Gene Wolfe - L'ombra del Torturatore

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L'ombra del Torturatore: краткое содержание, описание и аннотация

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Con questo L’ombra del torturatore ha inizio uno dei cicli di science-fantasy più osannati negli ultimi venti anni. In uno stile elegante e raffinato, lirico e sublime, Gene Wolfe ci narra le cronache di Severian il Torturatore, in un futuro talmente distante da rassomigliare al passato più remoto. Alla corporazione dei torturatori non si accede per diritto di nascita: solo i figli delle vittime possono esservi ammessi. Nella grande cittadella di incorruttibile metallo grigio il giovane Severian e i suoi compagni apprendisti studiano per raggiungere il rango di Maestro Torturatore, imparando gli antichi misteri della corporazione, legati al giuramento di torturare e uccidere i nemici dell’Autarca. Ma con l’arrivo di Thecla, una donna bella e intelligente che per le sue indiscrezioni ha perso il posto nel circolo interno delle concubine della Casa Assoluta, la vita cambierà per Severian. La sua disobbedienza alle regole che gli sono state insegnate è causa del suo esilio dalla Città: accompagnato solo dalla mitica spada del torturatore, Terminus Est, donatagli dal suo maestro, Severian si accinge ad un lungo viaggio verso la lontana Thrax, la Città delle Stanze senza Finestre. Un viaggio che lo porterà attraverso l’immensa Città e gli farà incontrare personaggi strani e misteriosi come i gemelli Agia e Agilus, che lo spingeranno a un arcano duello sul Campo Sanguinario, o ancora Dorcas, la misteriosa ragazza che gli apparirà sulle rive del Lago degli Uccelli, dove giacciono i morti. Un viaggio lungo e pieno di insidie che lo condurrà all’Artiglio del Conciliatore, la gemma dai poteri miracolosi, e, chissà, forse allo stesso trono della Casa Assoluta.

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Si fecero avanti, esitanti per paura di essere respinti ma decisi a fare le loro proposte. Uno di loro era più alto di me, certamente il figlio illegittimo di un esultante. Aveva più di cinquant'anni ed era grasso come il padrone della Locanda degli Amori Perduti. Vicino a lui c'era una donna esile, sui vent'anni, che quasi gli si stringeva addosso: i suoi occhi erano i più famelici che io abbia mai visto.

Quando l'uomo grasso si fermò davanti a me, sbarrandomi la strada con la sua mole, la donna mi abbracciò quasi e si avvicinò talmente che parve addirittura una magia che non ci toccassimo; mosse le mani dalle dita affusolate verso l'apertura del mio mantello, come se volesse toccarmi il petto, e io ebbi la sensazione di avere davanti uno spettro bevitore di sangue, un succubo o una lamia. Gli altri si accalcarono intorno, costringendomi contro il muro.

— È fissato per domani, vero? Che sensazione si prova?

— Come ti chiami?

— È malvagio, vero, il mostro?

Nessuno aspettava che io rispondessi alla propria domanda. Cercavano solo la vicinanza, il poter dire che avevano parlato con me.

— Prima gli spezzerai le ossa? Lo marchierai?

— Hai mai ucciso una donna?

— Sì — risposi io. — Sì, una volta.

Uno degli uomini, piccolo e magro, con la fronte alta e sporgente dell'intellettuale, mi pose fra le mani un asimi. — So che voialtri non siete pagati tanto e ho sentito dire che lui è povero, perciò non ti potrà dare una mancia. — Una donna con gli occhi nascosti dai capelli grigi, cercò di farmi accettare un fazzoletto orlato di pizzo. — Immergilo nel sangue, almeno un bordo. Dopo ti pagherò.

Provavo pietà per loro, nonostante mi ripugnassero. Un uomo, in particolare, mi faceva pena. Era più piccolo di quello che mi aveva dato i soldi e più grigio della donna con il fazzoletto; nei suoi occhi opachi c'era un'ombra di follia, la parvenza di una preoccupazione repressa che si era logorata nella sua mente fino a perdere del tutto l'impazienza per conservare solo l'energia. Ebbi l'impressione che stesse lasciando sfogare gli altri per poi poter parlare a sua volta, e poiché non avrebbe mai ottenuto il silenzio zittii tutti con un gesto e gli chiesi che cosa volesse.

— M-m-maestro, quando mi trovavo sulla Quasar possedevo una paracoita, una bambola insomma, un genicon, così bella con le sue grandi pupille scure come pozzi e le iridi che parevano astri o viole del pensiero. Maestro, io credevo che fossero servite intere aiuole per fare quegli occhi, quella carne che sembrava s-sempre riscaldata dal sole. Dove si trova adesso la mia piccola? Che i g-ganci strazino le mani che me l'hanno portata via! Schiacciale sotto le pietre, Maestro. Dove è andata dalla cassetta di legno di limone che avevo costruito apposta per lei e nella quale non dormiva mai, perché stava tutta la notte insieme a me, mentre vi trascorreva le giornate, un turno di guardia dopo l'altro, sorridente quando ve la riponevo e sorridente quando la tiravo fuori? Come erano morbide le sue mani, le sue piccole mani. Come c-colombe. Le avrebbe potute usare per volare nella cabina, se non avesse preferito dormire con me. Avvolgigli le viscere con l'argano, infilagli gli occhi in bocca. Castrali in modo che le loro amanti non riescano più a riconoscerli, abbandonali alle spudorate risate delle b-bocche delle sgualdrine. Sfogati su quei colpevoli. Dove era la loro pietà per gli innocenti? Quando mai hanno tremato e pianto? Quali uomini potrebbero fare quello che hanno fatto loro… ladri, falsi amici, traditori, cattivi compagni, assassini e rapitori. S-senza di te, dove sono i loro incubi, la punizione promessa da tanto tempo? Dove sono le catene, i cappi e le manette? Dove sono le visioni che li renderanno ciechi? Dove sono le defenestrazioni che romperanno le loro ossa, la ruota che stritolerà le loro giunture? Dov'è lei, la mia amata perduta?

