto, cercando di ricordare il grosso modellino del Disco che si trovava nello studio della Morte senza lasciare che l’universo si accorgesse di che cosa avesse in mente in realtà.
In momenti come quelli può sembrare che l’eventualità si trovi in un equilibrio tanto precario che soltanto un pensiero troppo vivo possa distruggere tutto.
Si orientò sfruttando le deboli correnti di Luce del Centro che danzavano contro le stelle e gli sovvenne il corretto pensiero che Sto Lat era… dall’altra parte…
«Mezzanotte» disse a voce alta.
«Mezzanotte passata, adesso» aggiunse Ysabell.
Morty si alzò in piedi cercando di far sì che la sua felicità non trasparisse da lui come un raggio e si aggrappò ai finimenti di Binky.
«Forza» disse. «Non abbiamo molto tempo.»
«Di che stai parlando?»
Morty allungò una mano per farla salire dietro di sé. Era una idea gentile, ma significò quasi farlo cadere dalla sella. Lei lo respinse delicatamente indietro e montò su per conto proprio. Binky scartò di lato, avvertendo la febbrile eccitazione di Morty, nitrì e batté la sabbia con gli zoccoli.
«Ti avevo chiesto di che cosa stessi parlando.»
Morty voltò il cavallo per fargli fronteggiare il distante bagliore del tramonto.
«Alla velocità della notte» disse.
Bentagliato sporse la testa al di sopra dei bastioni del palazzo e gemette. L’interfaccia si trovava alla distanza di una singola strada, chiaramente visibile nell’ottarino, e lui non si doveva immaginare lo sfrigolio. Poteva sentirlo… un ronzio odioso, simile ai denti di una sega, mentre le particelle sparse di possibilità colpivano l’interfaccia e le trasmettevano la loro energia sotto forma di rumore. Mentre macinava il proprio cammino lungo la strada, la parete perlacea inghiottiva i dipinti, le torce e la gente in attesa, lasciando soltanto strade oscure. "Da qualche parte, là fuori" pensò Bentagliato "devo essere profondamente addormentato nel mio letto e nulla di tutto ciò è mai accaduto. Fortunato me."
Scese, appoggiò la scala sull’acciottolato e si affrettò verso la sala principale con la tunica che gli svolazzava attorno alle caviglie. Entrò attraverso il piccolo accesso secondario nella immensa porta e ordinò alle guardie di chiuderla a chiave, sollevò quindi le sottane e marciò a passo veloce attraverso il corridoio laterale così che gli ospiti non potessero notarlo.
La sala era illuminata dalla luce di migliaia di candele e affollata con i dignitari di Sto Lat, quasi tutti alquanto incerti del perché si trovassero lì. E, ovviamente, c’era anche l’elefante.
Era stato proprio l’elefante a convincere Bentagliato di essere ormai deragliato dai binari della sanità mentale, tuttavia, qualche ora prima, gli era sembrata un’ottima idea, quando cioè la sua disperazione rispetto alla scarsissima vista dell’Alto Sacerdote gli aveva fatto ricordare che un taglialegna al limitare della città possedeva la suddetta bestia per il trasporto dei pesi più imponenti. L’elefante era un po’ vecchio, artritico e aveva un carattere instabile, tuttavia come vittima sacrificale offriva un notevole vantaggio. L’Alto Sacerdote sarebbe stato in grado di vederlo.
Una mezza dozzina di guardie stava cercando con grande cautela di tener fermo l’animale, nel lento cervello del quale aveva cominciato ad albeggiare il pensiero che si sarebbe dovuto trovare nella sua familiare stalla, con un sacco di fieno, acqua e tempo per sognare i cocenti giorni nelle grandi pianure color terra bruciata di Klatch. Si stava facendo irrequieto.
Presto risulterà chiaro che un altro motivo per la sua crescente vivacità era dato dal fatto che, nella generale confusione precedente alla cerimonia, la sua lunga proboscide aveva trovato il calice cerimoniale contenente cinque litri di vino robusto e aveva scolato il tutto. Strane e calorose immagini stavano cominciando a ribollirgli davanti agli occhi incispati riguardanti baobab sradicati, lotte per l’accoppiamento con altri maschi, gloriose incursioni attraverso villaggi indigeni e altre piacevolezze mezzo ricordate. Presto avrebbe cominciato a vedere persone rosa.
