Gene Wolfe - L'ombra del Torturatore

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L'ombra del Torturatore: краткое содержание, описание и аннотация

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Con questo L’ombra del torturatore ha inizio uno dei cicli di science-fantasy più osannati negli ultimi venti anni. In uno stile elegante e raffinato, lirico e sublime, Gene Wolfe ci narra le cronache di Severian il Torturatore, in un futuro talmente distante da rassomigliare al passato più remoto. Alla corporazione dei torturatori non si accede per diritto di nascita: solo i figli delle vittime possono esservi ammessi. Nella grande cittadella di incorruttibile metallo grigio il giovane Severian e i suoi compagni apprendisti studiano per raggiungere il rango di Maestro Torturatore, imparando gli antichi misteri della corporazione, legati al giuramento di torturare e uccidere i nemici dell’Autarca. Ma con l’arrivo di Thecla, una donna bella e intelligente che per le sue indiscrezioni ha perso il posto nel circolo interno delle concubine della Casa Assoluta, la vita cambierà per Severian. La sua disobbedienza alle regole che gli sono state insegnate è causa del suo esilio dalla Città: accompagnato solo dalla mitica spada del torturatore, Terminus Est, donatagli dal suo maestro, Severian si accinge ad un lungo viaggio verso la lontana Thrax, la Città delle Stanze senza Finestre. Un viaggio che lo porterà attraverso l’immensa Città e gli farà incontrare personaggi strani e misteriosi come i gemelli Agia e Agilus, che lo spingeranno a un arcano duello sul Campo Sanguinario, o ancora Dorcas, la misteriosa ragazza che gli apparirà sulle rive del Lago degli Uccelli, dove giacciono i morti. Un viaggio lungo e pieno di insidie che lo condurrà all’Artiglio del Conciliatore, la gemma dai poteri miracolosi, e, chissà, forse allo stesso trono della Casa Assoluta.

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— Non lo so.

— Credo di capire perché era stato messo in quella posizione. Io ero seduta sul divano insieme a te. Ricordo che ero felice di quella vicinanza. Ricordi se il cameriere ha appoggiato il vassoio prima che io mi alzassi per andare a lavarmi? Perché deve essere stato lui a portare il messaggio, anche se forse non ne è l'autore.

— Io mi ricordo tutto — risposi, — tranne gli avvenimenti della scorsa notte. Agia era su una sedia pieghevole, tu eri sul divano, sì, e io mi sono seduto vicino a te. Avevo in mano la spada e l'avern e ho appoggiato la pianta orizzontalmente dietro il divano. È entrata la sguattera con l'acqua e gli asciugamani per te, poi è uscita per andare a prendermi olio e stracci.

— Avremmo dovuto darle una mancia — mi interruppe Dorcas.

— Le ho dato un oricalco per aver portato il paravento, somma che probabilmente equivale alla sua paga settimanale. Comunque, tu sei andata dietro il paravento e subito dopo il locandiere è entrato con il cameriere che reggeva il vassoio e il vino.

— Ecco perché non l'ho visto. Ma il cameriere non deve aver avuto difficoltà a dedurre dove ero seduta, dal momento che non c'era altro posto. Così ha lasciato il biglietto sotto il vassoio, sperando che tornando lo vedessi. Cosa diceva la prima parte del biglietto?

— «La donna che è con te è già stata qui. Non ti fidare di lei.»

— Doveva essere diretto a me. Se fossi stato tu il destinatario, avrebbe distinto fra me e Agia, probabilmente in base al colore dei capelli. Mentre se fosse stato rivolto ad Agia il cameriere lo avrebbe messo dall'altra parte del vassoio.

— Così tu ricorderesti la madre di qualcuno.

— Sì. — Ancora una volta, Dorcas aveva gli occhi pieni di lacrime.

— Non sei abbastanza vecchia per avere un figlio capace di scrivere un biglietto del genere.

— Non lo ricordo — disse lei, e nascose il volto fra le pieghe del mantello marrone.

XXIX

AGILUS

Quando il medico mi visitò e verificò che non avevo bisogno di cure, ci invitò ad andarcene dal lazzaretto perché, disse, la mia cappa e la mia spada terrorizzavano i suoi ammalati.

Sul lato opposto dell'edificio nel quale avevo mangiato insieme ai soldati trovammo una bottega. Oltre ai gioielli falsi che i militari sono soliti regalare alle loro amichette, erano in vendita anche abiti da donna e nonostante la mia scorta di denaro si fosse molto assottigliata, riuscii a comperare a Dorcas una zimarra.

L'ingresso del Palazzo di Giustizia non era distante dalla bottega. Di fronte stazionava un centinaio di persone e dal momento che i custodi si scambiavano gomitate e mi additavano, tornammo nel cortile nel quale erano legati i destrieri. Un portreeve del Palazzo di Giustizia ci trovò lì… era un uomo imponente, con la fronte alta e bianca come il ventre di una brocca. — Tu sei il carnefice — disse. — Mi è stato riferito che stai abbastanza bene da poter svolgere le tue mansioni.

Gli risposi che quel giorno avrei fatto certamente quanto il suo maestro comandava.

