La Morte lo ignorò. Schioccò le dita come fossero nacchere e il grembiule che aveva attorno alla vita esplose in piccole fiammelle. Il gattino, tuttavia, venne adagiato a terra con grande attenzione e spinto delicatamente via con un piede.
«NON GLI AVEVO FORSE DATO LA PIÙ GRANDE DELLE OPPORTUNITÀ?»
«Esattamente, Padrona, e se adesso mi volesse lasciare andare…»
«ABILITÀ? UNA CARRIERA STRUTTURATA? PROSPETTIVE? UN LAVORO PER LA VITA?»
«Davvero, se però volesse soltanto lasciarmi…»
Il cambiamento nella voce di Albert era stato completo. Le trombe del comando erano divenute ottavini di supplica. Sembrava, in effetti, terrorizzato, ma riuscì a incrociare lo sguardo di Scuotivento e a sibilargli:
«Il mio bastone! Gettami il bastone! Mentre si trova all’interno del cerchio non è invincibile! Fammi avere il bastone e mi potrò liberare!»
Scuotivento disse. «Come, scusi?»
«OH, MIA È LA COLPA PER ESSERE CADUTA IN QUESTA DEBOLEZZA CHE, IN MANCANZA DI UNA PAROLA MIGLIORE, POTREI DEFINIRE DELLA CARNE!»
«Il mio bastone, pezzo di un idiota, il mio bastone!» farfugliò Albert.
«Scusi?»
«BEN FATTO, MIO SERVITORE, PER AVERMI RICHIAMATO AI MIEI DOVERI» disse la Morte. «NON PERDIAMO ALTRO TEMPO.»
«Il mio bas…!»
Ci fu un’implosione e una raffica di vento. Le fiammelle delle candele si allungarono come linee di fuoco per un momento e poi si spensero.
Passò qualche istante.
Quindi la voce dell’economo, che proveniva più o meno dal pavimento, disse: «È stata una cosa davvero poco carina, Scuotivento, perdere il suo bastone in quel modo. Ricordami di punirti severamente uno di questi giorni. C’è qualcuno che possa fare un po’ di luce?»
«Non so che cosa sia successo al bastone! Io l’ho soltanto appoggiato contro questo pilastro e adesso è…»
«Oook.»
«Oh» esclamò Scuotivento.
«Razione di banane extra a questa scimmia» disse l’economo con voce pacata. Si notò la fiammella di un fiammifero e qualcuno riuscì ad accendere una candela. I maghi cominciarono a rialzarsi dal pavimento.
«Bene, è stata una lezione per tutti noi» continuò a dire l’economo, spazzolandosi via polvere e cera di candela dalla tunica. Sollevò lo sguardo, aspettandosi di vedere la statua di Alberto Malich di nuovo sul proprio piedistallo.
«Evidentemente anche le statue hanno dei sentimenti» disse. «Io stesso ricordo che quando ero soltanto studente del primo anno e stavo scrivendo il mio nome sul suo… be’, non importa. Il fatto è che io suggerisco di far sostituire immediatamente la statua.»
Un silenzio di tomba accolse la sua proposta.
«Diciamo… fusa in oro e con una perfetta somiglianza. Adeguatamente abbellita di gioielli come si addice al nostro grande fondatore» proseguì in modo raggiante.
"E per essere sicuri che nessuno studente la possa profanare in alcun modo, suggerisco di erigerla nella più profonda cantina" continuò a dire.
«E poi di chiudere a chiave la porta» aggiunse. Parecchi maghi cominciarono a rallegrarsi.
«E di gettare via la chiave?» domandò Scuotivento.
«E di saldare la porta» aggiunse l’economo. Si era appena ricordato del Tamburo Riparato. Rifletté per qualche istante e poi rammentò anche gli esercizi di ginnastica.
«E quindi di murare l’entrata» terminò. Si levò uno scroscio di applausi.
«E di allontanare il muratore!» ridacchiò Scuotivento, che stava per la prima volta comprendendo il senso del ragionamento.
L’economo lo fissò con sguardo truce. «Non c’è alcun motivo di lasciarsi trasportare dall’entusiasmo» disse.
Nell’assoluto silenzio, una duna di sabbia più grossa del normale fremette goffamente e poi ricadde al suolo per rivelare Binky che soffiava via sabbia dalle narici e scuoteva la criniera.
Morty aprì gli occhi.