Fortunatamente tutto questo era completamente ignoto a Bentagliato il quale colse lo sguardo dell’assistente dell’Alto Sacerdote… un giovanotto di belle speranze che aveva avuto la preveggenza di fornirsi di un lungo grembiule di tela cerata e di stivaloni impermeabili… e gli segnalò che la cerimonia sarebbe dovuta iniziare.
Egli sfrecciò nella stanza della vestizione dei sacerdoti e si dimenò per infilarsi nella speciale tunica da cerimonia che la sarta del palazzo aveva cucito per lui, dandoci dentro con pizzi, lustrini e fili dorati per confezionare un abito di tale abbacinante cattivo gusto che perfino l’Arcicancelliere dell’Università Invisibile non si sarebbe vergognato di indossare. Bentagliato si concesse cinque secondi per ammirarsi nello specchio prima di calzarsi in testa il cappello a punta e di ritornare correndo alla porta, fermandosi appena in tempo per emergere a passo tranquillo come si confaceva ad una persona di rango.
Raggiunse l’Alto Sacerdote mentre Keli iniziava la sua avanzata lungo il corridoio centrale, affiancata da ancelle che si accalcavano dietro a lei come rimorchiatori attorno ad una nave di linea.
Nonostante gli inconvenienti dell’abito ereditario, Bentagliato pensò che lei sembrava bellissima. C’era qualcosa in lei che lo…
Digrignò i denti e cercò di concentrarsi sulle disposizioni di sicurezza. Aveva sistemato delle guardie in diversi punti cardine della sala, nel caso in cui il Duca di Sto Helit avesse cercato di realizzare all’ultimo momento un rimaneggiamento della successione reale, e si ricordò di tenere personalmente sott’occhio il duca stesso, che si trovava seduto in prima fila sfoggiando uno strano e pacato sorriso sul volto. Il duca colse lo sguardo di Bentagliato e il mago, prontamente, distolse il proprio.
L’Alto Sacerdote sollevò le mani per ottenere silenzio. Bentagliato gli scivolò accanto mentre il vecchio si voltava in direzione del Centro e con voce gracchiante cominciava l’invocazione agli dei.
Bentagliato lasciò che i propri occhi tornassero fugacemente sul duca.
«Ascoltatemi, ehm, o dei…»
Sto Helit non stava forse guardando in alto nell’oscurità del sottotetto infestata di pipistrelli?
«…ascoltami, o Cieco Io dei Cento Occhi; ascoltami o Grande Offler dalla Bocca Piena di Uccelli; ascoltami, o Pietoso Fato; ascoltami o Freddo, ehm, destino; ascoltami, o Sek dalle Sette Mani; ascoltami, o Hoki dei Boschi; ascoltami, o…»
Sgomento dall’orrore, Bentagliato si rese conto che quel vecchio pazzo scatenato, contro tutte le istruzioni, stava per menzionare l’intera serie. C’erano più di novecento dei conosciuti sul Disco e ricercatori teologici ne stavano scoprendo ogni anno qualcuno in più. Potevano volerci ore. La congregazione cominciava già a scalpitare.
Keli si trovava in piedi di fronte all’altare con uno sguardo furioso in volto. Bentagliato dette all’Alto Sacerdote una gomitatina nelle costole, che non sortì alcun effetto apprezzabile, e poi agitò le sopracciglia in modo feroce in direzione del giovane novizio.
«Fermalo!» sibilò. «Non abbiamo abbastanza tempo!»
«Gli dei resterebbero dispiaciuti…»
«Non certo dispiaciuti quanto me, e io sono qui. »
Il novizio fissò per un istante l’espressione di Bentagliato e decise che avrebbe fatto meglio a spiegarsi con gli dei successivamente. Dette un colpetto sulle spalle dell’Alto Sacerdote e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
«"…o Steikhegel dio di, ehm, stalle isolate per vacche; ascoltami, o… salve?" Cosa?»
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