— Oggi? No, no, non è possibile. Il processo non terminerà prima di oggi pomeriggio.

Gli feci notare che doveva essere veramente sicuro sull'esito del processo per venire ad assicurarsi che io fossi in grado di effettuare l'esecuzione.

— Oh, non c'è il minimo dubbio al riguardo. Dopotutto, sono morte nove persone e l'uomo è stato catturato sul posto. Non è un personaggio importante, perciò non esistono possibilità di grazia o di appello. Il tribunale si riunirà nuovamente domattina e non ci sarà bisogno di te fino a mezzogiorno.

Dal momento che non avevo la minima esperienza in fatto di giudici o di tribunali ed ero ansioso di poter infine compiere un lavoro per il quale mi ero tanto esercitato, suggerii la possibilità di una cerimonia al lume delle torce, quella sera stessa.

— È impossibile, il chiliarca deve riflettere sulla decisione. Che impressione farebbe? C'è già tanta gente che reputa i magistrati militari troppo precipitosi e addirittura capricciosi. E a dire la verità, un giudice civile avrebbe atteso almeno una settimana e il dibattito sarebbe stato approfondito per permettere di addurre altre prove, anche se in effetti non succede mai.

— Allora domani pomeriggio — dissi. — Ci servirà un alloggio per la notte. Inoltre, vorrei esaminare il palco e il ceppo e preparare il mio cliente. Mi occorre un lasciapassare per vederlo?

Il portreeve mi domandò se non ci saremmo potuti sistemare nel lazzaretto e quando io gli spiegai che non era possibile venne con noi dal medico responsabile che, come avevo immaginato, rifiutò di ospitarci. Seguì una lunga discussione con un sottufficiale della xenagia, il quale spiegò che non avremmo potuto dormire nella caserma insieme ai soldati e che se avessimo occupato una camera degli ufficiali, nessuno ci avrebbe più voluto entrare in futuro. Alla fine liberarono un ripostiglio privo di finestre e portarono due letti e qualche mobile malandato. Lasciai lì Dorcas e, dopo essermi assicurato che non correvo il rischio di sfondare un'asse rotta nel momento cruciale o di dover segare la testa del mio cliente tenendola sulle ginocchia, mi recai alle celle per portare a termine la visita richiesta dalle nostre tradizioni.

Soggettivamente c'è una grande differenza fra le prigioni che ci sono famigliari e le altre. Se fossi entrato nella nostra segreta, per me sarebbe stato come tornare a casa. Anche se avessi capito quale terrore potessero ispirare le porte grige e i corridoi di metallo alla gente che vi stava rinchiusa, io non avrei mai percepito quell'orrore; e se qualcuno di loro si fosse meravigliato di questo fatto, gli avrei subito fatto notare che erano dotate di ogni comodità… lenzuola pulite e coperte calde, pasti regolari, luce, un'intimità che non veniva profanata quasi mai e così via.

Ma mentre scendevo la scala stretta e tortuosa di un carcere cento volte più grande del nostro, i miei sentimenti erano di tutt'altro genere. L'oscurità e il fetore mi opprimevano come un peso e il pensiero che sarei potuto finire là dentro anch'io per un ordine frainteso o per una malizia insospettata da parte del portreeve continuava ad assalirmi nonostante i miei sforzi di tenerlo lontano.

Udii singhiozzare una donna e, dal momento che il portreeve aveva parlato di un uomo, pensai che fosse in una cella vicina a quella del mio cliente, che secondo le spiegazioni doveva essere la terza da destra. Contai: uno, due, tre. La porta era di legno fasciato di ferro, ma le serrature, grazie all'efficienza dei soldati, erano ben oliate. Quando il catenaccio scattò, i singhiozzi all'interno si smorzarono e quasi smisero.

Vidi un uomo nudo sdraiato sulla paglia. Una catena collegava con il muro il suo collare di ferro. Una donna, ugualmente nuda, era china su di lui e i suoi lunghi capelli scuri ricadevano sull'uomo. Si volse a guardarmi e mi accorsi che era Agia.

Sibilò: — Agilus! — e l'uomo si levò a sedere. I loro volti erano talmente simili da sembrare la stessa faccia riflessa da uno specchio.

— Eri tu — dissi. — Ma non è possibile. — Mentre parlavo rammentai il comportamento di Agia al Campo Sanguinario e la striscia nera che avevo notato vicino all'orecchio dell'ipparca.

— Tu — disse Agia. — Tu sei vivo e lui deve morire.

— È veramente Agilus? — riuscii solo a dire.

— Certo. — La voce del mio cliente era di un'ottava più bassa di quella della sorella e meno baldanzosa. — Non hai ancora capito, vero?

Scossi la testa.

— Nel negozio era Agia con il costume del Septentrion. È passata dall'ingresso nel retro, mentre noi due parlavamo, e io le ho fatto un segnale quando tu hai rifiutato di vendere la spada.

Agia disse: — Non potevo parlare… avresti capito che si trattava di una voce femminile. Ma la corazza mi copriva il seno e i guanti nascondevano le mani. Camminare con il passo di un uomo non è difficile.

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