Ci dovrebbe essere una parola per descrivere quel brevissimo momento, subito dopo che una persona si è svegliata, quando ha la testa ancora piena di un caldo e rosato nulla. Giace lì, interamente priva di pensieri, eccetto che per un crescente sospetto che si stiano dirigendo verso di essa, come una calza carica di sabbia bagnata in un vicolo notturno, tutti i ricordi dei quali farebbe volentierissimo a meno, i quali la portano alla consapevolezza che l’unico fattore lenitivo, nel suo orribile futuro, è la certezza che sarà piuttosto breve.
Morty si sedette e si portò le mani alla testa per cercare di farla smettere di svitarsi.
La sabbia accanto a lui si sollevò e Ysabell si portò in posizione seduta. Aveva la testa piena di sabbia e il volto sudicio di polvere di piramide. Alcuni dei suoi capelli si erano arricciati sulle punte. Lei lo fissò in maniera distratta.
«Mi hai colpito?» le chiese lui, toccandosi delicatamente la mascella.
«Sì.»
«Oh.»
Lui guardò il cielo come se quello potesse ricordargli delle cose. Doveva trovarsi presto da qualche parte, gli sovveniva. Poi ricordò anche qualcos’altro.
«Grazie» disse.
«Non c’è di che, te lo assicuro.» Ysabell si sollevò in piedi e cercò di spazzolarsi via la polvere e le ragnatele dal vestito.
«Andrai a salvare quella tua principessa?» chiese lei con una certa diffidenza.
La realtà interna e personale di Morty lo assalì. Lui balzò in piedi con un grido strozzato, vide dei fuochi d’artificio azzurri esplodergli davanti agli occhi e collassò ancora una volta. Ysabell lo afferrò sotto le ascelle e lo risistemò in piedi.
«Andiamo giù al fiume» disse la ragazza. «Penso che un sorso d’acqua farebbe bene a tutti.»
«Che cosa mi è successo?»
Lei alzò le spalle nel modo migliore che poté mentre sosteneva il peso di lui.
«Qualcuno ha eseguito il Rito di Ashk-Ente. Mia madre lo odia, dice che la convoca sempre nei momenti più sconvenienti. La… parte di te che era la Morte è andata e tu sei rimasto qui. Penso. Almeno ti è tornata la voce di prima.»
«Che ore sono?»
«A che ora avevi detto che i sacerdoti avrebbero chiuso la piramide?»
Morty sbirciò attraverso occhi lacrimosi in direzione della tomba del re. Era sicurissimo che alcune dita illuminate da torce stavano lavorando alla porta. Presto, secondo la leggenda, i guardiani sarebbero tornati in vita e avrebbero cominciato il loro infinito pattugliamento.
Lui sapeva che lo avrebbero fatto. Ricordava quella conoscenza. Ricordava la sensazione della sua mente fredda come ghiaccio e priva di limiti come il cielo notturno. Ricordava di essere stato richiamato ad una riluttante esistenza nel momento in cui aveva vissuto la prima creatura nella assoluta consapevolezza che sarebbe sopravvissuto alla vita finché l’ultimo essere della natura non fosse arrivato alla propria ricompensa, quando sarebbe poi stato un suo compito, metaforicamente parlando, quello di mettere le seggiole sopra i tavoli e spegnere la luce.
Ricordava la solitudine.
«Non mi lasciare» disse con apprensione.
«Sono qui» rispose lei. «Fino a quando avrai bisogno di me.»
«È mezzanotte» aggiunse lui, offuscato, gettandosi a terra presso il Tsort e piegando la testa indolenzita verso l’acqua. Accanto a sé sentì un rumore simile ad una vasca da bagno che si stava svuotando quando anche Binky si fece una bevuta.
«Significa forse che siamo ormai in ritardo?»
«Sì.»
«Mi dispiace. Avrei voluto poter fare qualcosa.»
«Non c’è niente da fare.»
«Almeno hai mantenuto la promessa fatta ad Albert.»
«Sì» disse amaramente Morty. «Almeno ho mantenuto quella.»
Più o meno alla distanza che passava fra una parte del Disco e l’altra…
Dovrebbe esistere una parola per definire la microscopica scintilla di speranza che non si osa nutrire per paura che il semplice atto del prenderla in considerazione possa farla svanire, che assomiglia leggermente al cercare di guardare un fotone. Si può solamente scivolargli accanto, guardare oltre esso, camminare oltre esso, aspettando che diventi grande a sufficienza da poter affrontare il mondo.
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