Dorcas aveva trovato una margherita e se l'era messa fra i capelli. Stavamo camminando all'esterno delle Mura e io ero avvolto nella mia cappa di fuliggine, e nessuno avrebbe potuto scorgermi nemmeno a pochi passi di distanza. La margherita chiuse i petali per dormire e Dorcas raccolse uno di quei fiori bianchi a forma di tromba che vengono detti fiori di luna perché appaiono verdi nella luce lunare. Non avevamo molto da dirci, se non che entrambi saremmo stati completamente soli senza l'altro. Erano le nostre mani a dirselo, stringendosi.

I fornitori delle vettovaglie andavano e venivano perché i soldati stavano per partire. A nord e a est le Mura ci circondavano e al loro confronto il muro che racchiudeva le caserme e gli uffici pareva una costruzione da bambini, un rialzo di sabbia che sarebbe stato facile abbattere. A sud e a ovest si stendeva il Campo Sanguinario. Udimmo gli squilli di tromba e le grida dei duellanti che cercavano i loro avversari. Ciascuno di noi, credo, temette per un istante che l'altro proponesse di recarsi là a vedere i combattimenti. Ma non dicemmo niente.

Quando dalle Mura arrivò lo squillo dell'ultimo coprifuoco, tornammo indietro e ci facemmo prestare una candela per illuminare la camera senza finestra e senza fuoco. La porta non aveva serratura, ma vi mettemmo contro il tavolo e sopra appoggiammo il candeliere. Avevo detto a Dorcas che era libera di andarsene quando voleva, e che in futuro avrebbe potuto essere indicata come la donna del torturatore, come colei che si concedeva sotto il patibolo per un po' di denaro sporco di sangue.

Lei aveva risposto: — Quel denaro è servito per vestirmi e sfamarmi.

Si levò il mantello bruno, che le arrivava alle caviglie e che se non stava attenta si trascinava nella polvere, e lisciò il grezzo lino giallo scuro della zimarra.

Le chiesi se avesse paura.

— Sì — rispose. Poi aggiunse in fretta: — Oh, non di te.

— E di che cosa, allora? — Mi stavo spogliando. Se me lo avesse chiesto, non l'avrei sfiorata per tutta la notte, ma volevo che me lo chiedesse… anzi, volevo che mi implorasse. Il piacere che in tal caso avrei trovato nell'astinenza sarebbe stato, così credevo, grande quanto quello di possederla; anzi, ancora più grande poiché a esso si sarebbe aggiunto anche il piacere di sapere che la notte successiva si sarebbe sentita ancora più obbligata perché l'avevo rispettata.

— Di me stessa. Dei pensieri che potrebbero tornarmi in mente quando giacerò nuovamente con un uomo.

— Nuovamente? Allora ti ricordi di un'altra volta?

Dorcas scrollò la testa. — Ma sono sicura di non essere vergine. Ti ho desiderato spesso, ieri e oggi. Per chi pensi che mi sia lavata alla locanda? Ieri notte ti ho tenuto la mano mentre dormivi e intanto sognavo che ci saziavamo e giacevamo l'uno nelle braccia dell'altra. Ma conosco la sazietà quanto conosco il desiderio… perciò ho conosciuto almeno un uomo. Vuoi che mi levi questo prima di spegnere la candela?

Era snella, con il seno alto e i fianchi appena accennati e mi appariva stranamente infantile, nonostante fosse una donna. — Sembri tanto piccola — dissi, stringendola a me.

— E tu sei tanto grande.

Ero consapevole del fatto che, per quanto cercassi di non farle del male, non sarei stato capace di risparmiarla, né quella notte né mai. Un istante prima mi sarei trattenuto, se me l'avesse chiesto, ma a quel punto non ci sarei più riuscito, e come mi sarei avventato anche a costo di infilzarmi su una picca, più tardi l'avrei seguita e avrei cercato di tenerla per me.

Ma non fu il mio corpo a essere trafitto, bensì il suo. Eravamo in piedi e le stavo passando la mano sulla pelle baciandole i seni simili a frutti rotondi spaccati in due. La sollevai e ricademmo avvinghiati su uno dei letti. Dorcas urlò di piacere e di dolore insieme e prima di aggrapparsi a me mi respinse. — Sono contenta — disse. — Sono tanto contenta. — E mi morse la spalla mentre il suo corpo si curvava all'indietro come un arco.

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